(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 2 aprile 2024, n. 8648

Assegno ordinario invalidità. Trattenute ratei. Indennità di disoccupazione agricola. Esenzione fiscale. Rigetto.

“[…] La Corte di cassazione

(omissis)

Ritenuto che

La Corte d’appello di Reggio Calabria confermava in parte la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’azione di accertamento negativo proposta da C.A. avente ad oggetto le trattenute applicate dall’Inps sui ratei di assegno ordinario di invalidità.

Riteneva la Corte che le trattenute fossero legittime. La prima trattenuta riguardava quanto erogato indebitamente dall’Inps a titolo di indennità di disoccupazione agricola. La Corte riteneva dimostrati i pagamenti a suo tempo fatti da parte dell’Inps. La seconda trattenuta era di natura fiscale e riguardava le ritenute alla fonte dovute dall’Inps quale sostituto d’imposta su ratei arretrati dell’assegno ordinario d’invalidità. Rilevava la Corte che il sostituto d’imposta era tenuto a operare le ritenute nel loro intero ammontare, a prescindere da esenzioni fiscali eventuali spettanti al sostituito, il quale avrebbe semmai tutela nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Inoltre, la Corte precisava che, a ogni modo, C.A. non aveva dato la prova di aver diritto all’esenzione fiscale.

Avverso la sentenza, ricorre C.A. per due motivi.

L’Inps resiste con controricorso.

All’adunanza camerale odierna il collegio si riservava il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza.

Considerato che

Con il primo motivo di ricorso, C.A. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt.12, 13, 17 e 21 d.P.R. n.917/86, anche in rapporto all’art.2697 c.c.

Afferma che il sostituto d’imposta è tenuto ad accertare se sussistono le condizioni di esenzione fiscale tali per cui non va effettuata la ritenuta fiscale. Contesta altresì che l’onere probatorio dell’esenzione fiscale fosse in suo capo.

Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt.115 c.p.c. e 2697 c.c.. La Corte non avrebbe dovuto ritenere provati i pagamenti dell’indennità di disoccupazione agricola, da sempre contestati tenuto conto dell’inidoneità della documentazione prodotta dall’Inps a fornirne la prova.

Il primo motivo è infondato.

Va premesso che, in punto di trattenuta fiscale, la sentenza è basata su una doppia ratio decidendi: da un lato ha affermato che il sostituto d’imposta è tenuto a operare le ritenute nel loro intero ammontare, a prescindere da esenzioni fiscali eventuali spettanti al sostituito, il quale semmai ha tutela nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Dall’altro lato, ha precisato che l’odierno ricorrente non aveva dato la prova di aver diritto all’esenzione fiscale.

Trattandosi di una doppia ratio decidendi, il rigetto o l’inammissibilità del motivo che censura una delle due rationes, determina l’inammissibilità della censura riferita all’altra ratio per carenza d’interesse in quanto, anche in caso di suo accoglimento, la sentenza rimarrebbe ferma in forza della sua prima ratio (Cass.12372/06).

Ciò posto, essendo inammissibile o infondata la censura che investe la ratio decidendi basata sull’onere della prova, diviene inammissibile per carenza d’interesse la censura che investe la ratio decidendi fondata sull’obbligo del sostituto d’imposta di effettuare sempre la ritenuta fiscale.

Orbene, la censura fondata sull’assunta violazione dell’art.2697 c.c. è inammissibile e comunque infondata.

È inammissibile per genericità, poiché non specifica quale sia stato il reddito del ricorrente negli anni cui si riferiscono gli arretrati soggetti a ritenuta fiscale. In tal modo non è possibile di apprezzare se davvero vi fosse un diritto all’esenzione fiscale tramite il meccanismo della detrazione di cui all’art.13 d.P.R. n.917/86. Nella sostanza, in carenza di specificità del motivo, il tema del riparto dell’onere probatorio diviene una questione puramente giuridica senza alcuna rilevanza pratica.

Ma la censura è anche infondata. Si verte in tema di tassazione separata degli emolumenti erogati in arretrato ai sensi dell’art. 21, co.4 d.P.R. n.917/86. Come affermato dalla Corte in un caso simile (Cass.13422/19) la ritenuta fiscale non spetta se le detrazioni non sono state fruite negli anni cui si riferiscono gli arretrati, e sul punto occorre una dichiarazione del contribuente. È quest’ultimo, dunque, a dover fornire la prova del diritto alla detrazione. Il meccanismo viene mantenuto dall’art.23, co.2, lett. c) d.P.R. n.600/73, che infatti richiama i criteri dell’art.21.

Corretta è poi l’affermazione della Corte d’appello secondo cui (v. Cass.11201/14) in tema d’indebito previdenziale (pagamento di somme non dovute poiché al lordo della ritenuta fiscale), nel giudizio instaurato dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata (diritto all’esenzione fiscale), ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico.

Il secondo motivo è inammissibile.

La Corte ha espresso il proprio libero apprezzamento, ai sensi dell’art.116 c.p.c., sul materiale istruttorio acquisito, e ha concluso che la documentazione proveniente dall’Inps, unitamente al contegno processuale dell’odierno ricorrente, anch’esso valutabile ai fini dell’art.116 c.p.c. (contestazione di inidoneità della documentazione ma non della veridicità dei dati fattuali in essa contenuti), fosse tale da ritenere dimostrati i pagamenti. Il motivo si limita a criticare la valutazione delle prove compiuta dalla Corte, ma il prudente apprezzamento esercitato dal giudice sul materiale istruttorio non è censurabile deducendo il solo suo cattivo esercizio; in tal caso la censura deve integrare i presupposti dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c. (Cass. S.U. 20867/20); presupposti non rispettati nel motivo, che nulla deduce su fatti decisivi omessi.

Conclusivamente il ricorso va respinto senza pronuncia sulle spese attesa la dichiarazione ex art.152 d.a. c.p.c. già positivamente considerata dalla Corte d’appello e non essendovi evidenze che inducano ad acclarare un mutamento sopravvenuto della situazione reddituale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso […]”.