(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 9 ottobre 2024, n. 26322.
Lavoro. Recesso. Norme di diritto sulle pronunce cautelari e di merito. Prescrizione dei crediti retributivi.
“[…] La Corte di Cassazione
(omissis)
Rilevato che
1. con sentenza 11 giugno 2020, la Corte d’appello di Campobasso, previa riunione dei due appelli delle parti, ha condannato la Provincia di Campobasso al pagamento, in favore di G.M. a titolo di retribuzione per il periodo dal 21 novembre 2008 al 28 aprile 2009, della somma di € 48.110,84 oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione delle singole partite al saldo nei limiti previsti dall’art. 22, comma 36 Legge n. 724/1994 e rigettato nel resto l’appello del lavoratore e integralmente quello della Provincia avverso le sentenze di primo grado non definitiva (di rigetto delle sue eccezioni di decadenza del lavoratore dall’impugnazione del recesso datoriale e parzialmente di prescrizione, accolta limitatamente ai crediti retributivi suindicati del predetto e all’indennità di risultato 2008, ma non in relazione al compenso quale Responsabile di Procedimento per lavori di realizzazione di una strada di collegamento interno) e definitiva (di condanna della Provincia al pagamento, in favore del predetto, a titolo di compenso quale Responsabile di Procedimento, della somma di € 27.981,26, oltre accessori; con rigetto di tutte le domande della Provincia e delle altre del lavoratore);
2. per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha disatteso l’eccezione di prescrizione dei crediti retributivi maturati dal lavoratore del periodo dal 21 novembre 2008 al 28 aprile 2009, per la sua decorrenza, non già dal recesso della Provincia del 21 novembre 2018 siccome dichiarato nullo dal Tribunale, bensì dal deposito del ricorso introduttivo del 9 dicembre 2013 e pertanto entro il quinquennio.
E ritenuto spettante al lavoratore il compenso, quale Responsabile di Procedimento per lavori di realizzazione di una strada S.C.R.U. fino al 14 luglio 2008, in base alle risultanze documentali dal medesimo versate in atti, genericamente contestate dalla Provincia, essenzialmente limitatasi ad opporne la prescrizione, interrotta dal deposito del predetto presso la Provincia dell’istanza di liquidazione del compenso il 10 febbraio 2010;
3. con atto notificato il 10 dicembre 2020, la Provincia di Campobasso ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione delle norme di diritto sulle pronunce cautelari e di merito, sui termini per la prosecuzione del giudizio di merito e sulla prescrizione dei crediti retributivi (art. 2948, n. 4 c.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la nullità del recesso sulla sola base dell’ordinanza cautelare 16 marzo 2009, cui neppure il lavoratore ha fatto seguire l’introduzione del giudizio di merito, con la relativa inefficacia del provvedimento cautelare, provvedendo all’introduzione del giudizio di primo grado soltanto successivamente, con ricorso depositato il 9 dicembre 2013, erroneamente ritenuto atto interruttivo di una prescrizione che sarebbe maturata, non già dall’atto di recesso del 21 novembre 2008, ma dalla data delle dimissioni del lavoratore (rassegnate il 28 aprile 2009) e pertanto tempestivamente interrotta dal ricorso suddetto (primo motivo); omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, quale la data di decorrenza della prescrizione, erroneamente individuata dalla Corte d’appello in quella delle dimissioni del lavoratore (28 aprile 2009), anziché della cessazione del rapporto di lavoro (recesso della Provincia del 21 novembre 2008), con la conseguente erronea esclusione della prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore, per effetto dell’accertamento di nullità del recesso soltanto con il giudizio di merito introdotto dal predetto con ricorso depositato il 9 dicembre 2013, oltre la scadenza del termine quinquennale di prescrizione, appunto decorrente dal 21 novembre 2008 (secondo motivo);
2. essi congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
3. preliminarmente, deve essere affermata la palese inammissibilità del vizio motivo denunciato con il secondo motivo, non più previsto dal risalente novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053);
3.1. nel merito, la Corte territoriale ha correttamente escluso, in esito ad un percorso decisionale congruamente argomentato, la prescrizione dei crediti retributivi maturati dal 21 novembre 2008 al 28 aprile 2009, sul rilievo dell’accertamento, non già nel dedotto procedimento cautelare non stabilizzato con una tempestiva introduzione del giudizio di merito, bensì in esito alla specifica domanda del lavoratore, con ricorso introduttivo di un autonomo giudizio di merito depositato il 9 dicembre 2013, di accertamento della nullità (dal terzo al settimo alinea di pg. 3 della sentenza) del recesso per giusta causa della Provincia di Campobasso del 21 novembre 2008, incidentalmente dichiarata dalla Corte territoriale.
Per effetto di tale nullità, essa ha ritenuto, contrariamente dal Tribunale con sentenza non definitiva (per le ragioni illustrate dal terz’ultimo alinea di pg. 6 all’undicesimo di pg. 7 della sentenza), i suddetti crediti non prescritti: posto che, in ragione dell’accertata nullità del recesso per giusta causa (tamquam non esset, per la natura dichiarativa della pronuncia di nullità, produttiva di effetti ex tunc: Cass. 26 marzo 2019, n. 8385; Cass.16 gennaio 2020, n. 823), il rapporto lavorativo è stato ripristinato fino al 28 aprile 2009, data delle dimissioni del lavoratore, con la maturazione dei crediti retributivi del periodo dal 21 novembre 2008 al 28 aprile 2009 e la conseguente possibilità di farne valere la pretesa, a norma dell’art. 2935 c.c.;
4. la ricorrente ha poi dedotto violazione e falsa applicazione delle norme di diritto amministrativo, per erroneo riconoscimento dai giudici di merito, e in particolare dalla Corte d’appello, al lavoratore del compenso, quale Responsabile di Procedimento per lavori di realizzazione di una strada S.C.R.U., sulla base della determinazione dirigenziale di liquidazione del 28 marzo 2010 firmata da un funzionario della Provincia anziché del dirigente a ciò legittimato, comportante la nullità dell’atto, siccome privo della volontà certificativa dell’ente e pertanto ad esso non imputabile a fondamento di una pretesa creditoria (terzo motivo);
5. esso è inammissibile;
6. il motivo neppure individua le norme denunciate di violazione, tanto più difettando dei requisiti di corretta formulazione dell’error in iudicando.
Come noto, esso deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità giusta la disposizione dell’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 29 novembre 2016, n. 24298; Cass. 5 agosto 2020, n. 16700; Cass. S.U. 28 ottobre 2020, n. 23745);
6.1. in ogni caso, sono irrilevanti i principi di corretta formazione dell’atto amministrativo, avendo la Corte territoriale posto ad esclusivo fondamento del riconoscimento del compenso la determinazione dirigenziale di liquidazione del 23 giugno 2010 e compiuto un’articolata valutazione probatoria, alla luce del comportamento processuale ed extraprocessuale tenuto dalla Provincia, esitata in un accertamento in fatto, oggetto di sostanziale contestazione con la censura, congruamente argomentato (dal penultimo capoverso di pg. 14 all’ultimo di pg. 15 della sentenza) e pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);
7. il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso […]”.
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