(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Cassazione, Sentenza 15 luglio 2024, n. 19354.

Licenziamento. Rapporto di lavoro subordinato. Trasferimento d’azienda. Contratto di somministrazione. Conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato. Reintegrazione nel posto di lavoro. Pagamento delle retribuzioni dalla cessazione del rapporto di lavoro somministrato alla riassunzione. Indennità risarcitoria. Accoglimento parziale.

“[…] La Corte di Cassazione.

(omissis)

Fatto

1. Con sentenza 22 gennaio 2018, la Corte d’appello di Milano ha accertato, nella contumacia di Q. s.r.l., la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra i lavoratori indicati in epigrafe e la società, con decorrenza per ciascuno dall’assunzione e ha determinato l’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 32, quinto comma legge n. 183/2010 in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ognuno: così riformando la sentenza di primo grado, di reiezione della loro domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento e di conseguenti condanne alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni dalla cessazione del rapporto di lavoro somministrato alla riassunzione, previo l’accertamento della loro soltanto formale dipendenza dall’agenzia di somministrazione M. s.p.a., in realtà effettiva –avendo per essa lavorato per molti anni in forza di plurimi contratti di somministrazione a termine –dall’utilizzatrice Q. s.r.l., per l’intero periodo dal 2002 al 2008.

2. Al contrario del Tribunale, che aveva ritenuto generica ed astratta la dedotta mancanza di forma scritta dei contratti e provata la causale per “punte di intensa attività” derivante da richieste di mercato fluttuante e non riconducibili a stagionalità, la Corte territoriale ha ritenuto, in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, il difetto di prova dell’esistenza di un’esigenza temporanea di incremento della forza lavoro, in relazione a circostanze o fatti produttivi imprevisti né prevedibili, tali da giustificare la necessità di ricorso al lavoro somministrato.

3. Essa ha quindi limitato le conseguenze dell’accertata illegittimità alla sola indennità risarcitoria, liquidata in via equitativa nella misura suindicata, non potendo il rapporto di lavoro essere ripristinato per via dell’intervenuto fallimento di Q. s.r.l.

4. Con atto notificato il 18 luglio 2018, i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui ha resistito B. s.r.l., chiamata in giudizio ai sensi dell’art. 111 c.p.c., quale cessionaria dell’azienda dal Fallimento Q. s.r.l., con controricorso e ricorso incidentale articolato su quattro motivi; il Fallimento intimato non ha svolto attività difensiva.

5. Il P.G. ha rassegnato, a norma dell’art. 23, comma 8bisd.l. 137/2020 conv. con mod. in legge n. 176/2020, le proprie conclusioni nel senso di accoglimento del ricorso principale e rigetto dell’incidentale, confermate in occasione dei rinvii della sua trattazione successivamente disposti.

Ed infatti, la causa, già fissata in pubblica udienza, è stata rinviata una prima volta a nuovo ruolo per rinnovare la notificazione del ricorso alla curatela fallimentare e nuovamente per notificare il ricorso introduttivo ai soci della società fallita (in conformità alla statuizione con sentenza di questa Corte n. 3454 del 2021); e quindi fissata ad un’adunanza camerale, per cui entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

6. Infine, essa è stata rinviata a nuovo ruolo per fissazione, come originariamente, all’odierna pubblica udienza.

Ragioni della decisione

1. In via preliminare, deve essere disattesa la deduzione di inammissibilità del ricorso per cassazione per inesistenza della notificazione a Q. s.r.l. (il cui fallimento, successivamente chiuso, aveva ceduto, a norma dell’art. 105 l. fall. l’azienda a B. s.r.l.), dedotta dalla cessionaria nella sua memoria finale.

Ed infatti:

a) con provvedimento alla pubblica udienza del 7 febbraio 2023, il collegio ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la notificazione del ricorso introduttivo “ai soci della società Q. S.r.l. in liquidazione secondo quanto stabilito da questa Corte di Cassazione n. 3454 del 2021”, secondo cui (posto che, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso e nonostante l’intervento nel giudizio della parte cui esso sia stato trasferito, il processo prosegue fra le parti originarie, salvo che nel caso di espressa estromissione dell’alienante) è inammissibile il ricorso per cassazione che sia notificato unicamente al successore interventore e non alla controparte originaria; sicché, nella specie, essa ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione notificato soltanto alla società cessionaria di azienda e non anche ai soci della società cedente, unici legittimati alla prosecuzione del processo, in qualità di successori diretti nei rapporti obbligatori della società estinta dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese;

b) con nota del 6 marzo 2023, il difensore dei lavoratori ha documentato di aver provveduto a notificare il ricorso per cassazione a C.S., socio unico di Q. S.r.l., già in data 24 maggio 2021, depositando copia dell’atto unitamente alla cartolina di avvenuta notifica Modello 23L, sottoscritta per ricevuta dalla moglie del Sig. S., Sig.ra G.G., nonché visura camerale di Q. S.r.l. in Liquidazione;

c) la visura camerale, pure allegata alla nota, ha attestato la cancellazione della società dal Registro delle Imprese il 23 ottobre 2020 e la partecipazione totalitaria ad essa, quale unico socio, di C.S.: sicché, alla successiva data del 24 maggio 2021 la notificazione del ricorso per cassazione è avvenuta al predetto nella qualità di socio unico (non più liquidatore per effetto dell’avvenuta estinzione della società), con la conseguenza della rituale rinnovazione della notificazione del ricorso per cassazione a Q. s.r.l., ormai estinta e per essa al socio unico C.S.

2. Tanto premesso, nel rispetto dell’ordine di pregiudizialità logico – giuridica, la controricorrente ha dedotto, in via di ricorso incidentale, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 20, quarto comma  e 27, terzo comma d.lgs. 276/2003, per avere la Corte d’appello esorbitato dall’ambito di sindacabilità giudiziale di legittimità della causale relativa alle “punte di intensa attività”, a giustificazione del ricorso al contratto di somministrazione di lavoro a termine: essendo tale controllo limitato alla sola effettiva sussistenza, senza la possibilità di esercizio di alcun sindacato nel merito, invece compiuto dalla Corte milanese, attraverso un’analisi quantitativa, di misura dei picchi, con propria valutazione del “quanto” la “punta” debba essere elevata per essere considerata tale;

3. Esso è infondato;

4. In tema di somministrazione di lavoro, la causale giustificativa indicata in “punte di intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo” è assistita da un grado di specificità sufficiente a soddisfare il requisito di forma sancito dall’art. 21, primo comma, lett. c) del d.lgs. 9 ottobre 2003, n. 276, fermo restando l’onere per l’utilizzatore di fornire la prova dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative in caso di contestazione (Cass. 6 ottobre 2014, n. 21001).

Inoltre, sempre in tema di somministrazione di lavoro, ai sensi del terzo comma dell’art. 27 del d.lgs. cit., il controllo giudiziale, che non si estende al sindacato delle scelte tecniche, organizzative e produttive dell’utilizzatore, va concentrato sulla verifica dell’effettività delle ragioni che giustificano il ricorso alla somministrazione (Cass. 27 ottobre 2015, n. 21916, che nella specie ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto inidonea a consentire tale controllo l’indicazione di ragioni prive di specificazione sui componenti identificativi essenziali, quali i processi organizzativi in atto, le esigenze produttive e quelle di sostituzione del personale assente).

E ancora, nei contratti di lavoro a tempo determinato, soddisfa il requisito di specificità la causale giustificativa che faccia riferimento a “picchi produttivi”, ossia alla intensificazione dell’attività, quando sia accompagnata da altri dati di conoscenza che consentano l’individuazione della ragione organizzativa ed il controllo della sua effettività, nonché del rapporto di causalità con l’assunzione. (Cass. 4 gennaio 2019, n. 77).

4.1. La Corte territoriale ha accertato l’effettività dei picchi di attività e l’ha esclusa sulla base di una verifica (dal secondo all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza) del loro andamento, se continuo o meno, così da essere davvero caratterizzato da “picchi” e non da un flusso di attività ordinario: senza, pertanto, esercitare alcun sindacato di merito quantitativo.

5. Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 105, quarto comma l. fall., richiamato esplicitamente dai lavoratori pur senza alcuna impugnazione del relativo decreto autorizzativo del Giudice delegato, per avere l’atto di cessione d’azienda escluso i debiti e i crediti aziendali anteriori, rimasti “rispettivamente a carico e a beneficio della stessa parte venditrice”, con la precisazione che “la parte acquirente non subentra nei contratti stipulati dalla parte venditrice relativi all’esercizio dell’azienda in oggetto” (art. 3 dell’atto) e così pure negato la vigenza di rapporti di lavoro (art. 4: “la parte cedente, in persona del curatore fallimentare, espressamente dichiara che, relativamente all’azienda in oggetto, non sono in essere rapporti di lavoro subordinato, nei quali debba subentrare la parte cessionaria ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2112 c.c.”)

5. Anch’esso è infondato.

6. La deroga al regime dell’art. 2112 c.c. deve essere esclusa.

Non è stato, infatti, documentato che il trasferimento d’azienda sia avvenuto nell’ambito di procedure di consultazione sindacale, a norma degli artt. 105, terzo comma l. fall. e 47, quinto comma legge n. 428/1990, che prevedono, in materia di trasferimento di imprese assoggettate a procedura concorsuale o di rami di esse, un’ampia facoltà, per l’impresa subentrante, di concordare condizioni contrattuali per l’assunzione ex novo dei lavoratori, in deroga a quanto dettato dall’art. 2112 c.c., nonché la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio; perché tale derogabilità, laddove sia prevista dall’accordo sindacale, anche se peggiori il trattamento dei lavoratori, si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1383).

E sempre si esigono dette procedure, trovando l’articolo 2112 del codice civile, nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo: secondo una lettura conforme al diritto dell’Unione europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la sentenza della Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C-561/07 (all’esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa (Cass. 1 giugno 2020, n. 10414, in ipotesi di amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del d.lgs. 270/1999, nella quale l’accordo sindacale di cui all’art. 47, comma 4bis legge n. 428/1990, inserito dal d.l. 135/2009, conv. in legge n. 166/2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario); fermo restando che, nell’ipotesi di trasferimento di imprese o parti di esse il cui cedente sia oggetto di una procedura fallimentare, non occorre – ai fini dell’operatività degli effetti previsti dall’art. 47, quinto comma legge n. n. 428/1990 (di esclusione dei lavoratori eccedentari dal passaggio presso il cessionario), il requisito della cessazione dell’attività di impresa, da riferire esclusivamente alla procedura di amministrazione straordinaria, in quanto costitutivo di quella fallimentare (14 settembre 2021, n. 24691, in motivazione, sub p.ti 3.1., 3.2.).

6.1. Premesso allora l’onere probatorio datoriale del requisito dimensionale inferiore ai limiti stabiliti dall’art. 18 legge n. 300/1970, costituendo, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatto impeditivo del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento, i cui fatti costitutivi sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo (Cass. s.u. 10 gennaio 2006, n. 141; Cass. 16 marzo 2009, n. 6344; nello stesso senso: Cass. 19 aprile 2017, n. 9867), esso non è stato adempiuto.

È priva, infatti, di alcuna idoneità probatoria l’ultima pagina dell’estratto dal registro delle imprese di Q. s.r.l. in liquidazione e fallimento dell’8 agosto 2018, in relazione al numero dei dipendenti degli ultimi 4 trimestri (13 nei primi due, 0 del III e nel IV) nel comune di Ronco Briantino (MB), sede precedente (doc. 3 allegato al controricorso B. s.r.l.), posto che essa è stata smentita dalla pendenza di contenzioso relativo a lavoratori della cedente fallita.

7. Con il terzo motivo, la ricorrente incidentale ha dedotto ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 111, quarto comma c.p.c., siccome non operante nei confronti della cessionaria in buona fede al momento di acquisto dell’azienda, avendo essa ricevuto dal Fallimento cedente espresse dichiarazioni di negazione esplicita di esistenza di qualsiasi rapporto di lavoro ed appreso del contenzioso soltanto il 6 dicembre 2017, dopo l’emissione l’8 novembre 2017della sentenza d’appello.

8. Con il quarto, essa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 32, quarto comma legge n. 183/2010, per la decadenza dei lavoratori – in virtù della proroga del comma 1bis dello stesso articolo, introdotto dal d.l. 225/2010 conv. con mod. dalla legge n. 10/2011, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso dell’applicazione anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge medesima – non avendo essi provato la tempestiva impugnazione dei rapporti cessati nel 2008 e la sentenza di primo grado emessa il 30 aprile 2014: ben potendo essa ricorrente incidentale formulare tale eccezione di decadenza nel primo scritto utile, non essendo le prerogative di difesa del successore, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., condizionate, né menomate da quelle spettanti al dante causa, né dalla sua eventuale inerzia.

8. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono parimenti infondati.

9. Posto che, come noto, ai sensi dell’art. 111, terzo comma c.p.c., il successore a titolo particolare nel diritto controverso può intervenire o essere chiamato in causa in ogni grado o fase del processo, sicché la chiamata non soggiace alle forme e ai termini prescritti dall’art. 269 c.p.c. (Cass. S.U. 26 agosto 2019, n. 21690), basti in proposito osservare che il ricorso per cassazione è stato ritualmente notificato dai lavoratori alla società cessionaria, subentrante nel giudizio quale successore ai sensi dell’art. 111 c.p.c., sia pure con autonoma fisionomia, nella posizione della parte originaria, con medesimi diritti e poteri, nel limite delle preclusioni verificatesi nella progressione giudiziale: senza con ciò alcuna lesione del suo diritto di difesa, garantito dalla 
presenza in giudizio della parte originaria cui essa è subentrata.

Sicché, in particolare, essa non può formulare, a pena di inammissibilità, eccezioni nuove, quale è quella di decadenza, ai sensi dell’art. 2969 c.c.

D’altro canto, giova ribadire che il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, configurando una successione a titolo particolare nei rapporti preesistenti, sul piano processuale determina, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, salvo il diritto del successore a titolo particolare di intervenire nel processo o la possibilità della sua chiamata in causa, atteso che detto trasferimento non determina l’estinzione della parte cedente, che conserva, per espressa disposizione di legge, con l’interesse ad agire e la veste di sostituto processuale dell’acquirente, il potere di esercitare nel processo i diritti di quest’ultimo, fino a quando l’avente causa non abbia sia intervenuto in giudizio e il potere di impugnazione, fino a quando tale potere non sia stato esercitato dallo stesso avente causa (Cass. 19 novembre 2007, n. 23936; Cass. 23 marzo 2010, n. 6942).

Sicché, integra violazione dell’art. 111 c.p.c. l’esclusione della chiamata in causa – ancorché per la prima volta in grado di appello, da parte della lavoratrice illegittimamente licenziata e reintegrata nel posto di lavoro dopo il trasferimento del ramo d’azienda cui già era stata addetta – della società cessionaria, in considerazione della qualità di questa di successore a titolo particolare della cedente nella generalità dei rapporti preesistenti e dunque di parte del processo, in una posizione processuale e sostanziale non distinta da quella del suo dante causa; con la conseguenza della legittimazione della cessionaria ad intervenire o ad essere chiamata in causa, senza i limiti di cui all’art. 344 c.p.c. né il rispetto delle condizioni prescritte dall’art. 269 c.p.c. (Cass. 21 maggio 2018, n. 12436; Cass. 20 agosto 2020, n. 17486).

9.1. Deve inoltre essere richiamato il principio, secondo cui l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo (così come l’effetto estintivo determinato dalla scadenza del termine) intimato in epoca anteriore al trasferimento d’azienda, in quanto meramente precario e destinato a essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisca, ai sensi dell’articolo 2112 c.c., in capo al cessionario (Cass. 11 marzo 2022, n. 8039, in motivazione sub p.to 19).

10. Con un unico motivo, i ricorrenti principali hanno invece dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 27 d.lgs. 276/2003, 32, quinto comma legge n. 183/2010 e 2119 c.c., per avere la Corte d’appello, pure accertata la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra i ricorrenti e la società (formale utilizzatrice di lavoro somministrato, in realtà) datrice, tuttavia limitato la tutela dei lavoratori, conseguente all’accertata illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro a termine, alla sola tutela indennitaria per la mera dichiarazione di fallimento della datrice, nella ravvisata impossibilità di ripristino dei rapporti di lavoro per il fallimento di Q. s.r.l.

Tale ripristino sarebbe stato invece possibile per effetto della successione a titolo particolare, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., di B. s.r.l., quale cessionaria dell’azienda dal Fallimento per atto del 27 settembre 2017, a norma dell’art. 2112 c.c.: non precludendo il fallimento del datore di lavoro l’interesse del lavoratore ad una pronuncia di reintegrazione nel rapporto di lavoro, salvo il caso di cessazione irreversibile dell’attività d’impresa, che non si verifica nell’ipotesi, come quella di specie, di sua continuità mediante l’intervenuta cessione aziendale.

11. Esso è fondato.

12. In tema di somministrazione di lavoro, l’indennità prevista dall’art. 32, quinto comma legge n. 183/2010 (come autenticamente interpretato dall’art. 1, tredicesimo comma legge n. 92/2012) è applicabile a qualsiasi ipotesi di conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, che abbia chiesto ed ottenuto l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione di lavoro, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione (Cass. 1 agosto 2014, n. 17540; Cass. 3 aprile 2018, n. 8148): così integrando la tutela ripristinatoria del rapporto di lavoro.

Né il rapporto di lavoro pendente cessa ex se per il fallimento del datore di lavoro (art. 2119, secondo comma c.c.), piuttosto entrando, salvo che sia stato autorizzato l’esercizio provvisorio (nel qual caso esso prosegue), in una fase di sospensione fino a quando il curatore non abbia effettuato la dichiarazione ai sensi dell’art. 72, secondo comma l.fall. di volersi sciogliere dal contratto; per effetto di tale dichiarazione, il lavoratore ha diritto di insinuarsi al passivo anche per l’indennità sostitutiva del preavviso a norma dell’art. 2118 c.c. (ma non per le retribuzioni spettanti nel periodo compreso tra l’apertura del fallimento e la data di compimento di detta dichiarazione da parte del curatore, in quanto il diritto alla retribuzione non sorge in ragione dell’esistenza e del protrarsi del rapporto di lavoro ma presuppone, in conseguenza della natura sinallagmatica del contratto, la corrispettività delle prestazioni: Cass. 30 maggio 2018, n. 13693), non configurandosi il recesso del curatore per giusta causa ed attesa la natura indennitaria e non risarcitoria di tale importo (Cass. 31 luglio 2019, n. 20647; Cass. 20 luglio 2020, n. 15407); con la conseguenza che, qualora sia accertata la illegittimità del licenziamento intimato dal curatore, il lavoratore ha diritto all’ammissione al passivo fallimentare per il credito risarcitorio che ne discende, corrispondente alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quella della reintegra (Cass. 11 gennaio 2018, n. 522; Cass. 28 maggio 2019, n. 14503).

Inoltre, il fallimento del datore di lavoro neppure determina il venire meno dell’interesse del lavoratore all’accoglimento delle domande (nel caso di specie: di illegittimità o inefficacia del licenziamento), avendo esso ad oggetto non solo il ripristino della prestazione lavorativa, ma anche le utilità comportate dal ripristino del rapporto da uno stato di quiescenza attiva, quali la ripresa del lavoro, in relazione all’eventualità di un esercizio provvisorio, di una cessione dell’azienda, o della ripresa della sua amministrazione da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4051; Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975).

Ed è noto che un tale interesse radichi la distinzione della cognizione:

a) del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e delle controversie relative allo status del lavoratore, in quanto l’accertamento richiesto in tali ipotesi non costituisce premessa di una pretesa economica nei confronti della massa fallimentare, in via meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura, bensì alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa;

b) del giudice fallimentare, chiamato soltanto alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione paritaria al concorso tra creditori e con effetti esclusivamente endoconcorsuali (Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646, in motivazione; Cass. 21 giugno 2018, n. 16443, in motivazione; Cass. 28 ottobre 2021, n. 30512).

12.1. Nel caso di specie, è evidente l’interesse dei lavoratori alla tutela ripristinatoria del rapporto loro spettante, per la ripresa dell’attività d’impresa da parte della cessionaria dell’azienda della datrice fallita, cui essi sono stati trasferiti ai sensi dell’art. 2112 c.c., non derogato dagli artt. 105, quarto comma l. fall. e 47, quinto comma legge n. 428/1990 per la ragione detta.

13. Pertanto il ricorso incidentale deve essere rigettato e il principale accolto, con la cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione e con raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente incidentale, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione […]”.