Brescia, 28 Maggio 2024

“Cari familiari delle vittime, Presidente Milani, Ministro, Signor Vicepresidente della Regione, Presidente della Provincia, Sindaco, Sindaci del territorio presenti, Autorità, cittadini di Brescia,

Sono trascorsi cinquant’anni dal vile attentato di Piazza della Loggia che uccise – come tutti sappiamo – otto persone e ne ferì centodue, alcune in modo grave e con lesioni permanenti.

Oggi la Repubblica Italiana è Brescia, è Piazza della Loggia, è questo teatro, con la presenza e il coinvolgimento di tante persone.

Tra loro giovani e giovanissimi, con la volontà di prendere parte a questo momento di memoria, di rendere testimonianza e di stringersi attorno alla città, che tuttora avverte il trauma e la ferita di quel tragico, barbaro atto di terrorismo. 

Le immagini che abbiamo appena visto ci hanno ricondotto a quei momenti oscuri e tristi, ci hanno fatto rivivere lo sbigottimento, il dolore, il terrore che attraversarono l’intera Italia per quella strage. Abbiamo rivisto il boato dell’esplosione, il fumo, il sangue, le sirene delle ambulanze, la concitazione dei primi soccorsi, le urla e il pianto dei feriti, il lutto e la sofferenza – indicibile – dei familiari. Uno scenario raccapricciante e perenne per chi – ed erano molti – ne fu diretto spettatore.

Tutti gli italiani che, nel 1974, erano cittadini consapevoli ricordano, in maniera indelebile, quella orribile giornata, a partire dalle prime, incerte notizie della mattina. Fino alla drammatica conferma, alla diffusione dei particolari, alla straziante contabilità delle vittime.

I loro nomi sono stati ricordati in piazza.

Voglio ripeterli anch’io, qui, in teatro:

Giulietta Banzi Bazoli, di 34 anni.

Livia Bottardi Milani, 32 anni.

Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni.

Alberto Trebeschi, suo marito, 37 anni.

Euplo Natali, 69 anni.

Luigi Pinto, 25 anni.

Bartolomeo Talenti, 56 anni.

Vittorio Zambarda, 60 anni.

Tre donne e cinque uomini. Giovani, meno giovani, anziani. Quasi una rappresentanza della cittadinanza bresciana, nelle sue diverse generazioni.

Quante vite interrotte da quel gesto infame! Quanti sogni, quanti progetti per il futuro sottratto, quante speranze, quanti legami di affetto lacerati. 

Ho appena incontrato, poc’anzi, i familiari di coloro cui fu tolta la vita. Alcuni bresciani che persero un figlio, un genitore, un coniuge, oggi non ci sono più. Desidero quest’oggi ricordare anche il loro dolore, la compostezza, la forza d’animo, la sete di verità che esprimevano e che permangono tra noi, nonostante gli anni trascorsi.

I familiari delle vittime, con la loro Associazione, continuano l’opera di custodire e promuovere la memoria. E continuano a battersi per ottenere giustizia, con coraggio e determinazione.

Li ringrazio per questo impegno, esercitato tra mille ostacoli e fatiche, che ha dato un impulso decisivo alle inchieste e alla ricerca della verità.

Di quel 28 maggio 1974 ricordiamo ancora l’atmosfera di apprensione, di inquietudine, di sconcerto che si diffuse in ogni angolo del Paese. Segnali cupi e minacciosi si addensavano sulla nostra giovane democrazia, generando inquietanti interrogativi: chi c’è dietro l’attentato? Cosa accadrà adesso? Reggeranno le istituzioni, lo Stato, la democrazia?

Superato lo sconvolgimento iniziale, la risposta di Brescia all’intimidazione stragista fu netta, compatta, determinata. I suoi cittadini si raccolsero come comunità intorno alle loro forze sociali, intorno al Comune, allora guidato da Bruno Boni. Brescia rappresentò un esempio per tutto il Paese, attraversato in quegli anni da grandi speranze e idealità, ma anche da ciò che vi si contrapponeva: spinte eversive, tensioni violente, strategie destabilizzanti, talvolta con la complicità occulta e spregevole di uomini che violavano i doveri di fedeltà alla Repubblica.

La strage di Brescia fece seguito a numerosi gravi episodi in questo territorio nei mesi immediatamente precedenti: pestaggi, intimidazioni, attentati neofascisti contro sedi di istituzioni, di sindacati, di cooperative, di forze dell’ordine, di giornali, di scuole. Armi, bombe ed esplosivi erano stati scoperti e sequestrati durante gli arresti di alcuni estremisti di destra. Un giovanissimo neofascista, pochi giorni prima della strage, era morto ucciso dal materiale esplosivo che trasportava.

Quella manifestazione – quella del 28 maggio – promossa dai sindacati, nasceva come risposta della cittadinanza, della società civile bresciana contro questa serie di inaccettabili minacce e violenze. Fu, allora, che il terrorismo nero decise di alzare il livello di azione criminale.

Con quella bomba ad alto potenziale, collocata, con ignobile perfidia, in un cestino sotto i portici, Brescia fu colpita al cuore.

Colpita nella sua bella piazza, centro pulsante della vita cittadina, durante una mattinata di impegno civico in cui un popolo senz’armi era sceso in strada accanto alle forze sociali e politiche per ribadire un forte no alla violenza e alla paura. 

L’intento immediato degli attentatori era chiaro: punire e terrorizzare chi manifestava contro il neofascismo e in favore della democrazia.

L’obiettivo di quel turpe attentato era, inoltre, un messaggio e un tentativo di destabilizzazione contro la Repubblica italiana e le sue democratiche istituzioni.

Con quella bomba si volevano fermare le conquiste sociali e politiche.

Gli ideatori, gli esecutori, i complici di quella strage volevano riportare il tempo indietro: a una stagione oscura, segnata dall’arbitrio della violenza, dalla sopraffazione, e sfociata nella guerra. Mentre, in quello stesso anno, i popoli di Portogallo e di Grecia si liberavano finalmente dell’oppressivo fardello dei regimi autoritari, in Italia vi era chi tramava e complottava per instaurarvi un nuovo regime autoritario. 

Contro la Repubblica che, nata dalla Resistenza, aveva indicato le sue ragioni fondanti nella democrazia, nella libertà, nel pluralismo, nella solidarietà, principi scolpiti nella Carta Costituzionale.    

Provocare un clima di disordine e di paura, esasperare la popolazione, immettere nella società la sfiducia nell’autorevolezza del metodo e delle istituzioni democratiche, inaugurare una nuova stagione di repressione erano gli obiettivi della galassia del terrorismo neofascista, che si nutriva di giovani manovrati, di militanti violenti, di ideologi raffinati e perversi e di una oscura rete di complicità, costituita da silenzi, benevolenze, omissioni, coperture.

La stessa matrice eversiva, il medesimo disegno criminale, fu dietro a chi aveva piazzato ordigni o bombe a Piazza Fontana, a Milano, nel 1969, a Gioia Tauro nel luglio del 1970, a Peteano, nel 1972, alla Questura di Milano nel 1973. E che, dopo la strage di Brescia, continuò a praticare quella strategia della tensione, provocando nuovi spaventosi spargimenti di sangue: sul treno Italicus, a pochi mesi dalla strage di Piazza della Loggia, poi a Bologna nel 1980 – la più grande strage del terrorismo neofascista – e ancora, nel 1984, a San Benedetto Val di Sambro.

Una sequenza impressionate di eventi sanguinosi, legati dall’unico filo dell’eversione nera, tutte seguite da una difficile ricerca della verità storica e giudiziaria, ostacolata da inaccettabili depistaggi, errori, inefficienze.  Ma il desiderio di verità, la volontà di verità e di giustizia non si è fermata.

Le diverse sentenze che hanno riguardato la strage di Piazza della Loggia hanno complessivamente chiarito il quadro, delineando con precisione responsabilità, dinamiche e complicità. Di recente, si è aperto un nuovo filone di inchiesta, dal quale potrebbero emergere nuovi tasselli. Attendiamo con paziente fiducia perché la verità è un pilastro della democrazia.

La risposta dello Stato democratico nella lotta al crimine e nel fare giustizia – vorrei dirlo soprattutto ai ragazzi – può apparire talvolta lenta. Certo, è sempre auspicabile una risposta tempestiva, per quanto possibile rapida ma, quel che va ricordato, perché fondamentale, è che essa rispetta le garanzie dello Stato di diritto: questo conferisce solidità e affidabilità.

Nella polemica dell’epoca vi fu chi, a proposito di questa impressionante catena di attentati, parlò di stragi di Stato. È una definizione che suscita passioni, sollecita sdegno, ma che suscita e sollecita anzitutto una diversa riflessione.

Perché era lo Stato democratico il bersaglio dei terroristi, e lo Stato democratico non si identifica con complici, pavidi, corrotti, o addirittura infiltrati in apparati dello Stato per tentare di corromperlo dall’interno.

Allo Stato – quello disegnato dalla nostra Costituzione – appartengono i magistrati, requirenti e giudicanti, le forze dell’ordine che, con fatica e tenacia, hanno condotto indagini e hanno raggiunto certezze su molti e fondamentali aspetti di quegli attentati. 

Lo Stato è costituito dalle sue pubbliche istituzioni che hanno resistito, rispettando le regole costituzionali, dai cittadini, dalle forze sociali, dai rappresentanti del popolo, dai partiti della nostra democrazia, da tutte le donne e gli uomini – la stragrande maggioranza – che hanno speso il loro impegno e lo spendono per la difesa della libertà e della democrazia.

Complici e collusi, strateghi di morte, non rappresentano lo Stato, ma una gravissima minaccia contro la Repubblica.  Hanno tradito l’Italia. Hanno tramato nell’ombra contro il loro popolo e il loro Paese.

 Di fronte alla guerra violenta di opposti estremismi – nero e rosso – che – in quella stagione di sangue e di aspri conflitti internazionali – provarono a rovesciare la Repubblica e la sua democrazia, possiamo dire oggi, con certezza, che ha prevalso lo Stato, la Repubblica, il suo popolo, con i suoi autentici, leali servitori.

Una vittoria che è stata di tutti i cittadini italiani, che si sono sempre raccolti, nei momenti più bui, attorno alle istituzioni e che non si sono mai lasciati sedurre dalle insidie della violenza, della lotta armata, dell’eversione. E che mai hanno reclamato l’instaurazione di misure autoritarie per sconfiggere la minaccia terrorista.

Anche oggi, per via di un quadro internazionale caratterizzato da guerra e violenza, respiriamo un’atmosfera di tensione.

Pur nei suoi contorni incerti e frammentari si intravede, nel mondo, il disegno di minare i valori di libertà e democrazia che rappresentano l’unica base salda e concreta della pace e della convivenza internazionale, alimentando tensioni, esasperando conflitti, cercando di alimentare, attraverso notizie false e allarmanti, la sfiducia dei cittadini nelle democratiche istituzioni.

È un tentativo che, oggi, come allora, va respinto. Con fermezza, con coraggio, con fiducia nella forza della democrazia e del diritto.

La nostra Repubblica è stata difesa e rafforzata, negli anni, dai sacrifici di tanti servitori dello Stato, di tanti cittadini onesti e coraggiosi.

Tra questi vi sono le donne e gli uomini che oggi ricordiamo qui, con commozione e riconoscenza: uccise e uccisi da persone miserabili, perché sostenevano e difendevano la democrazia, la libertà, i diritti per tutti.

Al di là delle doverose rievocazioni, il modo per ricordarli degnamente è quello di respingere e isolare i predicatori di odio, gli operatori di mistificazione, i seminatori di discordia. È quello di rivendicare e vivere i principi e i valori su cui si basa la nostra Costituzione. Quello di operare costantemente per l’unità del popolo italiano, per la diffusione della libertà e dei diritti, per un quadro internazionale che assicuri la pace nella giustizia.

L’Italia, oggi, abbraccia Brescia nel comune ricordo dei suoi martiri. Non saranno dimenticati perché il loro ricordo continua a suscitare impegno per la libertà, per la pace, per la democrazia”