(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo,G .Dobici)
Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 19 dicembre 2024, nella causa C-664/23 | Caisse d’allocations familiales des Hauts-de-Seine.
Uno Stato membro non può escludere dal beneficio degli assegni familiari il lavoratore straniero i cui figli, nati in un paese terzo, non dimostrino di essere entrati regolarmente nel suo territorio.
I cittadini di paesi terzi ammessi in uno Stato membro al fine di svolgervi regolarmente un’attività lavorativa devono beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali.
1. Nel 2008 un cittadino armeno è entrato irregolarmente nel territorio francese con la moglie e i due figli minorenni, nati in Armenia. Nel 2011 la coppia ha avuto un terzo figlio, nato in Francia. Nel 2014 il padre ha chiesto di ottenere prestazioni familiari per i suoi tre figli. Benché egli disponesse di una carta di soggiorno temporaneo che gli consentiva di lavorare, la Cassa per gli assegni familiari (CAF) del dipartimento Hauts-de-Seine, Francia, ha respinto la sua domanda per i due figli nati al di fuori della Francia. Tale diniego, che egli ha contestato dinanzi al Tribunale della previdenza sociale di Nanterre, Francia, si basava sulla mancanza di documenti comprovanti il regolare ingresso dei figli in Francia[1].
Dopo una sentenza di primo grado favorevole, la Corte d’appello di Versailles, Francia, ha confermato il diniego. Nel 2022 la Corte di cassazione, Francia, ha però annullato la sentenza, sottolineando che la Corte d’appello non aveva affrontato gli argomenti sollevati dal cittadino armeno con riferimento alla direttiva sul permesso unico[2], che garantisce la parità di trattamento tra lavoratori che siano cittadini di paesi terzi e cittadini dell’Unione.
La causa è stata rinviata alla Corte d’appello, la quale ha deciso di adire la Corte di giustizia dell’Unione europea. Essa intende sapere se uno Stato membro possa rifiutare di prendere in considerazione i figli a carico di un titolare di permesso unico, che siano nati in un paese terzo, qualora essi non siano entrati in base a una procedura di ricongiungimento familiare o qualora il genitore non abbia fornito i documenti comprovanti la regolarità del loro ingresso nel territorio.
2. La Corte di giustizia dell’Unione europea risponde che è contrario al diritto dell’Unione subordinare il diritto alle prestazioni familiari dei cittadini di paesi terzi che soggiornano regolarmente in Francia ad una condizione supplementare, consistente nel dover dimostrare l’ingresso regolare nel territorio francese dei figli per i quali sono richieste le prestazioni familiari.
La Corte dichiara, infatti, che imporre una siffatta condizione significa riservare ai cittadini di paesi terzi un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficiano i cittadini dello Stato membro ospitante. Essa ricorda che il diritto dell’Unione prevede la parità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi che oggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri e i cittadini nazionali. Infatti, quando è accertato il soggiorno legale del cittadino di un paese terzo in uno Stato membro, spetta agli Stati membri garantire la parità di trattamento tra tali lavoratori soggiornanti nel loro territorio e i loro cittadini nazionali, limitando rigorosamente le deroghe a tale diritto.
[1] Si trattava, nella fattispecie, di produrre un documento rilasciato dall’autorità prefettizia attestante che il figlio ha fatto ingresso in Francia al più tardi contemporaneamente ad uno dei genitori ammessi al soggiorno, oppure un certificato medico rilasciato nell’ambito di una procedura di ricongiungimento familiare.
[2] Direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro.
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