(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di Cassazione. Ordinanza 31 luglio 2024, n. 21499

Lavoro. Mansioni di infermiere. Personale turnista. Servizio mensa. Modalità alternativa del buono pasto. Beneficiari del previsto diritto alla mensa. Ricorso. Rigetto

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatto

1. Con sentenza n. 449/2023, pubblicata in data 27 febbraio 2023, la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellata A.C., ha accolto il gravame proposto da R.B. avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 2007/2021, la quale aveva respinto la domanda con la quale la stessa R.B. – dipendente della A.C. con mansioni di infermiere e rientrante nel personale turnista – aveva chiesto accertarsi il proprio diritto ad usufruire, in relazione al periodo dal 2001 al 2008, del servizio mensa, nella modalità alternativa del buono pasto, anche in occasione dello svolgimento del turno di lavoro dalle ore 20.00 alle ore 8.00.

2. La Corte territoriale, richiamata l’evoluzione della disciplina di legge e pattizia intervenuta nel tempo, ha rilevato che l’espressione “particolare articolazione dell’orario di lavoro”, contenuta nell’art. 29 CCNL Sanità del 20 settembre 2001 – il quale con tale riferimento individuava i beneficiari del previsto diritto alla mensa – ricollegava il sorgere del diritto non già a non solo alla durata oraria della prestazione, bensì al suo svolgersi cono modalità orarie tali de generare l’esigenza tutelata mediante il riconoscimento del servizio o del buono mensa.

Ha poi osservato che, mentre nella riunione sindacale aziendale del 13 dicembre 1996, il diritto al buono pasto era stato concordemente limitato ai soli lavoratori in servizio nella fascia oraria 12.30/14.30, nel successivo incontro aziendale del 16 dicembre 2008 il diritto era stato riconosciuto anche in favore del personale in servizio nel turno notturno, ritenendo che le indicazioni provenienti dalla disciplina di legge, comportassero il diritto della lavoratrice al riconoscimento del buono pasto anche in relazione al turno 20.00-8.00, ricorrendo anche in tal caso quella particolare articolazione dell’orario di lavoro che fondava il diritto.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre ora A.C.

Resiste con controricorso R.B.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.

La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

1. Il ricorso è affidato a tre motivi.

1.1. Con il primo motivo il ricorso si deduce, testualmente, “intercorsa prescrizione del diritto invocato”.

La ricorrente “reitera l’eccezione di prescrizione quinquennale del reclamato diritto sollevata nel giudizio di prime cure”, invocando l’applicazione del termine di prescrizione quinquennale alla pretesa azionata dall’odierna controricorrente.

1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5, c.p.c., la “erronea interpretazione della norma contrattuale e degli accordi sindacali – contrasto con la previsione del CCNL del 2001 art. 29 nonché D. Lgs. 66/2003 art. 8”.

 Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe erroneamente riconosciuto il diritto dell’odierna controricorrente, omettendo di rilevare che l’art. 29, comma 2, CCNL integrativo Sanità, attribuisce il diritto alla mensa per tutti i dipendenti in relazione alla particolare articolazione dell’orario e che solo nell’ incontro aziendale del 16 dicembre 2008 il diritto era stato esteso al turno notturno, dandosi espressamente atto che ciò costituiva modifica dei precedenti accordi.

1.3. Con il terzo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., deduce, testualmente, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al verbale di riunione tra ASL di Caserta ed i rappresentanti delle O.O.S.S. del 16/12/2008 – esecuzione dell’accordo con effetti ex nunc e non ex tunc – non previsto dalle parti effetto retroattivo del pagamento”.

2. La prima censura è inammissibile, in quanto risulta priva dei minimi requisiti perché possa essere qualificata come vero e proprio motivo di ricorso, in quanto si limita a “reiterare” l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata nel giudizio di prime cure, senza peraltro censurare alcuna statuizione della sentenza impugnata, che ha ritenuto applicabile il termine quinquennale di prescrizione ed ha rilevato la sussistenza di plurimi atti interruttivi del suddetto termine in costanza di rapporto (missive del 2004, 2008, 2011 e 2016, riferite espressamente anche alla B.).

3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

3.1 La questione controversa riguarda quale sia la «particolare articolazione dell’orario» che, ai sensi dell’art. 29, comma 2 (“Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell’orario”) del CCNL integrativo Comparto Sanità 2001, attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio.

3.2. Tale questione ha già costituito oggetto di esame da parte di questa Corte con la sentenza n. 5547 del 2021, che ha affermato che il cui il diritto alla mensa ex articolo 29, comma 2, CCNI 2001, è legato al diritto alla pausa, a prescindere dal tempo (notturno) della prestazione lavorativa.
In particolare, con la citata sentenza si è evidenziato che:

– la fruizione del pasto – ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto che non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale – è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato;

– la «particolare articolazione dell’orario di lavoro» è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro;

– ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro e, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo;

– il diritto alla mensa si lega ad una obbligatoria sosta lavorativa ma le parti sociali non hanno espresso alcuna volontà che l’attività lavorativa che si collega la pausa sia prestata «nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto»;

– una eventuale volontà delle parti sociali in tal senso avrebbe dovuto essere chiaramente espressa, con l’indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste.

La successiva giurisprudenza di legittimità ha confermato i principi già affermati da Cass., n. 5547 del 2021.

In particolare, Cass. n. 15629 del 2021, n. 32113 del 2022, n. 9206 del 2023, 25622 del 2023 hanno richiamato Cass. n. 5547 del 2021 e il principio dalla stessa affermato dandovi continuità: «In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato».

Da ultimo, Cass. n. 25622 del 2023 ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, condividendola. Peraltro, questa Corte con la sentenza n. 15614 del 2015 ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, in analoga fattispecie, con valutazione di merito non adeguatamente censurata, ha considerato i verbali del 13 dicembre 1996 e del 16 dicembre 2008 come indici di “comportamenti delle parti sociali deponenti nel senso di ritenere che un turno continuativo di dodici ore, svolto dalle 20.00 alle 8.00, integrasse quella “particolare articolazione dell’orario” di cui al citato art. 29 del CCNI”.

3.3. Pertanto, ferma la disponibilità delle risorse (in ragione del richiamo di cui al comma 1 dell’art. 29 cit.), che tuttavia nella specie non viene in rilievo, l’Azienda non poteva restringere il campo degli aventi diritto a buono mensa rispetto alle stesse previsioni di cui alla clausola contrattuale in esame (art. 29 CCNI) ed alla “particolare articolazione dell’orario” come interpretata da questa Corte nei termini sopra indicati.

3.4. Ai condivisibili principi giurisprudenziali precedentemente richiamati la decisione impugnata risulta essersi pienamente conformata, nel momento in cui ha ritenuto, da un lato, che il diritto dell’odierna controricorrente deve essere ricondotto allo svolgimento dell’attività lavorativa con modalità orarie tali da generare quell’esigenza di usufruire di una pausa nel lavoro, a propria volta tutelata mediante il riconoscimento del diritto ad una pausa per un pasto.

 4. Inammissibile, infine, è il terzo ed ultimo motivo, il quale, richiamandosi all’ipotesi dell’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5), c.p.c., si sostanzia invece esclusivamente nel denunciare il contrasto interpretativo che sarebbe insorto tra la decisione di prime cure e quella della Corte d’appello di Napoli, ponendosi totalmente al di fuori dei criteri di articolazione del motivo di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. come ripetutamente declinati da questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e le successive Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9253 del 11/04/2017).

Ciò di cui la ricorrente viene a dolersi, del resto, non è alcun omesso esame di fatti – men che meno decisivi – ma un mero – e fisiologico – sviluppo del giudizio nei suoi diversi gradi, dovendosi escludere che il mero contrasto tra decisioni assunte in diversi gradi di merito possa assumere rilevanza quale motivo di impugnazione in sede di legittimità.

5. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

 6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese […]”