(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Sentenza 6 febbraio 2025, n. 3043
Illegittimità licenziamento disciplinare. Pagamento indennità. Violazione quarantena COVID. Difetto di requisito dimensionale.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la decisione dei giudici di prime cure che avevano ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare intimato il 27 agosto 2020 dalla F. S.r.l. nei confronti di M.F., dichiarando risolto il rapporto di lavoro e condannando la società al pagamento di una indennità pari a 18 mensilità della retribuzione globale di fatto; stante la dichiarata risoluzione del rapporto, il Tribunale non si pronunciava sulla impugnativa di un secondo licenziamento successivamente adottato dalla datrice di lavoro.
2. La Corte territoriale, in estrema sintesi, ha ritenuto, condividendo l’assunto del Tribunale, che la condotta addebitata al lavoratore e consistente nell’aver violato la quarantena prevista all’epoca dalla disciplina volta a prevenire la diffusione del Covid, presentandosi in servizio nei giorni 2 e 3 agosto 2020 dopo un evento luttuoso che lo aveva colpito, non fosse di gravità tale da giustificare la massima sanzione espulsiva.
3. Quanto al difetto di requisito dimensionale per l’applicabilità dell’art. 18 St. lav., la Corte la respinto il motivo di reclamo formulato dalla società ritenendo, tra l’altro, che “nel caso in esame i dati occupazionali relativi al solo semestre anteriore al licenziamento (febbraio/agosto 2020) non sarebbero comunque dirimenti ai fini del computo dei dipendenti per stabilire quale fosse il normale livello occupazionale ai fini dell’applicazione dell’art. 18”, in quanto il periodo era “caratterizzato da contingenze assolutamente eccezionali, coincidendo con la prima drammatica fase della crisi sanitaria che nei mesi da marzo a maggio 2020 aveva comportato perfino la chiusura delle attività produttive quali il centro commerciale I G., al cui interno si trovava il locale gestito dalla società reclamante”.
4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società, con tre motivi; ha resistito l’intimato con controricorso.
La Procura Generale ha comunicato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha replicato con memoria.
Ragioni della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere indicati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente.
1.1. Con il primo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione all’art. 4, c. 3, DPCM 11/06/2020, 144 e 213 del CCNL Turismo – Pubblici Esercizi, dell’art. 7, L. 300/1970 e degli artt. 2106, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. ed erronea valutazione delle risultanze documentali, per aver il giudice del reclamo ritenuto illegittimo il primo licenziamento per giusta causa per non aver correttamente applicato le norme violate dal lavoratore e non avere accertato la gravità della relativa condotta e per conseguentemente aver condannato la F. alla corresponsione di una indennità risarcitoria”.
1.2. Col secondo motivo si denuncia: “In tesi: nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte territoriale rispettato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato circa la domanda proposta da F. sulla declaratoria di legittimità del secondo licenziamento; in ipotesi: violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c., per non aver la Corte territoriale esaminato la domanda proposta da F. sulla declaratoria di legittimità del secondo licenziamento; in ipotesi subordinata: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c. n. 5, per aver la Corte territoriale omesso di esaminare i fatti oggetto della domanda di declaratoria di legittimità del secondo licenziamento; in ogni caso: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c. n. 5, per aver la Corte territoriale omesso di esaminare la portata probatoria della conversazione telefonica intercorsa tra il Sig. F. e la F. circa la partenza di quest’ultimo.”
1.3. Il terzo motivo lamenta: “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione agli artt. 18, cc. 4 e 5, l. 300/1970 (ndr artt. 18, commi 4 e 5, l. 300/1970), 2697 c.c. e 115 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto non idoneo il LUL allegato dalla F. per dimostrare il numero dei dipendenti e per non aver considerato l’assenza di contestazioni tempestive e specifiche in merito da parte del Sig. F. e per aver conseguentemente omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, ossia gli elementi contenuti nel LUL.”
2. Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Nonostante la denuncia di violazione di plurime norme di diritto, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., nella sostanza ci si duole esplicitamente della “erronea valutazione delle risultanze documentali”, valutazione del materiale probatorio che chiaramente compete al giudice del merito.
Di talché si sollecita un sindacato estraneo al giudizio di legittimità, pretendendo una rivalutazione di circostanze fattuali, anche in ordine alla proporzionalità della massima sanzione espulsiva.
2.2. Il secondo motivo non è accoglibile sia nella parte in cui evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), sia là dove lamenta una omessa pronuncia della Corte territoriale che, del tutto correttamente, non ha deciso sulla legittimità del secondo licenziamento, così come il
Tribunale, in quanto intervenuto su di un rapporto di lavoro già dichiarato risolto in precedenza per altra causa.
2.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Ancora si evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla conformità della decisione in doppio grado, senza che parte ricorrente indichi le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della pronuncia del Tribunale e della Corte di Appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
Inoltre, non viene confutata adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del requisito dimensionale ai fini dell’applicabilità dell’art. 18 St. lav., se non attraverso un differente apprezzamento di circostanze concernenti il numero di dipendenti nella concreta fattispecie.
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui contesta il numero di mensilità riconosciute al lavoratore ai sensi del comma 5 dell’art. 18 novellato, mentre avuto riguardo a detta disposizione la violazione di legge è ipotizzabile, per costante giurisprudenza, solo nel caso in cui vengano superati i limiti minimo o massimo stabiliti dalla norma (cfr. Cass. n. 13178 del 2017; Cass. n. 27656 del 2018; Cass. n. 6550 del 2019; Cass. n. 21556 del 2019).
3. Conclusivamente, il ricorso è complessivamente da respingere; le spese, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura forfettaria del 15% […]”.
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