(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 10 ottobre 2024, n. 26449.

Licenziamento – Reclamo – Appalto – Esternalizzazione ad un subappaltore – Trasporto pasti – CCNL pubblici esercizi – Nessun rapporto tra subappaltatore e committente – Cessione del contratto richiede il consenso del lavoratore ceduto – Rigetto

 “[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatti di causa

La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza in atti, ha rigettato il reclamo principale ed ha dichiarato assorbito il reclamo incidentale condannando la S.R. S.p.A. al pagamento delle spese confermando la sentenza di primo grado in relazione al licenziamento (ritenuto collettivo) intimato dalla S.R. dei confronti di N.T. (ed altri lavoratori) il 18 ottobre 2019, con effetto del 20 ottobre 2019, a seguito di esternalizzazione dell’attività di trasporto pasti dal PO (presidio ospedaliero) di Padova avvenuta attraverso subappalto.

 La Corte ha ritenuto che non fosse applicabile al caso di specie l’articolo 7, comma 4 bis del decreto legge n. 248 del 2007 che esclude l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 24 della legge 223 del 1991 in materia di licenziamenti collettivi nei confronti dei lavoratori riassunti dalla subentrante in caso di cambio appalto.

 Neppure poteva applicarsi alla fattispecie l’articolo 224 del CCNL pubblici esercizi, titolato cambi di gestione-procedure, posto che anche tale norma si riferiva letteralmente ed esplicitamente alla effettiva cessazione dell’appalto.

 Infine, secondo la Corte d’appello, nessun fondamento avevano in fatto le prospettazioni svolte in via subordinata circa l’applicazione dell’articolo 2112 c.c. (cessione di azienda) o dell’articolo 1406 c.c. (cessione del contratto).

 Ed invero la deduzione circa l’esistenza di un contratto di subappalto (connotato dalla procedura richiamata dalla stessa parte, coinvolgente le organizzazioni sindacali) era radicalmente incompatibile con quello della cessione di azienda o di un suo ramo.

La sola cessione dei mezzi necessari per la consegna dei pasti del personale addetto al servizio trasporto, ma non di quello preposto alla sua organizzazione, rendeva evidente, inoltre, la mancanza dei requisiti essenziali (dell’autonomia, preesistenza ed organizzazione) che devono connotare la cessione del ramo di azienda.

 Sul quantum, preso atto che non era più in discussione il trattamento sanzionatorio avendo il reclamato incidentale rinunciato al proprio atto di impugnazione, andava ritenuto integrata l’ipotesi del comma 3 dell’art. 5 della legge n. 223/1991 novellato dalla legge 92/2012 che rinvia all’articolo 18, comma 7 terzo periodo, quindi, alla disciplina del comma 5.

 Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S.R. S.p.A. con sei motivi cui ha resistito T.N. con controricorso.

Le parti hanno prodotto memorie da ritenersi tutte tempestive, dovendosi accogliere l’istanza di rimessione in termini della controricorrente per difettoso funzionamento del pct. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto per l’erroneo rigetto dell’eccezione di nullità e/o inammissibilità o comunque l’infondatezza del ricorso introduttivo avversario che invocava ed allegava il CCNL errato.

 Violazione degli articoli 156, 414, 137 c.p.c. ex articolo 360 numero 3 c.p.c. Omesso esame circa un fatto di decisivo per il giudizio, omessa motivazione, articolo 360 numero 5 c.p.c. in relazione alla statuizione di rigetto dell’eccezione di nullità e/o inammissibilità o comunque di infondatezza del ricorso introduttivo avversario, formulata in tutti gli atti difensivi per avere controparte allegato ed invocato il CCNL errato asserendone la violazione e fondando censure di diritto.

1.1. Il motivo è infondato ed irrilevante perché il CCNL non rileva nella decisione della causa (se non per il quantum non fatto oggetto di specifica censura) come correttamente deciso dalla Corte d’appello.

In effetti il thema decidendum, come la ratio della decisione, è incentrato sulla disciplina legale della vicenda, mentre ai fini della integrazione della fattispecie del licenziamento collettivo illegittimo dedotto in giudizio non rileva il contratto collettivo.

D’altra parte, il ricorrente aveva affermato correttamente che nel rapporto di lavoro in essere tra lui e la società S.R. S.p.A. trovava applicazione il CCNL del settore turismo Confesercenti; sicché la allegazione sottesa alla domanda svolta in ricorso era coerente e si è trattato soltanto della mancata produzione del CCNL applicabile.

Inoltre non è deducibile alcun vizio relativo alla produzione del contratto collettivo quando quello corretto sia stato comunque acquisito al giudizio anche d’ufficio o per iniziativa dell’altra parte.

2.- Con il secondo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, decreto legge 31 dicembre 2007 numero 248, comma 4bis convertito dalla legge 28 febbraio 2008, articolo 31, degli articoli 4, 5 e 24 della legge 223/1991 (articolo 360 numero 5 c.pc.), omesso esame dei fatti, omessa motivazione (articolo 360 comma 1 numero 5 c.p.c.), per avere la Corte d’appello di Venezia ritenuto non applicabile la deroga prevista dall’articolo 7, comma 4 bis del d.l. 248/2007 all’applicazione della procedura ex l. n. 223/1991, alla fattispecie di cessazione del rapporto di lavoro per esternalizzazione in subappalto, ai lavoratori contestualmente riassunti alle dipendenze della subappaltatrice alle medesime condizioni, in quanto ritenuta erroneamente applicabile alla sola ipotesi di cessazione dell’intero appalto.

3.- Con il terzo motivo si sostiene violazione e falsa applicazione degli articoli dal 222 al 235 – Titolo X settore ristorazione collettiva protocollo appalto del CCNL turismo pubblici esercizi 8 febbraio 2018; violazione e falsa applicazione di norme di diritto in particolare delle norme di ermeneutica del contratto di cui agli artt. 1362 e s. c.c. e dell’articolo 3 Cost. (articolo 360 numero 3 c.p.c.) per aver ritenuto non applicabile la disciplina dei cambi di gestione alla fattispecie del subappalto.

 Omessa e contraddittoria motivazione (articolo 360, numero 5 c.p.c. ) in relazione alla statuizione della Corte d’appello di Venezia che ha ritenuto la normativa dettata dal CCNL turismo pubblici esercizi in materia di cambi di gestione nell’appalto applicabile alla sola ipotesi di cessazione dell’intero appalto e non alla fattispecie della esternalizzazione in subappalto.

3.1. Il secondo ed terzo motivo possono essere affrontati unitariamente per connessione ed attengono alla individuazione della disciplina legale della fattispecie concreta.

Deve essere evidenziato, anzitutto, che il ricorrente è stato licenziato a seguito della esternalizzazione dell’attività di trasporto pasti del presidio ospedaliero di Padova in data 18.10.2019 (con effetto dal 20.10.2019).

Correttamente la Corte d’appello ha sostenuto che debba essere esclusa l’applicabilità dell’articolo 7, comma 4 bis del decreto legge n. 248 del 2007, che a sua volta esclude l’applicazione delle disposizioni dettate dall’articolo 24 della legge 23/7/1991 n.223 per i licenziamenti collettivi alla fattispecie del cambio appalto.

In effetti la norma si riferisce soltanto a questa diversa fattispecie giuridica, in quanto sia il dato letterale, sia la ratio della disciplina normativa è riferita al cambio appalto ovvero all’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore in conseguenza di un rapporto di appalto intercorrente tra committente e nuovo appaltatore.

Diversa è la fattispecie del contratto di subappalto, che dipende da un contratto derivato in cui non vi è cessazione dell’appalto, né un nuovo appaltatore.

La decisione di esternalizzare ad un subappaltore è frutto della mera volontà del datore di lavoro appaltatore.

 Ciò non crea alcun rapporto tra subappaltatore e committente.

Né alcun cambio appalto.

L’appalto originario rimane in essere e solo si sostituisce all’appaltatore un nuovo subappaltatore.

La fattispecie legale in discorso non si può quindi applicare alla fattispecie concreta in oggetto.

Neppure si addice alla vicenda del subentro nel subappalto la regolamentazione apprestata dall’articolo 224 del CCNL Pubblici Esercizi intitolato cambi di gestione-procedura.

Anche tale disciplina prevede la “effettiva cessazione dell’appalto” e non può essere quindi applicata ai cambi di gestione conseguenti a subappalto.

4.- Con il quarto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2112 c.c. e degli articoli 115, 116, 132 c.p.c. e 111 Costituzione per non aver ritenuto configurabile il trasferimento d’azienda (articolo 360 numero 3 c.p.c.), per la mancata ammissione delle relative istanze istruttorie, per omesso l’esame dei fatti (articolo 360 n. 4 e n. 5 c.p.c. ), per avere la Corte d’appello di Venezia asserito l’impossibilità di riqualificazione della fattispecie ad opera del giudice, con inquadramento della fattispecie concreta nella diversa fattispecie di trasferimento d’azienda ex articolo 2112 c.c.

4.1. Il motivo è infondato; il subappalto con il quale si cede e trasferisce un servizio non può integrare di per sé la cessione d’azienda in mancanza dei requisiti dell’autonomia e dell’organizzazione del ramo ceduto. 

I giudici di merito hanno affermato in primo luogo che la posteriore cessazione del rapporto lavorativo avesse rilievo dirimente rispetto all’asserito fenomeno successorio in relazione alla asserita cessione di azienda.

La comunicazione del 3 ottobre con cui Geos formalizzava la propria disponibilità allo svolgimento del servizio in data 14 ottobre e quella del 10 ottobre relativa all’indicazione dell’incontro con le organizzazioni sindacali precedevano il licenziamento del giorno 18 e l’assunzione del giorno 21.

In pratica, secondo i giudici di merito, la asserita cessione sarebbe avvenuta prima ed avrebbe preceduto il licenziamento del lavoratore, la cui assunzione costituirebbe un fatto posteriore all’asserita cessione, come tale non ricollegabile ad essa.

In ogni caso, concettualmente il subappalto, postula l’autonomia dell’organizzazione del subappaltatore, laddove la cessione di ramo di azienda apporta invece un quid preesistente, anche dal punto di vista dell’organizzazione, che si trasferisce in capo al cessionario.

Vero è che in ipotesi, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, anche un appalto o subappalto può configurare un trasferimento di azienda (sentenza n. 12720 del 19/05/2017).

Tuttavia è necessario che esistano i requisiti dell’autonomia e dell’organizzazione del ramo ceduto, mentre nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato in fatto che la parte ricorrente S.R. S.p.A. non avesse dedotto alcuna circostanza significativa per ritenere la simulazione dell’intervenuto subappalto, né avesse fornito circostanze significative del preteso diverso inquadramento in oggetto.

Ed ha pure sostenuto che fosse invece avvenuta la sola cessione dei mezzi necessari per la consegna dei pasti e del personale addetto al servizio di trasporto, ma non di quello preposto alla sua organizzazione, e che quindi mancassero i requisiti essenziali dell’autonomia, della preesistenza ed organizzazione che devono connotarlo.

Secondo i giudici di merito con tale limitata cessione, riferita alla parte strumentale, non risultavano integrati i presupposti dell’articolo 2112 comma 5 c.c. poiché era rimasto indimostrato che tale sola parte ceduta assicurasse già il suo autonomo funzionamento, e quindi, il servizio per il quale, al contrario, sarebbe stato necessario individuare i soggetti preposti alla sua organizzazione, turni, percorsi, gestione degli automezzi, modalità di consegna.

Alla stregua di tale premessa deve essere pure rigettata la doglianza con cui la parte ricorrente lamenta la mancata ammissione dei mezzi di prova testimoniali sulle circostanze della asserita cessione atteso la loro non concludenza e mancanza di decisività, secondo l’accertamento dei giudici del merito non adeguatamente censurato sul punto.

5.- Col quinto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1406 c.c. per non aver ritenuto configurabile la cessione del contratto (articolo 360 numero 3 c.p.c. ) e per omesso esame dei fatti, omessa motivazione ex articolo 360 numero 5 c.p.c. per aver ritenuto non inquadrabile la fattispecie concreta nella fattispecie astratta della cessione di contratto ex articolo 1406 c.c. pur ricorrendone tutti gli elementi sostanziali.

5.1. Il motivo deve essere disatteso.

 Correttamente la Corte d’appello ha rilevato che alla data del licenziamento (18 ottobre) la S.R.  cessava di essere titolare del rapporto, per cui alla data di instaurazione del nuovo rapporto (21 ottobre) non era più cedibile un rapporto cessato.

 In ogni caso la cessione del contratto richiede il consenso del lavoratore ceduto, mentre nel caso di specie non è stato neppure dedotto che il lavoratore lo avesse prestato. 

6.- Col sesto motivo si sostiene la violazione, falsa, errata applicazione dell’articolo 18 legge 300/70 con riferimento alla disciplina sanzionatoria e all’entità della stessa (ex articolo 360 numero 3 c.p.c.).

Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla determinazione del danno risarcibile (articolo 360 numero 5 c.p.c.) per avere la Corte d’appello di Venezia erroneamente statuito in ordine alla sanzione applicabile, avendola in ogni caso quantificata in misura esorbitante.

6.1. Il motivo è inammissibile perché generico ed in ogni caso perché la determinazione dell’indennità risarcitoria è attribuita alla discrezionalità motivata del giudice di merito.

E nel caso di specie essa è stata correttamente parametrata, tenuto conto dell’anzianità lavorativa del lavoratore (10 anni), in conformità alla corretta fattispecie legale, atteso che, come affermato dai giudici di merito, a fronte della mancata attivazione della procedura prevista dalla legge n. 223/91, al licenziamento collettivo illegittimo si applica ai sensi del comma 3 dell’art.5 della l.223/91 (sostituito dall’art. 1, co. 46., I n. 92 del 2012), la tutela dell’articolo 18,7 comma che rinvia per la tutela al 5 comma della stessa norma (Cass. n. 2587 del 02/02/2018, n. 12095 del 13/06/2016).

Inammissibili sono invece le doglianze relative alla omessa valutazione di fatti decisivi per la ricorrenza di una ipotesi di c.d. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019). 

7.- Sulla scorta di tali esaustive considerazioni il ricorso in oggetto va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

8. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio […]”