(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione, Ordinanza 5 aprile 2024, n. 9131.
Cessione di azienda. Licenziamenti. Società sportiva dilettantistica. Diniego del tribunale fallimentare all’esercizio provvisorio dell’impresa. Cessazione totale dell’attività aziendale. Rigetto.
“[…] Corte di cassazione
(omissis)
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame proposto dai lavoratori N.B., S.C.B., G.C., E.R., A.L., G.Q., L.S. ed ha confermato la sentenza del tribunale di Milano che aveva respinto la domanda degli stessi lavoratori con cui chiedevano accertarsi la esistenza di una cessione di azienda tra C.N. e S.M. Spa e la nullità dei licenziamenti intimati in ragione della cessione di azienda.
La Corte di appello ha affermato invece che i lavoratori erano stati licenziati dal curatore fallimentare della società sportiva dilettantistica C.N. s.r.l. partecipata dal Comune di Novate milanese non avendo il tribunale con la sentenza di fallimento autorizzato la continuazione dell’attività e che non si era realizzato alcun trasferimento del loro rapporto presso S.M. Spa; anche perché non era intervenuta nessuna cessione di azienda da C.N. s.r.l. a S.M. Spa.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione N.B., S.C.B., G.C., E.R., A.L., G.Q., con tre motivi; l’intimata società S.M. Spa non ha svolto l’attività di difensiva.
Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso si sostiene, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2112 comma 1 e 4 e 2119 c.c., nonché degli artt. 1 e 3 legge 604/1966 per avere la Corte d’appello di Milano ritenuto giustificati i licenziamenti intimati agli odierni ricorrenti invertendo l’ordine logico delle questioni ( tra licenziamenti e cessione d’azienda) e senza considerare prima che era stata effettuata una cessione di azienda e che l’attività non era effettivamente cessata ma continuata a seguito di un breve periodo di sospensione di poco più di un mese.
2.- Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112, comma 1 e 5, e della Direttiva 23/01 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello ritenuto che non era intervenuto nel caso di specie un trasferimento di ramo d’azienda tra la C.N. e la S.M. spa per il fatto che la nuova gestione era avvenuta dopo la restituzione al Comune dell’impianto sportivo ed a seguito della gara necessaria per assegnare la concessione.
3. Con il terzo motivo viene denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame da parte della Corte d’appello di Milano circa più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti costituiti dalle allegazioni contenute negli atti di causa, aventi ad oggetto l’essere i licenziamenti dei ricorrenti illegittimi ed ingiustificati, in quanto decisi e posti in essere nell’ambito del già deciso trasferimento del ramo di azienda a cui afferivano i loro rapporti tra la C.N. e la S.M..
4.- I tre motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per la connessione tra le censure sollevate, devono essere disattesi.
5. La Corte di appello a fondamento della pronuncia impugnata ha rilevato che i lavoratori ricorrenti avevano dedotto, in forza dell’articolo 2112 c.c., il trasferimento del ramo d’azienda dalla fallita C.N. alla società subentrata nella gestione del Centro polifunzionale Poli ovvero la S.M. S.p.A., così reclamando nei confronti di quest’ultima il loro diritto al trasferimento dei rapporti di lavoro, nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dopo il licenziamento.
6.- Secondo la Corte d’appello però nel caso di specie venivano in evidenza considerazioni e fatti che avevano preceduto il licenziamento dei lavoratori, nell’ambito dei quali acquisivano particolare rilievo la circostanza relativa alla dichiarata improcedibilità della domanda di concordato preventivo presentata al Tribunale di Milano dalla C.N. e la successiva dichiarazione di fallimento del 23/06/2016 con la quale peraltro si negava l’esercizio provvisorio dell’impresa; a dette circostanze aveva fatto seguito in data 27.6.2016 il licenziamento dei lavoratori di C.N. con la motivazione che il tribunale con la predetta sentenza di fallimento non aveva autorizzato la continuazione dell’attività, non sussistendo le condizioni per una ripresa della stessa da parte della curatela.
7.- La Corte d’appello ha sostenuto quindi che i ricorrenti erano stati licenziati dalla cedente prima della asserita cessione e che, pertanto, non si era realizzato alcun loro trasferimento presso M.S. Spa.
Il giorno immediatamente successivo il curatore, autorizzato dal giudice delegato, ha ratificato l’accordo di risoluzione della convenzione che legava C.N. al Comune ed ha riconsegnato al Comune i beni di cui era legittimo proprietario, ricevendo secondo l’accordo la somma di euro 500.000.
La Corte ha rilevato, inoltre, come al fallimento delle imprese con meno di 15 dipendenti non consegua l’automatico licenziamento dei lavoratori, dovendosi invece indagare le concrete possibilità di prosecuzione dell’attività ma tale possibilità nel caso di specie era preclusa per disposizione giudiziale; ed ha verificato come il diniego del tribunale fallimentare all’esercizio provvisorio dell’impresa abbia comportato la totale cessazione dell’attività aziendale ed escluso ogni alternativa astrattamente praticabile tra cui la cessione d’azienda. Ha quindi concluso la Corte di merito che le motivazioni dei licenziamenti, intervenuti per giustificato motivo oggettivo, rendevano ragione di tale impossibilità di prosecuzione dell’attività d’impresa ed essendo adeguatamente specifiche e coerenti con la disposizione giudiziale superavano il vaglio di legittimità.
Pertanto, al momento della asserita cessione d’azienda, che voglia intendersi effettuata a favore del Comune, ovvero della società convenuta, in capo ai ricorrenti difettava l’indispensabile requisito della titolarità di un rapporto di lavoro valido ed efficace con la cedente.
8. A fronte di tale accertamento concreto, operato in fatto dalla Corte di merito, si rivelano in parte infondate ed in parte inammissibili tutte le censure sollevate nei motivi di ricorso.
9.- Ed invero contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, dagli accertamenti di fatto effettuati nella sentenza gravata emerge l’esistenza di una effettiva cesura nella gestione del centro polifunzionale Poli intervenuta dopo il fallimento della C.N. e la successiva ripresa dell’attività da parte della S.M. S.p.A.; questa cesura è rappresentata non tanto dal fallimento della C.N. in sé, ma dal “diniego del tribunale fallimentare all’esercizio provvisorio dell’impresa” che “aveva comportato la totale cessazione dell’attività aziendale ed escluso ogni alternativa astrattamente praticabile tra cui la cessione d’azienda”.
10.- Sulla scorta di tali concreti presupposti di fatto, effettivamente accertati in giudizio, sono seguiti i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo la cui motivazione – secondo l’accertamento della Corte di appello – rendeva ragione della impossibilità della prosecuzione dell’attività d’impresa in modo specifico e coerente con la disposizione giudiziale superavano il vaglio di legittimità.
11.- In forza di tali dati la sentenza impugnata si sottrae quindi alle censure sollevate col ricorso.
Anzitutto perché è privo di fondamento affermare che la Corte avrebbe invertito l’ordine logico delle questioni da affrontare; perché, secondo la tesi della difesa ricorrente, andava affrontata prima la questione della cessione di azienda e solo dopo la questione della legittimità o meno dei licenziamenti intimati dalla società C.N. cedente il ramo di azienda a cui afferivano i rapporti in esame.
12.- Al contrario, sul piano giuridico non si è verificata alcuna inversione logica delle questioni da affrontare; sia perché il diritto alla continuazione dei rapporti di lavoro ex art. 2112 c.c. opera sempre e soltanto per i rapporti di lavoro che non siano stati legittimamente estinti in data anteriore all’eventuale cessione di azienda, in quanto fondati su ragioni afferenti alla struttura aziendale precedente autonomamente considerata (tra le tante Cass. n. 11410/2018, n. 15495/2008); e sia perché la tesi della illegittimità dei licenziamenti veicolata dai ricorrenti – per essere stati intimati proprio a causa ed in ragione del contestuale intervenuto trasferimento del ramo di azienda in esame – contrasta radicalmente con l’accertamento di fatto operato dalla sentenza di merito; la quale, come si è sopra riportato, ha individuato una legittima ed autonoma ragione giustificatrice di natura oggettiva alla base della risoluzione dei rapporti di lavoro, del tutto svincolata da una successiva (ed insussistente) vicenda circolatoria a cui i ricorrenti tentano invano un aggancio ex post, allo scopo di operare una rilettura a ritroso dei fatti di causa. Che però non è ammessa in questa sede, nemmeno attraverso la deduzione delle plurime circostanze di fatto di cui si parla nel terzo motivo di ricorso, ciascuna della quale priva di concludenza e decisività, ed attraverso cui appunto i ricorrenti mirano ad una rilettura complessiva degli accertamenti di merito in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità; per la quale, come statuito dalle Sez. Un. sentenza n. 8053 del 07/04/2014, il vizio ex art. 360 n. 5 richiede che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. n. 27815/2018).
13.- Secondo i ricorrenti, infatti, l’attività del centro polifunzionale Poli non sarebbe oggettivamente cessata ma aveva semplicemente smesso di eseguirla l’impresa cedente C.N.; e la sua esecuzione sarebbe continuata e proseguita da parte dell’impresa cessionaria S.M. spa che aveva acquisito la gestione del centro in questione; proprio come avviene in qualsiasi fattispecie circolatoria caratterizzata da un trasferimento di ramo d’azienda e dall’attività adesso connessa.
Tuttavia, la descritta situazione non solo non emerge dalla sentenza impugnata o dagli atti di causa, ma è in radicale contrasto con il diverso accertamento effettuato sul medesimo fatto dalla Corte di appello (che ha escluso ogni alternativa astrattamente praticabile tra cui la cessione d’azienda), e sulla cui base è stata pronunciata la sentenza impugnata, non suscettibile di essere rivisitata in questa sede di legittimità, neppure attraverso il motivo dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per sua intrinseca inidoneità ed inammissibilità, mirando lo stesso a una rivalutazione del merito.
14.- Ne deriva, infine, che deve ritenersi pure infondata, ed in ogni caso del tutto priva di rilevanza, anche la censura secondo cui, sul piano giuridico, una cessione di azienda potrebbe essere configurata anche nell’ipotesi di successione in una concessione amministrativa e senza l’esistenza di rapporti contrattuali diretti fra cedente e cessionario atteso che la cessione può essere effettuata anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo (Cass. n. 7121/2016, Cassazione 21481/2009).
Nel caso di specie l’inesistenza della fattispecie circolatoria (successivamente alla gara effettuata dal Comune per l’assegnazione della concessione) è stata affermata dalla Corte di appello sulla base di accertamenti di fatto e, in ogni caso, in via subordinata, con motivazione ad abundantiam (“La cesura per tal modo impressa alla vicenda traslativa impedisce dunque la realizzazione della fattispecie divisata dall’art. 2112 e l’accoglimento anche per tale percorso della domanda degli appellati.”).
15.- Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.
Nulla per le spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva. Segue il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese processuali […]”.
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