(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo,G.Dobici)
Corte di cassazione, ordinanza 21 marzo 2024 n. 7642
Obbligo di indicare i motivi della mancata rotazione in CIGS a zero ore anche in caso di chiusura di un’unità produttiva.
1, Una Società romana, articolata in più unità produttive nel territorio comunale, cessando l’attività in una di esse, aveva avviato la procedura di cui all’art. 1, L. n. 223/1991 [nel testo anteriore alle modifiche introdotte tra il 2012 e il 2015 dai Governi Monti (prima) e Renzi (dopo)], comunicando alle OO.SS., tra l’altro, che avrebbe messo in CIGS a zero ore tutto il personale dell’unità produttiva in parola. Alcune dipendenti sospese a zero ore hanno impugnato la decisione censurando l’assenza di indicazione, nella comunicazione relativa alla procedura, dei motivi della mancata rotazione con dipendenti di altre unità e dei criteri di scelta adottati in alternativa.
Pervenuta la causa in Cassazione, la S.C., confermando la decisione di accoglimento delle domande (di pagamento della retribuzione piena nel periodo di sospensione illegittima), ha ribadito la propria giurisprudenza in materia affermando l’obbligo, non adempiuto invece dalla Società, di indicare nella comunicazione di avvio della procedura, le ragioni della mancata adozione della rotazione -e dei criteri di scelta -, quali, in ipotesi, la “non comunicabilità” tra le varie unità produttive o l’infungibilità delle mansioni e delle professionalità impiegate nell’unità rispetto alle altre (circostanze ambedue del resto smentite dall’esistenza di un precedente episodio di CIGS a zero ore nella medesima unità, in cui era stata adottata la rotazione con dipendenti di altre unità).
Per la Cassazione, dunque, se il datore di lavoro, per ragioni di ordine tecnico-organizzativo ritiene di non adottare il predetto meccanismo di rotazione, deve tuttavia indicarne i motivi nel programma da sottoporre alle OO.SS. Secondo la S.C., il suddetto obbligo permane anche in caso di cessazione dell’attività, essendo la stessa inserita in quella complessa concertazione attraverso cui la normativa tende a ridurre le conseguenze della crisi o della ristrutturazione dell’impresa sull’occupazione. Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della Società e confermato l’illegittimità della collocazione delle dipendenti in CIGS..
2. “[…] Corte di cassazione
(omissis)
[…]
12. Orbene, in considerazione dei suddetti elementi di fatto, ritenuti dalla Corte distrettuale, occorre verificare se la sussunzione della fattispecie concreta, come delineata, sia conforme a quella astratta prevista dall’art. 1 legge n. 223/91, come interpretata dalla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 302/2000) secondo cui l’impresa deve esplicitare, nella comunicazione alle organizzazioni sindacali, l’eventuale decisione di non applicare il criterio della rotazione tra lavoratori che svolgono le stesse mansioni, i motivi di tale decisione e i criteri alternativi alla rotazione che consentano di individuare in maniera univoca i lavoratori da sospendere ciò in considerazione della funzione “di garanzia procedimentale della procedura per la concessione dell’integrazione salariale consistente nel “rendere trasparente e verificabile la scelta del datore di lavoro in funzione di tutela di quei lavoratori che, subendo la scelta suddetta, si trovano in una situazione di mera soggezione”. L’esternazione, nella comunicazione iniziale, dei criteri in base ai quali i lavoratori da sospendere saranno individuati, garantisce il controllo della coerenza tra la scelta dei destinatari della sospensione e le sue cause: controllo che deve poter essere esercitato non solo da parte delle organizzazioni sindacali ma anche, in ultima istanza, da parte del lavoratore e del giudice.
13. La giurisprudenza di legittimità ha, anche, chiarito che: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta dei lavoratori ai criteri predeterminati; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, settimo comma legge n. 223 del 1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (e la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. n. 4886 del 2015, Cass. n. 18895 del 2014, Cass. 14/5/2012, n. 7459). Con particolare riferimento al requisito di specificità si è precisato (Cass. n. 22540 del 2013, Cass n. 25100 del 2013) che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (Cass. n. 6761/2020).
14. Ne consegue che la violazione delle regole del procedimento incide direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di concessione dell’intervento straordinario di integrazione salariale che non può essere assentito ove non sia stato indicato e comunicato né il criterio della rotazione né altro criterio che individui, in alternativa a quest’ultimo, i lavoratori da sospendere (cfr. Cass. n. 19618 del 2011 e molte altre successive: cfr. tra le tante Cass. n. 12089 del 2016).
15. Tanto premesso, due sono le questioni da esaminare per valutare l’operato della Corte distrettuale ai fini di ritenere corretta o meno l’incidenza della rilevata mancanza di prova sui presupposti per l’esonero del criterio della rotazione: lo svolgimento, da parte dei lavoratori, delle medesime mansioni e l’appartenenza ad una unità produttiva, interessata dalle sospensioni, la cui attività era cessata.
16. Rileva questo Collegio che, per unità produttiva interessata dalle sospensioni, deve farsi riferimento ad una entità dotata di propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi (così mutando il concetto di “reparto” individuato da questa Corte ai fini del trasferimento del ramo d’azienda, per tutte cfr. Cass. n. 20012/2005 e fatto proprio dal Ministero del lavoro, proprio con riguardo alla tematica oggetto del presente giudizio, con nota del 19 maggio 2008 n. 0006416, in relazione al DM 18.12.2002 n. 31826).
17. Quanto all’incidenza della ipotesi della “cessazione dell’attività”, è d’obbligo il richiamo a quanto affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 6/99) che ha affermato, sia pure in tema di messa in mobilità, che anche la cessazione dell’attività si vuole inserita in quella complessa concertazione attraverso cui la normativa sulla mobilità tende a ridurre le conseguenze della crisi o della ristrutturazione dell’impresa sull’occupazione”.
18. Per lavoratori che espletano le medesime mansioni devono intendersi, invece, lavoratori di analoghe professionalità e di similare livello (Cass. n. 33889/2022) che svolgono mansioni omogenee e, quindi, fungibili.
19. Nel caso concreto, pertanto, era effettivamente necessario, come sottolineato dalla Corte territoriale, attraverso un esame esegetico dell’atto – effettuato senza alcuna violazione dei criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. – che costituisce un accertamento di merito adeguatamente motivato, che la comunicazione del 28.8.2012, con cui la società aveva avviato la procedura per il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria a zero ore per i lavoratori addetti all’unità produttiva di Via (Omissis), per essere valida ai fini della esclusione del criterio della rotazione, dovesse specificare in concreto: a) che l’unità di Via (Omissis) fosse del tutto autonoma sotto il profilo organizzativo ed economico; b) che le attività ivi svolte erano cessate e non trasferite ad altri siti; c) che le professionalità dei lavoratori addetti al sito di Via (Omissis) fossero solo ivi utilizzabili.
20. Sotto questo ultimo profilo, acquista senza dubbio rilevanza processuale la circostanza che, a prescindere dalla natura dell’Accordo del 30.5.2013 (quale contratto di solidarietà e ammortizzatore sociale diverso da quello di cui è causa), fu prevista la rotazione dei lavoratori di Via (Omissis), collocati in CIGS, con i dipendenti delle altre unità produttive romane ed il rientro in servizio dei lavoratori sospesi in CIGS giusta piano di risanamento: il che è un indice sintomatico della fungibilità delle mansioni svolte dai lavoratori di Via (Omissis) con quelli degli altri siti di Roma.
21. Infine, deve precisarsi che anche l’obiezione della ricorrente relativa al fatto che la cessazione dell’attività doveva ritenersi provata dalla emissione del Decreto n. 73586 del 4 giugno 2013 con il quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva approvato il programma di CIGS per cessazione attività ed autorizzato la corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale, non può incidere sul difetto della comunicazione in oggetto, sia perché, in sede amministrativa, viene valutato solo il profilo formale della cessazione e non anche quello dell’eventuale trasferimento delle attività ad altri siti, sia perché anche in caso di cessazione, per quanto sopra detto, è necessaria una completa ed adeguata comunicazione, che involga tutti gli aspetti (fungibilità delle mansioni, unità produttiva e cessazione delle attività, in relazione al parametro delle ragioni di ordine tecnico-organizzativo connesse al mantenimento di normali livelli di efficienza) con riguardo alla esclusione del criterio della rotazione dei lavoratori da sospendere.
22. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
23. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo e con distrazione in favore dei difensori delle controricorrenti. Nulla dev’essere disposto quanto alle spese rispetto alle altre tre lavoratrici, rimaste mere intimate.
24. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso […]”.
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