Invito alla (ri) lettura.

Riproduciamo di seguito le pagine introduttive di un saggio di ANTONIO MASALA dal titolo, “Teorie del complotto, post-verità, e demagogia cognitiva: su alcune possibili cause del populismo”, pubblicato in Jura Gentium, XX, 2023, 2, pp. 37-64.

 “[…] Teorie del complotto e post-verità sono due fenomeni complessi, che contano ormai su una letteratura consolidata e fiorente. Per quanto essi siano distinti, hanno importanti punti in comune. In questa sede verranno analizzati insieme, investigandone caratteristiche e ragioni profonde, e dedicando particolare attenzione al ruolo che il funzionamento della nostra mente ha nel generare questi fenomeni. Dalla lettura incrociata di studi ormai classici e di studi recenti, si cercherà di mostrare come postverità e teorie del complotto possano rispondere ad esigenze umane radicate e come l’indifferenza per la verità e il rifiuto di ogni forma di autorità sia un fenomeno tutt’altro che nuovo e sempre estremamente pericoloso. Verranno poi sviluppate alcune riflessioni su come i nuovi mezzi di comunicazione stiano accelerando e probabilmente trasformando questi fenomeni, per dedicare infine attenzione alla loro pericolosità per la democrazia e al loro legame con il populismo.

1. Credenze del complotto e post-verità: teoria e definizioni. Teorie del complotto e post-verità investono vari aspetti del pensiero e dell’azione umani. In questa sede non verrà analizzata la dimensione “strumentale” di questi due fenomeni. Questa consiste nell’uso consapevole che di essi viene fatto per finalità politiche, ossia per far credere qualcosa, per plasmare l’opinione pubblica. Ci concentreremo invece sulla loro dimensione “interiore”, guardando a cosa porta le persone a credere ad essi quando non sono indotte o manipolate consapevolmente da altri.

Volendo dare una definizione ultra-minima della post-verità, essa può essere definita come la subordinazione della realtà all’opinione[1]. Il fenomeno della post-verità si concretizza dunque quando ci si convince di qualcosa, si decide di credere in qualcosa, indipendentemente da fatti ed evidenze empiriche. L’elemento qualificante non è dunque la falsità di una credenza, la quale potrebbe ad esempio essere causata da un errore inintenzionale, o da una lacuna in termini di conoscenza. E non è neanche la menzogna, nella quale c’è l’intento consapevole di ingannare. La post-verità è infatti qualificata non dal mentire, ma dal mostrare indifferenza verso ciò che è vero. Nella sua forma più virulenta essa è autoinganno: ci si (auto)convince di una “non verità” che tutte le fonti credibili contesterebbero. È una situazione nella quale fatti oggettivi ed evidenze scientifiche hanno meno importanza delle emozioni e delle convinzioni e credenze personali, poiché sono esse che ci fanno credere ciò in cui crediamo e vedere solo quello che vogliamo vedere.

Diverso, ma con alcune somiglianze di fondo, è il fenomeno che va comunemente sotto il nome di teorie del complotto, per quanto, più che di teorie, sarebbe probabilmente meglio parlare di mentalità o credenza del complotto. Le teorie del complotto sono infatti principalmente un modo di spiegare gli eventi, o se si preferisce una pseudo-spiegazione degli eventi, basata sul principio che tutto ciò che succede è stato voluto da chi ne beneficia e, in questo senso, l’elemento qualificante, prima della elaborazione stessa delle teorie, è la “mentalità”, la predisposizione mentale a pensare in un determinato modo. Nella realtà, molto spesso, è vero che ciò che avviene sia voluto da chi ne beneficia e, ovviamente, nella storia le cospirazioni e le congiure sono esistiti ed esistono. Tuttavia essere cospirazionisti in senso forte non è soltanto credere ai complotti, ma privilegiare sistematicamente l’ipotesi del complotto, vederli ovunque ed essere convinti che spieghino come va il mondo[2] .

La cospirazione viene dunque vista come la forza motrice degli eventi storici, come la spiegazione unica e risolutiva di tutti i fenomeni socio-politici. In questo senso, come hanno osservato Karl Popper[3] e Pierre-André Taguieff[4], a contraddistinguere il fenomeno è l’elemento del “credere”: è la credenza costante che la realtà sia fatta di complotti che poi dà luogo a delle teorie – le quali possono essere molto fantasiose o anche molto realistiche – che dovrebbero appunto spiegare i complotti. Una caratteristica determinante del pensiero complottista è quella di fare sempre riferimento a intenzioni consapevoli, interessi reali, strategie segrete per spiegare eventi più o meno sconcertanti, i quali sono sempre frutto di intenzioni e di progetti dissimulati[5]. Le teorie del complotto sono dunque spiegazioni alternative a quelle ufficiali (o spiegazioni di eventi non ancora chiariti), che interpretano gli eventi come la conseguenza di azioni e di intenzioni che vogliono essere tenute nascoste. Dietro gli eventi c’è sempre una volontà (nascosta) diretta a quel fine e ci sono dunque sempre delle persone o delle organizzazioni che perseguono fini e hanno interessi precisi.

Post-verità e teorie del complotto sono dunque concetti distinti. La prima è un modo (distorto e unilaterale) di vedere la realtà, le seconde sono un modo (distorto e unilaterale) di spiegarla. La post-verità è un concetto per certi versi più ampio, che riguarda la distorsione della verità e della realtà in generale, o meglio la loro subordinazione ad elementi emozionali. Le teorie del complotto sono invece specifiche idee/teorie che spiegano eventi complessi attraverso presunte trame nascoste.

Tuttavia se, come abbiamo osservato in precedenza, le teorie del complotto sono la conseguenza di una credenza, di una mentalità, la distanza con la post-verità si accorcia. Esse appaiono correlate nella misura in cui entrambe si basano sulla manipolazione/negazione, anche inconscia, o soprattutto inconscia, dei fatti, al fine promuovere determinate narrazioni della realtà. Sono entrambe credenze: in un blocco di idee/valori che non ci fanno vedere la realtà, nel caso della post-verità; in una convinzione che la realtà non è mai quella che ci viene raccontata e che va svelata, nel caso delle teorie del complotto. Esse non rifiutano le informazioni e le prove a cui possono attingere, ma le selezionano, danno valore solo a quelle che confermano ciò in cui si crede. La postverità per confermare una certa visione del mondo; le credenze del complotto per dimostrare che la realtà non è quella che ci raccontano. Questa selezione arbitraria è base comune forte. A seconda di cosa si vuole sia vero, alcuni fatti contano più di altri, o semplicemente alcuni fatti contano e altri no. In questo senso i due fenomeni si assomigliano e si possono anche sorreggere ed alimentare reciprocamente. Da sottolineare poi, ancora una volta, come la volontà di convincere gli altri possa essere tipica di chi è affetto da post-verità e/o complottismo, ma l’elemento caratterizzante, e che più rileva per i fini di questo saggio, è la intima credenza del soggetto.

Ad accomunarle è dunque il fatto che è possibile contestare o ignorare alcuni fatti e che questo avviene (a livello conscio o inconscio) puntualmente quando i fatti minacciano quelle che sono le proprie convinzioni e credenze. Questo non vuol dire che vi sia un misconoscimento dei fatti, ma che vi è una “corruzione” del modo in cui i fatti vengono colti e poi utilizzati per costruire e plasmare la propria credenza/interpretazione della realtà. Le cose sono vere a seconda di come ci sentiamo nei loro confronti. La realtà e la verità esistono, ma sono ciò che noi abbiamo (più o meno consapevolmente) scelto o ciò che la nostra teoria ha scoperto e svelato.

Assai esplicativo è anche osservare cosa succede nel caso della post-verità quando compare una prova che dovrebbe essere incontrovertibile e che smentisce quella che è la propria versione della verità. In questi casi, anziché cambiare idea, ci si convince di un complotto, del fatto che ci viene tenuto nascosto qualcosa, e si continua a credere quello a cui si vuole credere. Se non si crede al cambiamento climatico, i dati incontrovertibili che lo dimostrano sono frutto di un complotto degli scienziati o degli organi di informazione. I teorici della cospirazione credono che gli scienziati facciano parte di una cospirazione mondiale che manipola i dati, ma il meccanismo è lo stesso della post-verità, rispetto alla quale la teoria del complotto diventa una naturale conseguenza. Lo stesso avviene in politica: se ci sono prove incontrovertibili delle menzogne e delle contraddizioni di un politico (Donald Trump è ormai un caso di scuola, ma se ne possono trovare molti altri, nella storia passata e in quella recente), i suoi elettori più fedeli ritengono che esse siano il frutto di un complotto. Il legame tra la post-verità e il complottismo può dunque essere molto forte e, in alcuni casi, il secondo è l’ultima e più importante risorsa della prima.

Le credenze del complotto e la post-verità non sono fenomeni nuovi, ma qualcosa che è sempre esistito, e che sembra anzi quasi rispondere a dei bisogni umani. Le teorie del complotto possono essere un modo per dare risposte a fenomeni che spaventano, o per dare a qualcuno la colpa di eventi che è difficile accettare. Trovare un colpevole malvagio per una disgrazia, come ad esempio una morte, una malattia o un evento catastrofico, può dare una sorta di sollievo ed è dunque per certi versi un comportamento connaturato agli esseri umani in quanto tali. Più in generale, l’attrattiva delle teorie del complotto è nel saper dare spiegazioni, non importa se poco attendibili o eccessivamente “spettacolari”, a fenomeni che non hanno una spiegazione o che hanno una spiegazione che non si comprende.

Un’altra passione umana che le teorie del complotto sembrano soddisfare è il “senso dell’eroismo” che tutte le persone hanno. Sostenendo una teoria del complotto, alcune persone si sentono individui coraggiosi che svelano e sfidano grandi cospirazioni, e altre si riconoscono in quegli atti di eroismo. Questa è una costante della storia umana; basti pensare a saghe e leggende che da sempre la accompagnano. Si pensa spesso che sia stato internet a intensificare questo fenomeno, ma in realtà già la televisione e il cinema aveva generato una popolarizzazione del processo.

Prima di proseguire con l’analisi, può essere utile qualche considerazione sulla relazione di questi fenomeni con internet e con i social media. Come abbiamo detto, le teorie del complotto e la post-verità sono sempre esistite e sono anche sempre state studiate, ma oggi abbiamo una crescente letteratura che le collega al funzionamento dei nuovi media e un crescente allarme per le loro conseguenze politiche e sociali. Ciò che è certo è che la rete non ha solo reso più evidenti quei fenomeni, ma li ha resi più “fertili”, nel senso che ne favorisce la diffusione. La società della conoscenza che internet ha creato ci dà la possibilità di trovare argomenti e “ragioni” su tutto ciò in cui vogliamo credere e che vogliamo dimostrare, indipendentemente dalla sua effettiva veridicità/attendibilità. È difficile capire se internet abbia reso questi fenomeni solo più evidenti, o se ne abbia anche prodotto un cambiamento qualitativo; indubbiamente un forte aumento quantitativo può portare anche a un cambiamento qualitativo, in termini della loro diversa rilevanza sociale e pericolosità.

Se internet non può essere considerato la causa ultima delle teorie del complotto, che esistono da ben prima della diffusione della rete, è anche vero che una deriva come quella attuale non si sarebbe mai avuta quando per reperire gran parte della conoscenza e delle informazioni si doveva usare una enciclopedia o andare in biblioteca. Strumenti che, per quanto imperfetti, operavano una selezione, un vaglio, delle informazioni proposte, e che richiedevano un impegno a chi se ne volesse servire. Inoltre, se prima di internet le teorie del complotto erano per lo più patrimonio della tradizione orale, oggi la rete ne offre una nuova modalità di diffusione, permettendo a chiunque di produrre argomenti accessibili a tutti riguardo lo svelamento dei presunti complotti.

Quello che è cambiato oggi è l’ambiente in cui viviamo, che è in larga parte, ossia per una notevole frazione del nostro tempo, un ambiente digitale[6]. L’ambiente incide sulla cultura e sul modo di funzionare della mente umana, li plasma e li trasforma. Tuttavia cambiamenti considerati decisivi si sono realizzati anche in passato, basti pensare agli studi sull’impatto della televisione fatti da Umberto Eco[7] e Giovanni Sartori[8]. Eppure quei cambiamenti, che allora sembravano così temibili, sembrano ora “lontani” e per molti versi dimenticati. Questo ci fa pensare che le teorie “apocalittiche” che talvolta accompagnano le trasformazioni indotte dalla rete dovrebbero quantomeno lasciare decantare i fenomeni che osservano.

Oggi non siamo ancora in grado di giudicare pienamente quanto il vivere in un ambiente digitale ci stia davvero trasformando. Quello che è certo è che riflettere su queste trasformazioni è una delle grandi sfide della nostra epoca e che i fenomeni delle teorie del complotto e della post-verità possono essere un punto di osservazione privilegiato. […]”.


[1] Cfr. L. McIntyre, Post-verità, Torino, UTET, 2019, pp. 9-20.

[2] Cfr. P.-A. Taguieff, Complottismo, Bologna, Il Mulino, 2023, p. 31.

[3] K. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Roma, Armando Editore, 1974.

[4] P.-A. Taguieff, op. cit.

[5] Questo aspetto era già stato notato anni fa da M. Billig, Fascists. A Social Psychological View of the National Front, London, Academic Press, 1978.

[6] Il fenomeno sembra particolarmente preoccupante quando descrive quella che appare come una trasformazione antropologica. Internet, con il suo flusso ininterrotto di informazione e di comunicazione, porterebbe a trasformare il funzionamento della nostra mente, che si aspetta di assorbire tutto, nello stesso modo in cui lo fa quando è connessa al web, cfr. N. Carr, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello, Milano, Cortina, 2011. Che questo realmente avvenga sembra essere confermato anche da alcuni studi di neuroscienze e porterebbe appunto a un cambiamento radicale dell’apprendimento e della socialità, in particolare per le nuove generazioni, ormai assuefatte ai media digitali, cfr. M. Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Roma, Corbaccio, 2013. A parlare di una mutazione antropologica generata da internet, che mette in pericolo le nostre democrazie, è M. Barberis, Populismo digitale. Come internet sta uccidendo la democrazia, Milano, Chiarelettere, 2020.

[7] U. Eco, Sulla televisione. Scritti 1956-2015 (a cura di G. Marrone), Milano, La Nave di Teseo, 2018.

[8] G. Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Roma-Bari, Laterza 1999.