Il capitolo “La società italiana al 2024” del 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese.
(Fonte: Censis. Comunicato stampa)
Sindrome italiana
La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati: né capitomboli rovinosi nelle fasi recessive, né scalate eroiche nei cicli positivi. Ma nasconde una insidia. Se il ceto medio si sfibra (i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa) fermenta l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari. Intanto si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento. Mentre è in atto una mutazione morfologica della nazione (l’Italia è prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza: +112% in dieci anni). Siamo preparati culturalmente? Nel Paese degli ignoranti, per il 19% Mazzini è stato un politico della prima Repubblica e per il 32% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo. Ecco i conti che non tornano nel sistema-Italia: più lavoro e meno Pil, turismo su e industria giù, carenza di personale e ipoteche sul welfare. Giovani: i disagiati e i salvati
Intrappolati nella sindrome italiana. Se a prima vista il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record (il record degli occupati e del turismo estero, ma anche il record della denatalità, del debito pubblico e dell’astensionismo elettorale), un’analisi approfondita ci consegna una immagine più aderente alla reale situazione sociale del Paese. La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati. Il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. Anche nella dialettica sociale, la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia. Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata. Negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. La sindrome italiana nasconde non poche insidie. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale.
La guerra delle identità. All’erosione dei percorsi di ascesa economica e sociale del ceto medio corrisponde una crescente avversione ai valori costitutivi dell’agenda collettiva del passato: il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto atlantismo. Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee ha segnato un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. In una società che ristagna, e che si è risvegliata dall’illusione che il destino dell’Occidente fosse di farsi mondo, le questioni identitarie sostituiscono le istanze delle classi sociali tradizionali e assumono una centralità inedita nella dialettica socio-politica. Ora si ingaggia una competizione a oltranza per accrescere il valore sociale delle identità individuali etnico-culturali, religiose, di genere o relative all’orientamento sessuale, secondo una ricombinazione interclassista. La rivalità delle identità e la lotta per il riconoscimento implicano l’adozione della logica «amico-nemico»: il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti, il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso. Se il ceto medio si sfibra, il Paese non è più immune al rischio delle trappole identitarie.
La mutazione morfologica della nazione. Mentre il dibattito politico si arrovella sui criteri normativi da adottare per regolare l’acquisizione della cittadinanza, il 57,4% degli italiani ritiene che l’«italianità» sia cristallizzata e immutabile, definita dalla discendenza diretta da progenitori italiani, per il 36,4% è connotata dalla fede cattolica, per il 13,7% è associata a determinati tratti somatici. Intanto, negli ultimi dieci anni sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri. L’Italia si colloca al primo posto tra tutti i Paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023). Con un numero molto più alto delle circa 181.000 in Spagna, 166.000 in Germania, 114.000 in Francia, 92.000 in Svezia, le acquisizioni della cittadinanza italiana nel 2022 ammontavano al 21,6% di tutte le acquisizioni registrate nell’Ue (circa un milione). E il nostro Paese è primo anche per il totale cumulato nell’ultimo decennio (+112,2% tra il 2013 e il 2022).
Il Paese degli ignoranti. Siamo culturalmente preparati al salto d’epoca? La mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili. Per quanto riguarda il sistema scolastico, non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano: il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80,0%). In matematica: il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie e il 47,5% alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81,0%). Il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), per il 32,4% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo, per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore delle cantiche della Divina Commedia. Mentre si discute di egemonia culturale, per molti italiani si pone invece il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire (del resto, per il 5,8% il «culturista» è una «persona di cultura»). Nel limbo dell’ignoranza possono attecchire stereotipi e pregiudizi: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma), per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.
I conti che non tornano: più lavoro, meno Pil. Molti conti non tornano nel sistema-Italia e molte equazioni rimangono irrisolte. Nonostante i segnali non incoraggianti circa l’andamento del Pil, il numero degli occupati si è attestato a 23.878.000 nella media dei primi sei mesi dell’anno, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro rispetto all’anno nero della pandemia e un aumento del 4,6% rispetto al 2007. Ma la distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023. Se il nostro tasso di attività fosse uguale a quello medio europeo, potremmo disporre di 3 milioni di forze di lavoro aggiuntive, e se raggiungessimo il livello europeo del tasso di occupazione, supereremmo la soglia dei 26 milioni di occupati: 3,3 milioni in più di quelli registrati nel 2023.
Il turismo su, l’industria giù. La produzione delle attività manifatturiere italiane è entrata in una spirale negativa: -1,2% tra il 2019 e il 2023. Il raffronto dei primi otto mesi del 2024 con lo stesso periodo del 2023 rivela una caduta del 3,4%. Invece le presenze turistiche in Italia hanno raggiunto i 447 milioni nel 2023, con un incremento del 18,7% rispetto al 2013. L’aumento più evidente nel decennio è attribuibile alla componente estera (+26,7%), che si colloca sui 234 milioni di presenze, ma il turismo domestico è comunque cresciuto del 10,9%. A Roma le presenze turistiche nel 2023 hanno superato i 37 milioni. In termini di produttività, nel periodo 2003-2023 le attività terziarie registrano però una riduzione del valore aggiunto per occupato dell’1,2%, mentre l’industria mostra un aumento del 10,0%.
L’Italia a corto di. Nel 2023 la quota di figure professionali di difficile reperimento rispetto ai fabbisogni delle imprese è arrivata al 45,1% del totale delle assunzioni previste (era pari al 21,5% nel 2017). È aumentato soprattutto il peso delle figure difficili da reperire per esiguità dei candidati: dal 9,7% del totale delle assunzioni previste nel 2017 al 28,4% nel 2023. Tra gli under 29 anni, sono di difficile reperimento per esiguità dei candidati il 34,1% delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e il 33,3% delle professioni tecniche. Nel 38,9% dei casi non si riescono a trovare giovani che vogliano fare gli artigiani, gli agricoltori o gli operai specializzati. Specialisti e tecnici della salute sono ormai la primula rossa del mercato del lavoro. Il ridotto numero di candidati riguarda ben il 70,7% della domanda di lavoro per infermieri e ostetrici, il 66,8% per i farmacisti e il 64,0% delle posizioni aperte per il personale medico. Ristoratori e albergatori non riescono a trovare soprattutto cuochi (il tasso di irreperibilità per ridotto numero di candidati è salito al 39,1%) e camerieri (35,3%). La carenza di candidati riguarda anche gli idraulici (il 47,7% delle assunzioni previste) e gli elettricisti (40,2%).
Il divorzio tra città e campagne. Si acuisce il problema della rarefazione dei servizi e delle infrastrutture di coesione sociale presenti sul territorio. Se in Italia le famiglie che sperimentano difficoltà nel raggiungere una farmacia sono il 13,8% del totale (3,6 milioni) e per accedere a un Pronto soccorso sono il 50,8% (13,3 milioni), nel caso dei residenti in comuni fino a 2.000 abitanti le difficoltà riguardano rispettivamente il 19,8% e il 68,6% delle famiglie. Sono poco più di 8 milioni le famiglie italiane per cui è difficile raggiungere un commissariato di polizia o una stazione dei carabinieri. Per più di un quinto è difficile raggiungere un negozio di generi alimentari o un mercato. Ma per il 54,9% delle famiglie che vivono nei piccoli comuni anche l’accesso a un supermercato si rivela difficoltoso.
Le ipoteche sul welfare. Tra il 2013 e il 2023 si è registrato un aumento del 23,0% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto. Al 53,8% è capitato di dover ricorrere ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. Sul fronte previdenziale, il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando lascerà il lavoro. In particolare, è l’89,8% dei giovani ad avere questa certezza.
Giovani: i disagiati e i salvati. Il 58,1% dei giovani di 18-34 anni si sente fragile, il 56,5% si sente solo, il 51,8% dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. Solo in alcuni casi si arriva a una vera patologia conclamata: un giovane su tre (il 29,6% del totale) è stato in cura da uno psicologo e il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci. Ma c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che mettono in gioco strategie individuali di restanza o rilancio per assicurarsi un futuro migliore, in Italia o all’estero. Dal 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (più di un terzo del totale degli espatri). Di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano in possesso della laurea. Negli anni i laureati sono aumentati: nel 2013 erano il 30,5% degli emigrati dall’Italia, nel 2022 erano diventati il 50,6% del totale.
L’imbuto dei patrimoni. Si profila all’orizzonte un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza. Uno degli effetti nascosti della denatalità che da molti anni preoccupa il Paese è che, a causa della prolungata flessione delle nascite, il numero degli eredi si riduce, quindi in prospettiva le eredità si concentrano. Oggi le famiglie della «generazione silenziosa» (i nati prima della Seconda guerra mondiale) e del baby boom (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60) detengono insieme il 58,3% della ricchezza netta delle famiglie. In attesa ci sono parte della «generazione X» (i nati tra il 1965 e il 1980), i millennial e la «generazione Z» (i nati negli ultimi decenni dello scorso secolo e nei primi anni del nuovo millennio). Quale sarà l’effetto psicologico su coloro che sanno di essere destinatari di un atto di successione? Forse una ridotta propensione al rischio imprenditoriale, compressa dalle aspettative dei potenziali rentier.
Il florido mercato della sicurezza. Il numero dei reati commessi in Italia ha conosciuto nel tempo una costante e prolungata riduzione. Nel 2023 però si è registrato un aumento dei reati del 3,8% rispetto all’anno precedente e dell’1,7% rispetto all’anno pre-Covid 2019. È presto per dire se si tratta di una fase congiunturale o di una inversione di tendenza. Benché gli episodi di criminalità facciano molta impressione nell’opinione pubblica, in quanto i reati sono concentrati nelle aree urbane, a livello nazionale gli omicidi volontari sono però diminuiti dai 502 del 2013 ai 341 del 2023 (-32,1%), le rapine sono scese nel decennio da 43.754 a 28.067 (-35,9%), i furti nelle abitazioni si sono ridotti da 251.422 a 147.660 (-41,3%). Ma tra gli italiani aumenta l’insicurezza e il bisogno di sentirsi protetti. L’85,5% possiede almeno un dispositivo per la difesa della propria abitazione e il 50,1% investirà di più nella sicurezza domestica negli anni a venire. Oggi in Italia sono quasi 1,7 milioni le persone che detengono regolarmente un’arma da fuoco. Se si considerano i loro nuclei familiari, si possono stimare in 3,7 milioni (pari al 6,3% della popolazione) le persone che hanno una pistola a portata di mano e potrebbero utilizzarla, per sbaglio o intenzionalmente. Il 43,6% degli italiani pensa che sparare a un malintenzionato che si introduce in casa per rubare dovrebbe essere considerato un atto legalmente legittimo.
Le asimmetrie delle emozioni: i luoghi delle relazioni e la solitudine tra le pareti domestiche. Dopo l’esperienza traumatica della pandemia, è sempre più evidente il ritorno alla convivialità e alla frequentazione dei luoghi pubblici. Il 58,8% degli italiani incontra gli amici durante il tempo libero almeno una volta alla settimana. Il dato sale tra i giovani, con punte intorno al 90% tra chi ha dai 15 ai 19 anni, mentre è evidente una rarefazione delle relazioni tra le persone anziane. Nel 2023 si sono registrate più di 10 milioni di presenze alle 2.397 fiere organizzate in Italia: +16,3% rispetto all’anno precedente. Aumenta la partecipazione ai concerti, con oltre 28 milioni di presenze (+70,1% rispetto al 2019). La casa invece può diventare il luogo della solitudine. Nel 2023 le persone sole hanno superato gli 8,8 milioni (+18,4% dal 2013). I vedovi (3,1 milioni) costituiscono il 34,8% delle persone sole, i single (celibi e nubili o separati e divorziati) sono il 65,2% (5,8 milioni).
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