1.La Corte Costituzionale, con la  sentenza n. 146 del 2 luglio 2024 (depositata il 25 luglio 2024),  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art .2, comma 3, del decreto-legge n. 51 del 2023 in quanto risultano insussistenti i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’articolo 77 della Costituzione per l’adozione dei decreti legge.

La norma oggetto della sentenza (che riproduciamo in allegato)  prevedeva che i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 51, avessero compiuto il settantesimo anno di età, cessassero anticipatamente dalla carica a decorrere dal 1° giugno 2023, indipendentemente dalla data di scadenza degli eventuali contratti in corso.

Questo in connessione con la norma di cui al precedente comma 2 che stabilisce, a regime, che il sovrintendente cessa in ogni caso dalla carica al compimento del settantesimo anno di età.

La sentenza in parola presenta i seguenti elementi di interesse:

a) mentre sono ormai numerose le sentenze che dichiarano l’illegittimità di norme inserite nei decreti legge perché eterogenee rispetto al contenuto proprio del provvedimento (si ricordano ad esempio le sentenze n. 22 del 2012, n. 32 del 2014, n. 247 del 2019 e n. 245 del 2022)[1], è raro, anche se non privo di precedenti, che la Corte censuri la mancanza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza; con riferimento a tale ultimo aspetto, infatti, la Corte ha dapprima superato un suo precedente orientamento volto a ritenere la valutazione dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza esclusivamente politica e ha quindi rivendicato il suo sindacato sui presupposti di straordinaria necessità ed urgenza dei decreti-legge a partire dalla sentenza n. 29 del 1995, giungendo però a una dichiarazione di illegittimità in un numero limitato di occasioni; si richiamano in particolare le sentenze n. 171 del 2007, n. 128 del 2008 e n. 220 del 2013;

b) ulteriore aspetto di interesse della sentenza è come in essa il tema della mancanza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza risulti in realtà intrecciato con quello dell’eterogeneità della disposizione; in proposito la sentenza riafferma e rafforza infatti il principio, già enunciato nella sentenza n. 22 del 2012, che la evidente estraneità della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita costituisce un “indice sintomatico” della manifesta carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità ed urgenza; nel caso concreto, la Corte ha segnalato che, seppure il preambolo del decreto-legge facesse riferimento alla “straordinaria necessità ed urgenza di stabilire misure volte a garantire l’efficienza dell’organizzazione degli enti previdenziali pubblici, nonché delle fondazioni lirico-sinfoniche”, non si poteva ravvisare un collegamento tra tale finalità e la cessazione degli incarichi in corso disposta dalla norma censurata.

c) a partire dalla sentenza n. 22 del 2012, sopra richiamata, Corte costituzionale ha censurato l’eterogeneità di disposizioni inserite nei decreti-legge nel corso dell’iter di conversione. Nel caso della sentenza n. 146 invece l’eterogeneità – e conseguentemente, come si è visto, la mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza – è stata rilevata con riferimento a una norma presente nel testo iniziale del decreto-legge. In proposito, il Considerato in diritto n. 7 si sofferma sull’impatto che decreti-legge nei quali siano inserite “norme intruse” hanno sull’ordinato lavoro parlamentare. Infatti la sentenza rileva che “in presenza di un termine assai breve, entro cui il Parlamento deve decidere se e con quali emendamenti approvare una legge di conversione del decreto-legge, l’eterogeneità dell’atto normativo governativo preclude un esame e una discussione parlamentare effettivi nel merito del testo normativo. La brevità del termine assegnato al Parlamento per decidere se approvare la legge di conversione e con quali emendamenti esige, affinché sia rispettata la funzione legislativa del Parlamento, che l’oggetto da disciplinare sia circoscritto”;

d) Da segnalare, infine, come la sentenza ponga in connessione la presenza all’interno dei decreti-legge di “norme intruse” perché eterogenee con il tema della chiarezza della legge, richiamando la recente sentenza n. 110 del 2023 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma regionale perché radicalmente “oscura” e inintellegibile e quindi irragionevole e lesiva dell’articolo 3 della Costituzione. In proposito, merita segnalare i seguenti passaggi del Considerato in diritto n. 8: “Le norme intruse nel testo di un decreto-legge […] danno luogo ad una legislazione frammentata, spesso incoerente, di problematica interpretazione, che aggrava il fenomeno dell’incertezza del diritto […] la certezza del diritto, lungi dall’essere una mera aspirazione filosofica, costituisce un principio di rilievo costituzionale e deve orientare l’interpretazione delle previsioni della Carta fondamentale, è parte viva e integrante del patrimonio costituzionale europeo e, in concreto, si declina come esigenza di chiarezza e di univocità, come questa Corte ha ribadito anche di recente (sentenza n. 110 del 2023)”.

(Fonte: Camera dei deputati. Servizio Studi. Osservatorio sulla legislazione)

2.SENTENZA N. 146/2024.

“[…] LA CORTE COSTITUZIONALE,

(omissis)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51 (Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 87, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento tra Fondazione Teatro di San Carlo in Napoli e S.M. L., con ordinanza del 25 ottobre 2023, iscritta al n. 27 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti l’atto di costituzione di S.M. L. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2024 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;

uditi l’avvocato Giulio Enea Vigevani per S.M. L. e l’avvocata dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 2 luglio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 25 ottobre 2023 (r.o. n. 27 del 2024), il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 77, 97 e 98 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51 (Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 87.

La disposizione è censurata nella parte in cui prevede, a decorrere dal 1° giugno 2023, la cessazione dalla carica di sovrintendente delle fondazioni lirico-sinfoniche per coloro che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano compiuto il settantesimo anno di età.

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul reclamo proposto dalla Fondazione Teatro San Carlo contro il provvedimento che ha accolto la domanda cautelare di immediata reintegrazione del sovrintendente.

Dopo aver escluso la praticabilità di una interpretazione restrittiva della nuova disciplina dettata dal d.l. n. 51 del 2023, come convertito, il Tribunale osserva che è proprio la disposizione censurata a costituire il fondamento normativo della decadenza dall’incarico.

1.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo prospetta, in primo luogo, il contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.). La disposizione, diretta a regolare un unico caso, quello del sovrintendente del Teatro San Carlo, introdurrebbe arbitrarie disparità di trattamento, lederebbe l’affidamento e non sarebbe giustificata dall’esigenza di favorire il ricambio generazionale.

Sarebbero violati anche i principi di buon andamento e di continuità dell’azione amministrativa, in quanto la decadenza automatica, legata a fattori estranei alle prestazioni svolte, esporrebbe la fondazione al pericolo di discontinuità gestionale e priverebbe l’interessato del diritto di far valere le proprie ragioni, con le garanzie del giusto procedimento.

Il rimettente denuncia, infine, la violazione dell’art. 77 Cost. e osserva che la disposizione è stata introdotta con lo strumento della decretazione d’urgenza, pur nell’evidente mancanza dei presupposti prescritti dalla Costituzione.

Le finalità enunciate nel preambolo, concernenti la necessità di salvaguardare l’efficienza delle fondazioni lirico-sinfoniche, non avrebbero alcuna attinenza con la disposizione censurata: l’efficienza, difatti, avrebbe imposto un avvicendamento graduale e non una decadenza immediata.

A fronte di una previsione derogatoria, applicabile a un’unica persona, non si potrebbe configurare un caso straordinario di necessità e di urgenza, idoneo a giustificare il ricorso allo strumento del decreto-legge. A tale scopo, non sarebbe sufficiente la mera enunciazione dei presupposti di cui all’art. 77 Cost. e neppure si potrebbe invocare la complessiva ragionevolezza della disciplina adottata.

2.– Si è costituito in giudizio S.M. L. e ha chiesto di accogliere le questioni sollevate dal Tribunale di Napoli.

Non vi sarebbe alcuna omogeneità di scopo tra la disposizione censurata e le altre inserite in un decreto-legge chiamato a disciplinare materie disparate. Anche a volere ritenere che il provvedimento miri a modificare i requisiti per la nomina dei sovrintendenti, non si ravviserebbe la straordinaria necessità ed urgenza di disporre la decadenza automatica di quelli già in carica e, in particolare, la cessazione di un solo sovrintendente.

La disposizione, qualificabile come legge-provvedimento, non sarebbe idonea a superare lo scrutinio stretto di ragionevolezza e di proporzionalità e lederebbe l’affidamento nella stabilità dei rapporti giuridici.

Sarebbe pregiudicata anche la continuità dell’azione amministrativa, strettamente correlata al principio di buon andamento. La disciplina in esame non sarebbe giustificata neppure dall’esigenza di garantire il riordino delle fondazioni lirico-sinfoniche.

3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o comunque non fondate.

3.1.– La disposizione censurata si limiterebbe a chiarire quali effetti si producano in virtù del superamento del limite di età, esplicitando un dato già insito nel sistema. Ne deriverebbe, sotto questo profilo, l’inammissibilità delle questioni, in quanto carenti di rilevanza.

3.2.– Le questioni, nel merito, non sarebbero fondate.

Il legislatore avrebbe dettato un limite generale di settant’anni per il conferimento degli incarichi di sovrintendente, limite tutt’altro che irragionevole e incongruo. Tale disciplina, volta ad eliminare le discrasie dell’assetto previgente e a promuovere il ricambio generazionale, perseguirebbe finalità di razionalizzazione e di armonizzazione.

L’esigenza di rimuovere le disparità di trattamento non solo condurrebbe ad escludere la violazione dell’art. 3 Cost., ma non consentirebbe di configurare l’evidente carenza dei requisiti di necessità e d’urgenza di cui all’art. 77 Cost.

4.– In prossimità dell’udienza pubblica, S.M. L. ha depositato una memoria illustrativa, per ribadire le conclusioni già rassegnate e replicare alle osservazioni della difesa statale.

La disciplina censurata determinerebbe discriminazioni costituzionalmente illegittime a causa dell’età e, nel perseguire l’obiettivo del ricambio generazionale, non bilancerebbe in modo ragionevole e proporzionato gli interessi contrapposti.

Quanto alla violazione dell’art. 77 Cost., non sarebbero stati addotti argomenti idonei a smentirla, anche alla luce dell’eterogeneità contenutistica e teleologica delle disposizioni confluite nel decreto-legge.

5.– All’udienza le parti hanno ribadito le conclusioni rassegnate nei rispettivi scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 27 del 2024), dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del d.l. n. 51 del 2023, come convertito, che così dispone: «I sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, hanno compiuto il settantesimo anno di età, cessano anticipatamente dalla carica a decorrere dal 1° giugno 2023, indipendentemente dalla data di scadenza degli eventuali contratti in corso».

Il giudice a quo espone di dover applicare tale previsione per decidere sul reclamo della Fondazione Teatro San Carlo di Napoli, a seguito del provvedimento cautelare con cui S.M. L. è stato provvisoriamente reintegrato nelle funzioni di sovrintendente del Teatro.

1.1.– La disposizione censurata sarebbe lesiva, anzitutto, dell’art. 3 Cost.

Il Tribunale rimettente denuncia il contrasto con i «canoni di ragionevolezza e di coerenza» e con la tutela del legittimo affidamento.

La disciplina dettata dal legislatore, applicabile allo «specifico ed esclusivo incarico ricoperto» dal sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli e contraddistinta da una spiccata valenza «particolare e derogatoria», sarebbe foriera di «una disparità di trattamento che non appare giustificata da un’oggettiva esigenza di differenziazione».

La previsione in esame, inoltre, sarebbe tanto irragionevole quanto sproporzionata, in quanto non sarebbe «né necessaria né idonea al raggiungimento degli scopi» di assicurare il ricambio generazionale e appresterebbe mezzi incongrui (la risoluzione anticipata di un unico rapporto di lavoro) rispetto all’obiettivo di promuovere l’ingresso «nel mercato del lavoro di un numero indeterminato di candidati per altrettanti posti vacanti».

Né l’esigenza di contenere la spesa pubblica potrebbe configurarsi come una giustificazione plausibile: il legislatore non avrebbe valutato in alcun modo le conseguenze e gli «effetti onerosi derivanti dall’applicazione della norma a carico del bilancio della Fondazione».

1.2.– Il giudice a quo prospetta, in secondo luogo, la violazione degli artt. 97 e 98 Cost.

Nel sancire la cessazione automatica dell’incarico, con effetto retroattivo e senza alcuna valutazione «dei risultati delle prestazioni rese e delle competenze esercitate in concreto nella gestione delle funzioni», la disposizione censurata inciderebbe «negativamente sul buon andamento e sulla continuità dell’azione amministrativa» e priverebbe l’interessato «delle garanzie del giusto procedimento, nell’ambito del quale accertare i risultati conseguiti nello svolgimento dell’incarico».

A supporto della censura, il rimettente evoca la giurisprudenza di questa Corte in tema di “spoils system” e argomenta che nessun «vincolo personale e di particolare fiducia» intercorre «tra Fondazione e sovrintendente».

Né la disciplina introdotta dal d.l. n. 51 del 2023, come convertito, si collocherebbe nel contesto di una «riforma di ampia portata», che imponga di modificare con effetti immediati l’assetto organizzativo dell’ente e le modalità d’investitura dei suoi organi.

1.3.– Infine, il Tribunale prospetta la violazione dell’art. 77 Cost. e rimarca l’evidente mancanza di «una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite uno strumento eccezionale, quale è il decreto legge».

Tale conclusione sarebbe avvalorata da numerosi indici estrinseci ed intrinseci.

Se l’epigrafe del decreto-legge si limita a menzionare le disposizioni in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale, il preambolo allude alla «straordinaria necessità e urgenza di stabilire misure volte a garantire l’efficienza dell’organizzazione degli enti previdenziali pubblici, nonché delle fondazioni lirico-sinfoniche».

Nessuna correlazione si potrebbe scorgere tra la disposizione di dettaglio, racchiusa nell’art. 2, comma 3, del d.l. n. 51 del 2023, come convertito, e le finalità perseguite dal decreto-legge. Sarebbe arduo «configurare la necessità e l’urgenza», a fronte di una disposizione dalla «portata estremamente contenuta», oltretutto «applicabile ad un unico soggetto» e disancorata da una complessiva «riorganizzazione delle Fondazioni Liriche».

Non sarebbe sufficiente una «apodittica enunciazione» della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 77 Cost., che non potrebbero neppure essere avvalorati dalla ragionevolezza dell’intervento normativo. Peraltro, nel caso di specie, la complessità della materia avrebbe richiesto una modulazione graduale della nuova disciplina.

Neppure si potrebbe riconoscere alcuna efficacia sanante alla legge di conversione.

2.– Devono essere disattese, in via preliminare, le eccezioni di inammissibilità che ha sollevato la difesa statale, in considerazione del difetto di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale.

Il rimettente non ha trascurato la ricostruzione del pertinente quadro normativo e ha esposto in maniera puntuale le ragioni che corroborano l’applicabilità della disposizione censurata, in quanto chiamata a regolare la fattispecie controversa. L’art. 2, comma 3, del d.l. n. 51 del 2023, come convertito, rappresenta il fondamento giuridico del provvedimento di cessazione dall’incarico del sovrintendente della Fondazione Teatro San Carlo di Napoli, di cui si discute nel giudizio a quo. In tale prospettiva, si coglie la rilevanza del dubbio di illegittimità costituzionale. È proprio la disposizione sopravvenuta a caducare il rapporto di lavoro in corso.

La motivazione offerta dal Tribunale supera dunque il vaglio di non implausibilità che, quanto al presupposto della rilevanza, è demandato a questa Corte.

3.– Prioritario, in ordine logico, è l’esame della questione sollevata in riferimento all’art. 77 Cost., in quanto investe il corretto esercizio della funzione normativa primaria.

La questione è fondata.

4.– Il Governo, ai sensi dell’art. 77 Cost., adotta il decreto-legge «sotto la sua responsabilità», in forza di un’autonoma scelta politica. Non si possono predeterminare, pertanto, i casi straordinari di necessità e di urgenza che legittimano il ricorso a tale strumento. La stessa locuzione adoperata dall’art. 77 Cost. presenta «un largo margine di elasticità», idoneo a ricomprendere una pluralità di situazioni (sentenza n. 171 del 2007, punto 4 del Considerato in diritto), che non possono essere imbrigliate entro schemi rigidi (sentenza n. 93 del 2011, punto 4.1. del Considerato in diritto).

L’ampia autonomia politica del Governo nel ricorrere al decreto-legge non equivale, tuttavia, all’assenza di limiti costituzionali.

Il decreto-legge presenta, «nel quadro delle fonti, […] natura particolare […] come provvedimento provvisorio adottato in presenza di presupposti straordinari», provvedimento provvisorio «che è destinato a operare per un arco di tempo limitato, venendo a perdere la propria efficacia fin dall’inizio in caso di mancata conversione in legge entro il termine fissato nell’art. 77 della Costituzione» (sentenza n. 161 del 1995, punto 3 del Considerato in diritto).

L’adozione del decreto-legge è prevista «come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise» (sentenza n. 360 del 1996, punto 4 del Considerato in diritto).

L’organizzazione della funzione normativa è strettamente connessa sia alle finalità permanenti dello Stato apparato e ai suoi rapporti con la società, sia al modo in cui è ripartito il potere di indirizzo politico tra i diversi organi costituzionali.

L’assetto delle fonti del diritto costituisce, pertanto, una componente essenziale della forma di governo, che le permette di adeguarsi alle differenti dinamiche del sistema politico.

Nondimeno, la flessibilità delle disposizioni costituzionali sulla forma di governo, modellate sullo schema delle “norme a fattispecie aperta”, non esclude l’operatività di principi normativi e di regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia della opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche.

In una democrazia parlamentare moderna, che riconosce il fondamentale ruolo dei partiti politici (art. 49 Cost.), si realizza un continuum tra il Governo e il Parlamento, grazie all’operare della maggioranza parlamentare che sostiene il Governo. Pertanto, quest’ultimo assume il ruolo di propulsore dell’indirizzo politico.

Tale funzione, tuttavia, non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione (art. 67 Cost.), in cui le minoranze politiche possono esprimere e promuovere le loro posizioni in un dibattito trasparente (art. 64, secondo comma, Cost.), sotto il controllo dell’opinione pubblica.

La nostra democrazia parlamentare, pertanto, attribuisce al Governo significativi poteri normativi, che devono, però, essere esercitati nel rispetto degli equilibri costituzionalmente necessari.

5.– Secondo la disciplina costituzionale, la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Cost.). In coerenza con questo ruolo del Parlamento, le competenze normative attribuite al Governo devono svolgersi nel rispetto delle condizioni stabilite dalla Costituzione a garanzia delle funzioni legislative delle due Camere.

Con riguardo ai decreti delegati il Parlamento stabilisce con la legge di delegazione i principi e i criteri direttivi cui il Governo deve attenersi (art. 76 Cost.), i regolamenti devono conformarsi al principio di legalità (art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri») e, nel caso dei decreti-legge, il Parlamento può negare la conversione in legge, determinandone la perdita di efficacia con effetto ex tunc (art. 77 Cost.), ovvero può modificarne la disciplina attraverso l’approvazione, in sede di conversione, di emendamenti.

Come ha chiarito la giurisprudenza di questa Corte, gli emendamenti alla legge di conversione del decreto-legge devono riguardare lo stesso oggetto di quest’ultimo, a pena di illegittimità costituzionale (da ultimo, sentenze n. 215 e n. 113 del 2023). In questo modo si realizza un concorso di fonti, la prima governativa e la seconda parlamentare, nella disciplina del medesimo oggetto.

Prima ancora della legge di conversione, però, i limiti devono riguardare il decreto- legge e sono fissati allo scopo di non vanificare la funzione legislativa del Parlamento.

L’urgenza di legiferare è un’esigenza riconosciuta dal sistema costituzionale. Da una parte, l’art. 72 Cost. attribuisce ai regolamenti parlamentari la competenza a stabilire procedimenti abbreviati per i disegni di legge di cui è dichiarata l’urgenza (previsione, questa, che potrebbe essere valorizzata anche al fine di limitare l’uso e l’abuso dei decreti-legge). Dall’altra, l’art. 77 Cost. attribuisce al Governo il potere di adottare decreti-legge, ma il Governo non può dare un’interpretazione talmente ampia dei casi straordinari di necessità e urgenza da sostituire sistematicamente il procedimento legislativo parlamentare con il meccanismo della successione del decreto-legge e della legge di conversione.

6.– Come questa Corte ha affermato, «la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell’ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione […]. Pertanto, non esiste alcuna preclusione affinché la Corte costituzionale proceda all’esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validità costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessità e urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa» (sentenza n. 29 del 1995, punto 2 del Considerato in diritto).

7.– Nel sindacato devoluto a questa Corte, un ruolo cruciale compete al requisito dell’omogeneità, che si atteggia come «uno degli indici idonei a rivelare la sussistenza (o, in sua assenza, il difetto) delle condizioni di validità del provvedimento governativo» (sentenza n. 151 del 2023, punto 4.2. del Considerato in diritto).

La «evidente estraneità della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita» assurge, pertanto, a indice sintomatico della manifesta carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza (sentenza n. 22 del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto).

L’osservanza delle prescrizioni dell’art. 77 Cost. impone «una intrinseca coerenza delle norme contenute nel decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. L’urgente necessità del provvedere può riguardare, cioè, una pluralità di norme accomunate o dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero dall’intento di fronteggiare una situazione straordinaria complessa e variegata, che richiede interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all’unico scopo di approntare urgentemente rimedi a tale situazione» (sentenza n. 8 del 2022, punto 6.1. del Considerato in diritto).

L’omogeneità, dunque, non presuppone che il decreto-legge riguardi esclusivamente una determinata e circoscritta materia, ma che le sue disposizioni si ricolleghino ad una finalità comune e presentino un’intrinseca coerenza dal punto di vista funzionale e finalistico (sentenza n. 137 del 2018, punto 5.1. del Considerato in diritto).

Quanto ai provvedimenti governativi a contenuto plurimo, le disposizioni, pur eterogenee dal punto di vista materiale, devono essere accomunate dall’obiettivo e tendere tutte a una finalità unitaria, pur se connotata da notevole latitudine (sentenza n. 244 del 2016).

Per contro, un decreto-legge che si apre a “norme intruse”, estranee alla sua finalità, travalica i limiti imposti alla funzione normativa del Governo e sacrifica in modo costituzionalmente intollerabile il ruolo attribuito al Parlamento nel procedimento legislativo.

Infatti, in presenza di un termine assai breve, entro cui il Parlamento deve decidere se e con quali emendamenti approvare la legge di conversione del decreto-legge, l’eterogeneità dell’atto normativo governativo preclude un esame e una discussione parlamentare effettivi nel merito del testo normativo. La brevità del termine, assegnato al Parlamento per decidere se approvare la legge di conversione e con quali emendamenti, esige, affinché sia rispettata la funzione legislativa del Parlamento, che l’oggetto da disciplinare sia circoscritto.

Senza il rispetto di tali condizioni, il decreto-legge si tramuta in un improprio “disegno di legge ad urgenza garantita”, in cui si possono trasfondere le norme più disparate, confidando nel fatto che la legge di conversione ne consolidi l’efficacia.

8.– I limiti costituzionali alla decretazione d’urgenza e alla legge di conversione non sono funzionali solamente al rispetto degli equilibri fondamentali della forma di governo, ma valgono anche a scoraggiare un modo di legiferare caotico e disorganico che pregiudica la certezza del diritto.

Il fenomeno delle “norme intruse”, ispirate a tutt’altra finalità rispetto a quella dell’originario testo legislativo, è censurato anche da altre Corti costituzionali, che operano in sistemi costituzionali che non conoscono l’istituto del decreto-legge (Conseil constitutionnelDécision n. 2023-863 DC du 25 janvier 2024), con argomenti che rivelano l’esigenza, immanente al sistema delle fonti, dell’omogeneità del loro contenuto precettivo.

Le “norme intruse” nel testo di un decreto-legge, contraddistinte da contenuti che non possono più essere ricondotti ad una finalità unitaria, sia pure largamente intesa, danno luogo ad una legislazione frammentata, spesso incoerente, di problematica interpretazione, che aggrava il fenomeno dell’incertezza del diritto e reca così pregiudizio sia all’effettivo godimento dei diritti che all’ordinato sviluppo dell’economia.

Imprescindibile, in questa prospettiva, è un sufficiente grado di prevedibilità delle conseguenze giuridiche dei comportamenti, prevedibilità che l’affastellarsi disordinato di leggi mina in modo irrimediabile.

La certezza del diritto, lungi dall’essere una mera aspirazione filosofica, costituisce un principio di rilievo costituzionale e deve orientare l’interpretazione delle previsioni della Carta fondamentale, è parte viva e integrante del patrimonio costituzionale europeo e, in concreto, si declina come esigenza di chiarezza e di univocità, come questa Corte ha ribadito anche di recente (sentenza n. 110 del 2023).

9.– Alla luce del quadro costituzionale che si è ricostruito, dev’essere vagliata la questione sollevata dal Tribunale di Napoli.

L’analisi non può non muovere dal difetto del requisito dell’omogeneità, che le argomentazioni del rimettente pongono in risalto, con rilievi ripresi e sviluppati anche dalla difesa della parte privata.

Il requisito in esame dev’essere scrutinato alla stregua di indici interni ed esterni, che concorrono a fornire al sindacato di costituzionalità precisi punti di riferimento, evitando che lo scrutinio di questa Corte sconfini e si sovrapponga alle valutazioni che spettano al Governo, nell’adottare il decreto-legge, e al Parlamento, nel convertirlo.

D’altro canto, la valutazione sinergica e complessiva di tali indici salvaguarda l’effettività del sindacato che la Costituzione affida a questa Corte, quale depositaria del compito di «preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto» (sentenza n. 171 del 2007, punto 4 del Considerato in diritto).

Gli indici descritti devono poi essere ponderati e acquistano significato e pregnanza nella dialettica del processo costituzionale, tanto nei giudizi instaurati in via incidentale quanto in quelli promossi in via principale.

10.– Un primo elemento, indicativo dell’evidente insussistenza dei requisiti enunciati dall’art. 77 Cost., si impone alla valutazione di questa Corte.

L’art. 2, comma 3, del d.l. n. 51 del 2023, come convertito, nel sancire l’immediata cessazione dall’incarico dei sovrintendenti che, alla data del 1° giugno 2023, abbiano superato i settant’anni di età, non presenta alcuna correlazione con le finalità enunciate nel preambolo.

Tali finalità attengono alla «straordinaria necessità e urgenza di stabilire misure volte a garantire l’efficienza dell’organizzazione degli enti previdenziali pubblici, nonché delle fondazioni lirico-sinfoniche» e quindi non riguardano in alcun modo la cessazione degli incarichi in corso.

Tali finalità sono prospettate in termini generici e apodittici e si rivelano distoniche rispetto alla disciplina sulla cessazione ex abrupto degli incarichi già conferiti, nel suo contenuto di puntuale dettaglio che in questo giudizio viene in rilievo.

L’efficienza, peraltro, deve essere intesa anche alla stregua delle enunciazioni di principio di questa Corte (sentenza n. 153 del 2011), richiamate dalla stessa difesa statale nella discussione in udienza a supporto della natura pubblicistica delle fondazioni.

La disciplina delle fondazioni lirico-sinfoniche persegue l’obiettivo «di tutelare direttamente ed efficacemente i valori unitari e fondanti della diffusione dell’arte musicale, della formazione degli artisti e dell’educazione musicale della collettività (art. 3 del d.lgs. n. 367 del 1996), segnatamente dei giovani, anche con lo scopo dichiarato dalla legge di trasmettere i valori civili fondamentali tradizionalmente coltivati dalle più nobili istituzioni teatrali e culturali della Nazione» (punto 5.3. del Considerato in diritto).

Gli interessi pubblici, sottesi alla disciplina delle fondazioni lirico-sinfoniche e legati a valori di primario rilievo costituzionale (artt. 9 e 33 Cost.), non rappresentano giustificazione sufficiente del ricorso alla decretazione d’urgenza con riguardo al peculiare àmbito regolato dalla disposizione censurata.

Né il riferimento all’art. 13 del d.lgs. n. 367 del 1996, che regola i compiti di primaria importanza del sovrintendente e ne definisce le ipotesi di cessazione dall’incarico, fornisce elementi chiarificatori in ordine al caso di straordinaria necessità e urgenza che il Governo ha addotto per intervenire con lo strumento del decreto-legge e disporre una cessazione immediata dall’incarico, destinata a ripercuotersi sulla programmazione dell’attività dell’ente e sulle scelte delicate e di lungo periodo che tale programmazione richiede.

Quanto alla specifica disciplina intertemporale sottoposta allo scrutinio di questa Corte, neppure il titolo del decreto-legge, nell’indiscriminato richiamo alle «Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale», getta luce sui rigorosi presupposti che l’art. 77 Cost. prescrive.

11.– La disomogeneità della disposizione censurata è confermata anche dall’analisi del più ampio contesto in cui l’intervento del legislatore si inquadra.

L’art. 2, comma 3, del d.l. n. 51 del 2023, come convertito, è parte del Capo I e segue l’art. 1, dedicato al riordino degli enti previdenziali pubblici.

Il decreto-legge, al Capo II, proroga alcuni termini legislativi e, al Capo III, si occupa di iniziative di solidarietà sociale.

In un provvedimento, contrassegnato da una molteplicità di oggetti, la disposizione censurata non solo non trova un saldo e riconoscibile ancoraggio nel titolo del decreto-legge e nel preambolo, ma neppure si raccorda in modo coerente alla trama normativa del testo, esaminato in un orizzonte più ampio.

Non si può scorgere, dunque, una traiettoria finalistica comune, capace di disvelare, per una disposizione contrassegnata da un puntuale contenuto precettivo, una ratio unitaria, che valga a raccordarla alle altre previsioni del decreto-legge, pur nella pluralità e nella diversità degli ambiti materiali coinvolti.

12.– Neppure dalla discussione parlamentare si possono desumere elementi probanti del caso di straordinaria necessità e urgenza che è all’origine dell’intervento normativo.

Il dibattito che ha accompagnato la conversione in legge non consente di individuare, con precipuo riguardo alla disposizione transitoria di cui si discute, la straordinaria necessità e urgenza di intervenire con la risoluzione anticipata dei rapporti di lavoro in corso, secondo una decorrenza (1° giugno 2023) che la stessa difesa dello Stato, a fronte della richiesta di chiarimenti formulata in udienza, non ha correlato in modo convincente ai presupposti di cui all’art. 77 Cost.

I lavori preparatori, con argomenti mutuati anche nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, richiamano diffusamente l’esigenza di armonizzare la disciplina preesistente e di favorire il ricambio generazionale, senza però attardarsi sulla particolare disposizione sottoposta allo scrutinio di questa Corte.

Nondimeno, le considerazioni svolte a tale riguardo, nel polarizzare l’attenzione sulla normativa a regime, non indicano elementi risolutivi in ordine alla straordinaria necessità e urgenza di regolare i rapporti in corso, secondo la tempistica tracciata nel decreto-legge, per dare concreta attuazione all’obiettivo di efficienza dichiarato nella premessa del decreto.

Questa Corte ha puntualizzato che l’esigenza di porre rimedio a incongruenze e disarmonie del tessuto normativo «giustifica la modifica, ma non rende ragione dell’esistenza della necessità ed urgenza di intervenire sulla norma» (sentenza n. 171 del 2007, punto 6 del Considerato in diritto) e tali considerazioni si impongono con maggior vigore nell’esame di una disciplina di minuto dettaglio, dal contenuto eterogeneo rispetto ai pur molteplici e variegati oggetti del decreto-legge in cui è confluita.

13.– Neppure nel giudizio dinanzi a questa Corte, nel contraddittorio fra le parti, sono stati addotti elementi decisivi per contestare la palese insussistenza dei requisiti imposti dall’art. 77 Cost.

La valenza meramente interpretativa che la difesa dello Stato conferisce alla disposizione censurata non giustifica la straordinaria necessità e urgenza di legiferare con lo strumento del decreto-legge per enucleare una conseguenza che si ritiene sia già insita nel sistema normativo, peraltro modulandola secondo una peculiare scansione temporale.

Inoltre, alla luce degli indici, molteplici e convergenti, che si sono già passati in rassegna, non giova invocare il carattere solo parzialmente innovativo della disciplina, svincolata da quel disegno di riordino sistematico e ad ampio raggio che questa Corte considera tendenzialmente incompatibile con il ricorso al decreto-legge (sentenze n. 33 del 2019, n. 99 del 2018, n. 236 del 2017, n. 287 del 2016 e n. 220 del 2013). Il fatto che non si configuri un intervento riformatore di ampia portata, destinato a incidere sui tratti qualificanti di una disciplina, non denota di per sé la conformità della disciplina innovativa ai requisiti tipizzati dall’art. 77 Cost.

14.– Con riferimento all’immediata cessazione dei singoli incarichi di sovrintendente, non si rinviene, dunque, quella esigenza «di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità» (sentenza n. 220 del 2013), che rappresenta la necessaria legittimazione del decreto-legge nel sistema costituzionale delle fonti.

Tutti gli elementi passati in rassegna, esaminati nel loro complessivo interagire, convergono, in ultima analisi, nel connotare come evidente l’insussistenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza con riferimento alla disposizione oggi censurata.

15.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del d.l. n. 51 del 2023, come convertito.

16.– Restano assorbite le restanti censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51 (Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 87.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Giovanni PITRUZZELLA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA”.


[1] Con la sentenza n. 22 del 2012 la Corte costituzionale ha censurato l’inserimento di disposizioni eterogenee nel decreto-legge n. 225 del 2010, rilevando che “l’innesto nell’iter di conversione dell’ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, la violazione dell’art. 77, co. 2, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari, ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge”. L’orientamento della Corte è stato rafforzato dalla successiva sentenza n. 32 del 2014 che pure ha dichiarato l’incostituzionalità di disposizioni inserite nell’iter di conversione del decreto-legge n. 272 del 2005 perché eterogenee; in quest’ultima occasione, con riferimento ai limiti di emendabilità dei decreti-legge la Corte ha affermato che dalla connotazione della legge di conversione come legge di competenza tipica derivano “i limiti alla emendabilità del decreto-legge. La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore. Diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare”.