La tutela internazionale ed europea

Nota breve di Gianni Arrigo

1. Il trattamento dei detenuti nel diritto dell’Unione europea.

La Raccomandazione (UE) n. 2023/681, della Commissione dell’8 Dicembre 2022, “sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione” individua alcuni principi generali sulle garanzie minime che ogni Paese dell’UE deve assicurare a coloro che siano a qualunque titolo detenuti. La Raccomandazione intende fornire orientamenti agli Stati membri affinché prendano misure efficaci, appropriate e proporzionate per rafforzare i diritti di tutti gli indagati e imputati in procedimenti penali, i quali siano privati della libertà personale, in relazione sia ai diritti procedurali delle persone sottoposte a custodia cautelare sia alle condizioni materiali di detenzione, al fine di garantire che le persone sottoposte a privazione della libertà personale siano trattate con dignità, che i loro diritti fondamentali siano rispettati e che la privazione della libertà personale sia utilizzata solo come misura di ultima istanza[1].

In primo luogo (nella parte dedicata ai “Principi generali”), laRaccomandazione afferma che il trattamento dei detenuti deve essere rispettoso della loro dignità. A tal fine gli stati membri dell’UE “dovrebbero garantire che i detenuti siano trattati con rispetto e dignità e in linea con i loro obblighi in materia di diritti umani, compresa la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, come stabilito dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (di seguito CDFUE). Il diritto di cui all’art. 4 CDFUE[2] corrisponde a quello garantito dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) la cui formulazione è identica: `Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti`. Ai sensi dell’art. 52, par. 3 della CDFUE[3], tale diritto ha dunque significato e portata identici a quelli del cit. articolo della CEDU. Inoltre, la Raccomandazione chiede agli Stati di fare in modo che la detenzione faciliti il reinserimento sociale dei detenuti, così riducendo il tasso di recidiva.

Nella parte dedicata ai “diritti procedurali di indagati e imputati”, la Raccomandazione individua norme minime in tema di custodia cautelare, da intendersi come misura di ultima istanza applicabile assolvendo gli obblighi motivazionali e garantendo il diritto al riesame periodico. Viene altresì ribadito il diritto all’accesso e alla traduzione degli atti, già riconosciuto da precedenti direttive UE. La Raccomandazione interviene quindi sulle “condizioni materiali di detenzione”, fornendo, tra l’altro, ponendo: a) norme minime in tema di: locali di detenzione e assegnazione; igiene e condizioni sanitarie; regime alimentare; periodi di permanenza all’esterno della cella e all’aperto; lavoro e istruzione dei detenuti per favorirne il reinserimento sociale; assistenza sanitaria; prevenzione della violenza e dei maltrattamenti; contatti col mondo esterno; assistenza legale; richieste e reclami; b) misure speciali per: le donne e le ragazze; gli stranieri; i minori e i giovani adulti; le persone con disabilità o patologie gravi; c) misure speciali per prevenire la radicalizzazione nelle carceri.

Ora, se è vero che la Raccomandazione non ha carattere vincolante, è pur vero che essa ha il preciso scopo di sollecitare i destinatari a tenere una determinata condotta perché giudicata più rispondente agli interessi comuni. Per questo motivo l’efficacia non vincolante delle raccomandazioni non implica necessariamente che esse siano totalmente sprovviste di effetto giuridico: essendo atti non soggetti normalmente a controllo giurisdizionale di legittimità essi non potrebbero, in via di principio, formare oggetto di interpretazione pregiudiziale, né la loro inosservanza può portare a un ricorso per infrazione o inadempimento contro il destinatario che non vi si è conformato. Tuttavia la Corte di giustizia dell’Unione europea si è riconosciuta competente a pronunciarsi sulla loro interpretazione e ha posto in evidenza come le raccomandazioni non possono essere considerate del tutto prive di conseguenze giuridiche, almeno indirette.

Giova ricordare che entro diciotto mesi dall’adozione della Raccomandazione, e quindi all’inizio dell’estate del 2024, gli Stati membri dovranno rendere conto alla Commissione europea del seguito da essi dato alla Raccomandazione.

2. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

I principi qui sopra richiamati hanno da tempo trovato sostegno nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU). Essa ribadisce anzitutto che la sottomissione dell’imputato a mezzi di coercizione fisica è legittima solo quando risulti strettamente necessaria e proporzionata.

Analogamente a quanto previsto in alcuni ordinamenti nazionali dell’UE, tra cui quello italiano, rientrano tra i presupposti dell’applicazione di mezzi coercitivi: il pericolo di fuga, il pericolo di aggressioni o di soppressione delle prove. Se tali pericoli non sussistono, la compressione dei diritti della persona è qualificabile come trattamento inumano o degradante, che assume rilevanza secondo il cit. art. 3 della CEDU.

Considerazioni analoghe valgono per i modi e le forme con i quali l’imputato partecipa al processo, considerando che egli deve parteciparvi libero, salvo specifiche ragioni che rendano necessario il suo contenimento. In proposito la Corte EDU ritiene che la collocazione dell’imputato all’interno di gabbie di ferro ovvero dentro box di vetro o di plexiglass, in quanto produce effetti umilianti, e violazioni della dignità della persona, è da considerarsi legittima solo previa verifica della sussistenza di concrete circostanze giustificative[4]. In ogni caso, va garantita la comunicazione riservata tra difensore e imputato, in ossequio al diritto di difesa e al giusto processo.

La Corte indica inoltre specifiche cautele nel caso in cui al procedimento assistano giornalisti o collaboratori di mezzi di comunicazione, i quali potrebbero con i loro strumento amplificare la lesione dei diritti dell’imputato. In proposito, è stata accertata la violazione del cit. art. 3, CEDU riguardo ad alcuni imputati per il reato di estorsione, i quali erano costretti a partecipare all’udienza all’interno di una gabbia di sicurezza, controllati da agenti armati e coperti da passamontagna, poiché questo trattamento aveva ingenerato nel “pubblico” l’idea di un processo nei confronti di criminali estremamente pericolosi 3. 

A questo riguardo giova evidenziare l’elemento della presunzione di non colpevolezza nel procedimento penale. La foto dell’imputato in manette, in catene, o tenuto “al guinzaglio” da un agente armato, alle sue spalle, rischia infatti di instillare un pregiudizio di colpevolezza, equiparando la posizione dell’imputato a quella del condannato. In altre parole, la diffusione dell’immagine dell’indagato o dell’imputato in manette, o tenuto al guinzaglio, comporta, nella percezione popolare, una sorta di anticipazione del giudizio di colpevolezza. Non è fuori luogo ipotizzare una relazione tra i modi in cui l’imputato viene condotto in udienza e vi assista, soprattutto se “dietro le sbarre” o in catene, e la suggestione in senso colpevolista che, anche sui giudici popolari, propone una tale immagine[5].

L’importanza della questione è riconosciuta anche dalla Direttiva n. 343/2016[6], che al suo art. 5[7] richiede agli Stati membri di adottare “le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica”, salvo che ciò sia necessario “per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi”.

3. Conclusioni.

L’attenzione crescente per alcuni diritti fondamentali della persona ha avuto effetti sull’applicabilità di mezzi coercitivi a persone arrestate o detenute. Il legislatore dell’UE, è intervenuto enfatizzando la natura di extrema ratio e la necessaria proporzionalità di qualunque tipo di coercizione, mentre la giurisprudenza delle Alte Corti europee ha censurato il ricorso a pubblicazioni lesive della dignità della persona sottoposta a restrizioni di libertà. Tali iniziative si mostrano in linea con la normativa di alcuni Paesi dell’UE, mentre altri vi rifuggono deliberatamente. In disprezzo dei principi di riservatezza e presunzione d’innocenza e dei diritti delle persone detenute.

Con specifico riguardo all’uso delle manette, esso dovrebbe restare confinato a casi eccezionali che, come anticipato, attengono soprattutto a pericoli di fuga o per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Tuttavia, e purtroppo, si deve constatare come in alcuni Paesi dell’Unione europea permangano forme di costrizione fisica dell’imputato nelle aule di giustizia, in alcuni casi davvero umilianti e degradanti, in spregio alla regola generale della partecipazione libera alle udienze.

Siccome non può essere un mero richiamo alla gravità del reato contestato a legittimare la compressione di diritti fondamentali, poiché ciò degraderebbe agevolmente in una ritorsiva umiliazione dell’imputato, si deve ritenere che ogni uso di mezzi coercitivi non motivato da esigenze concrete integri un trattamento inumano o degradante. Ciò vale per i tribunali di ogni Paese dell’UE che si è impegnato a rispettare principi e diritti sanciti a livello europeo.


[1] Così, nella parte dedicata allo “scopo della raccomandazione”.

[2] Art. 4 CDFUE. Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

[3] Art. 52 CDFUE. Portata dei diritti garantiti.” 3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”.

[4] Il riferimento è, in particolare, ai casi di imputati tenuti in manette o in gabbie durante le udienze pubbliche, laddove vi sia una copertura mediatica del caso. In queste situazioni viene in rilievo la nozione di trattamento degradante contenuta nell’art. 3 CEDU. La Corte EDU ha più volte ricordato che l’utilizzo delle manette non è problematico rispetto all’art. 3 CEDU, se la misura è connessa ad un arresto o ad una detenzione legittima e se non costituisce uso della forza o esposizione pubblica, eccedenti rispetto a quanto sia ragionevolmente necessario nelle circostanze concrete. A questo proposito è, ad esempio, importante valutare se vi siano ragioni di credere che la persona possa tentare di resistere all’arresto, darsi alla fuga, ferire, causare danni o distruggere prove (si v. ricorso Miroslaw Garlicki c. Polonia, n. 36921/07, 14 giugno 2011, §74. Nello stesso senso, si v. Raninen c. Finlandia, n. 20972/92, 16 dicembre 1997, § 56; Erdoğan Yağız c. Turchia, § 42, n. 26337/95, 6 marzo 2007; Kazakova c. Bulgaria, n. 55061/00, 22 giugno 2006, § 53; Wieser c. Austria, n. 2293/03, 22 febbraio 2007, § 37). Sulla base degli stessi principi, costringere un imputato a partecipare al proprio processo all’interno di una gabbia deve essere giustificato dal rischio di fuga o di compimento di atti violenti da parte dello stesso (Khodorkovskiy c. Russia, n. 5829/04, 31 maggio 2011, § 123).

[5] La Corte EDU ha ritenuto sufficiente, ai fini della violazione della CEDU, che il trattamento in parola abbia umiliato i ricorrenti ai loro occhi, se non in quelli del pubblico (ricorso n. 1704/06, 27 gennaio 2009, Ramishvili and Kokhreidze c. Georgia, §98 ss.)

[6] Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 “sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.

[7] Articolo 5. Presentazione degli indagati e imputati.”1. Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica. 2. Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri applichino misure di coercizione fisica che si rivelino necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi”.