(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 19 luglio 2024, n. 19987.

Lavoro. Iscrizione alla Gestione separata. Soglia di reddito. Pagamento dei contributi. Sanzioni civili dipendenti dal reddito da lavoro autonomo percepito. Contributo c.d. “soggettivo”. Sanzioni civili per omissione contributiva. Rapporto di complementarità tra gestione previdenziale di categoria e Gestione separata. Motivo in parte accolto.

“[…] La Corte di Cassazione.

(omissis)

Rilevato che

In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’opposizione proposta dall’avv. C.C. avverso un avviso di addebito emesso dall’Inps e avente ad oggetto il pagamento dei contributi e delle sanzioni civili dipendenti dal reddito da lavoro autonomo percepito dalla stessa nell’anno 2010, a seguito di iscrizione d’ufficio alla Gestione separata istituita presso l’ente.

Riteneva la Corte d’appello che: l’iscrizione era dovuta atteso il mancato pagamento del contributo soggettivo; il credito non era prescritto decorrendo la prescrizione dal 6.7.2011, per effetto dell’art.1 d.P.C.m. 12.5.2011, ed essendo l’atto interruttivo comunicato il 4.7.2016; erano dovute le sanzioni civili per omissione contributiva.

Avverso la sentenza C.C. ricorre per cinque motivi.

L’Inps, in proprio e quale procuratore speciale della (…) (S.C.C.I.) s.p.a., si è difesa con controricorso contenente ricorso incidentale.

All’adunanza camerale il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.

Considerato che

Con il primo motivo di ricorso principale, C.C. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2935 c.c., 17 d.p.r. n.435/01, modificato dal d.l. n. 223/06, conv. con l. n. 248/06, 1 d.P.C.m. 12.5.11, nonché omessa motivazione, per avere la Corte d’appello ritenuto rilevante, ai fini del dies a quo della prescrizione, il d.P.C.m. 11.5.2011, nonostante esso sia un mero atto amministrativo, come tale inidoneo a far slittare in avanti il momento di decorrenza della prescrizione.

Con il secondo motivo di ricorso principale, si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme processuali e omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte dato rilievo al d.P.C.m. 17.5.11 nonostante esso fosse stato richiamato dall’Inps solo in atto d’appello, e quindi tardivamente.

Con il terzo motivo di ricorso principale, si deduce omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte ritenuto che l’atto interruttivo fosse stato ricevuto il 4.7.2016, quando la ricorrente aveva eccepito che il doc. 5 prodotto dall’Inps recava una data di ricezione non intellegibile.

Con il quarto motivo di ricorso principale, si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, co. 26 l. n. 335/95, dell’art. 3, co.1 e 2 d.lgs. n.103/96 e dell’art.18, co.12 l. n.111/11, per avere la Corte d’appello ritenuto che il contributo integrativo non bastasse a costituire una posizione previdenziale presso la Cassa forense.

Con il quinto motivo di ricorso principale, si deduce omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte pronunciato sull’eccezione di nullità dell’avviso di addebito per mancanza dei requisiti essenziali di validità.

Con il motivo di ricorso incidentale, l’Inps deduce violazione dell’art.116, co.8 l. n. 388/00 per avere la Corte d’appello ritenuto l’omissione anziché l’evasione contributiva.

Il primo motivo di ricorso principale è infondato.

Come già affermato da questa Corte, la prescrizione dell’obbligazione contributiva decorre dal momento in cui scadono i relativi termini di pagamento, come dispone l’art. 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155: i contributi obbligatori si prescrivono «dal giorno in cui i singoli contributi dovevano essere versati».

 I termini di versamento dei contributi sono definiti dall’art. 18, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241: «i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi».

Quanto ai termini per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, cui sono ancorati anche i termini per il pagamento dei contributi, riveste importanza essenziale l’art. 12, comma 5, del menzionato d.lgs. n. 241 del 1997.

La disposizione citata demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la possibilità di modificare i termini riguardanti gli adempimenti dei contribuenti relativi a imposte e contributi dovuti in base allo stesso decreto, tenendo conto delle esigenze generali dei contribuenti, dei sostituti e dei responsabili d’imposta o delle esigenze organizzative dell’amministrazione.

Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – nel caso di specie il d.P.C.M. 17.5.2011 – rinviene dunque un inequivocabile fondamento normativo nella fonte primaria che ne autorizza l’intervento e si configura come un atto di natura regolamentare, in quanto concorre ad attuare e a integrare le previsioni del d.lgs. n. 241 del 1997, e come tale è idoneo a fondare il dies a quo del termine di prescrizione (Cass.17970/22; Cass. 24047/22; Cass. 22336/22).

Quanto all’argomento del motivo in cui si dice che la ricorrente aveva aderito al regime dei minimi, va detto che ciò non esclude l’applicabilità del d.P.C.m. 17.5.2011, in quanto ciò che rileva è il dato oggettivo dello svolgimento di un’attività economica riconducibile tra quelle per le quali siano state elaborati studi di settore, e non la condizione soggettiva del singolo professionista di effettiva sottoposizione al regime fiscale derivante dall’adesione alle risultanze degli studi medesimi (Cass. 24668/22, Cass. 23314/22, Cass. 23309/22, Cass. 22336/22).

Il secondo motivo di ricorso principale è infondato.

Questa Corte (Cass. 28565/22) ha affermato che rientra nei poteri del giudice, compreso quello di legittimità, valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione del termine iniziale di decorrenza, in applicazione del d.P.C.m. emanato in attuazione del d.lgs. n.241/97. Il fatto dunque che l’Inps solo in grado d’appello abbia dedotto la rilevanza del d.P.C.m. 17.5.2011 è irrilevante, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio.

Il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile.

La sentenza, in base a una valutazione di fatto compiuta sulle prove prodotte, ha ritenuto che il doc. 5 dell’Inps indicasse la data del 4.7.2016 quale data di ricezione dell’atto interruttivo della prescrizione.

Tale valutazione del contenuto del documento viene contestata dal motivo in modo inammissibile, poiché esso non deduce alcuna omissione di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, co.1, n.5 c.p.c. Va ricordato che la doglianza sull’avere il giudice male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, è ammissibile nei soli limiti dell’art. 360, co.1, n.5 c.p.c. (Cass. S.U. 20867/20).

Il quarto motivo di ricorso principale è fondato nei termini che seguono.

A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 18, co.12 d. l. n.98/11, questa Corte ha interpretato l’art. 2, co.26 l. n.335/95 nel senso che il professionista non iscritto alla cassa previdenziale di categoria e non tenuto a versare il contributo c.d. soggettivo, deve essere iscritto alla Gestione separata presso l’Inps (v. ad es. Cass. 32167/18 e Cass. 32608/18 relativamente alla professione di avvocato).

Se il professionista non supera la soglia di reddito tale da rendere obbligatoria l’iscrizione alla cassa – come è nel caso di specie – lo stesso è tenuto all’iscrizione presso la Gestione separata in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui risulta funzionale l’art. 2, co.26 l. n.335/95.

In particolare, è stato rilevato che (v. Cass. 5826/21): la ratio universalistica delle tutele previdenziali induce ad attribuire rilevanza alla sola contribuzione suscettibile di tradursi in una correlata prestazione previdenziale, ciò che non è per il c.d. contributo integrativo, avente funzione solidaristica;

è da escludere che il comma 25 dell’art. 2 delinei, rispetto al comma 26, un riparto di competenze tale per cui laddove una cassa abbia escluso l’obbligo di iscrizione in ragione della contemporanea iscrizione ad altra gestione previdenziale obbligatoria, non possa espandersi l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, dovendo invece parlarsi di un rapporto di complementarità tra gestione previdenziale di categoria e Gestione separata; quando non è dovuto il versamento contributivo alla cassa di categoria, la questione è solo quella di stabilire la tipologia di versamento contributivo che può esonerare dall’iscrizione alla Gestione separata, e questa questione è risolvibile alla luce del solo comma 26 dell’art.2 l. n.335/95.

Da ultimo, l’orientamento di cassazione, cui si è uniformata la sentenza impugnata, è stato ritenuto conforme a Costituzione dalla Consulta, con la citata sentenza n.104/22.

In essa si riconosce che gli argomenti fondanti il ragionamento di questa Corte, ovvero la ratio universalistica sottesa all’art. 2, co.26 l. n.335/95, nonché il rapporto di complementarità anziché di alternatività tra il sistema previdenziale categoriale e quello della Gestione separata, rispondono ai principi di tutela degli artt. 35 e 38 Cost. Quanto detto vale riguardo dal debito per contributi.

Diverso è il discorso per le sanzioni civili, non essendo il relativo capo della sentenza passato in giudicato: l’impugnazione sul debito contributivo rimette infatti in discussione il profilo accessorio delle sanzioni civili. Riguardo alle sanzioni civili, occorre considerare che sono relative ai contributi omessi per l’anno 2010, ovvero ad epoca precedente l’entrata in vigore del d. l. n.98/11.

Ora, la sentenza C. Cost. n.104/22 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.18, co.12 d. l. n.198/11 (ndr art.18, co.12 d. l. n.98/11) nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 l. n.576/80, tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’Inps, siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente, delle sanzioni civili per l’omessa contribuzione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore.

Per effetto di tale sentenza, applicabile ex art.136 Cost. al caso di specie, non essendo ancora caduto il giudicato interno sull’obbligo di pagamento delle sanzioni civili, il motivo va accolto in parte qua con cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito dichiarando che la ricorrente non è tenuta al pagamento delle sanzioni civili relative alla sua iscrizione alla Gestione separata per l’anno 2010 (v. Cass.17970/22, Cass. 30406/22, Cass. 4078/23).

Il quinto motivo di ricorso principale è inammissibile.

Esso difetta di autosufficienza, non specificando il motivo in quale atto processuale del giudizio d’appello fosse stata svolta l’eccezione di nullità dell’avviso d’addebito, e nemmeno riportando specificamente il contenuto di tale eccezione, limitandosi a dire che essa era stata proposta. Quando, come nel caso di specie, l’impugnazione deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su un’eccezione, il principio di autosufficienza richiede che l’eccezione sia riportata nei suoi esatti termini e non genericamente, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali era stata proposta (Cass. 6361/07 Cass.15367/14, Cass. 28072/21).

Il motivo di ricorso incidentale è infondato, atteso quando sopra detto trattando del quarto motivo di ricorso principale.

Le spese dell’intero processo sono compensate atteso che la cassazione della sentenza è dipesa dalla sopravvenienza, rispetto al ricorso, della sentenza della Corte Costituzionale n.104/22.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo di ricorso per quanto di ragione, respinti i restanti; cassa la senza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che la ricorrente non è tenuta al pagamento delle sanzioni civili relative alla sua iscrizione alla Gestione separata per l’anno 2010. Compensa le spese dell’intero processo”.