Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione, Sentenza 11 febbraio 2025, n. 3495
Contratto a tempo determinato part-time. Richiesta sussistenza rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato o in subordine a part-time indeterminato. Contratti di prossimità. Documento di Valutazione dei Rischi.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Campobasso, con sentenza n. 101/2023, ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Campobasso del 9 gennaio 2023, che aveva rigettato il ricorso proposto da M.F.
Il ricorrente chiedeva che fosse dichiarata la nullità del contratto a tempo determinato part-time, stipulato con la F. S.p.A. in data 29.1.2019, e che fosse riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, o in subordine a part-time indeterminato.
2. La Corte, a fronte delle censure riproposte dal lavoratore in appello, ha richiamato gli orientamenti di legittimità (tra cui Cass. n. 27806/2023) che confermano l’efficacia degli accordi di prossimità se stipulati in conformità alla normativa, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 52/2023, che ha ribadito la legittimità delle deroghe previste da tali accordi, purché rispondano a finalità collettive e rispettino i requisiti normativi.
Segnatamente ha ritenuto che gli accordi aziendali e in particolare quello del dicembre 2018, richiamato dal contratto a tempo determinato sottoscritto dal ricorrente nel 2019, rientrassero nella categoria dei suddetti contratti di prossimità, in quanto finalizzati all’incremento dell’occupazione e della competitività aziendale, come espressamente indicato nel loro contenuto, e che, pertanto, le deroghe alla disciplina generale fossero legittime.
Ha altresì evidenziato come la F. avesse dimostrato per tabulas il rispetto dei criteri normativi e delle finalità previste dalla legge, escludendo l’applicazione dell’accordo ai soli addetti della produzione, sul rilievo che l’attività di produzione e movimentazione della merce sono strettamente collegate.
Infine, in merito all’asserita violazione dell’art. 36 Cost. la Corte ha ritenuto infondata la doglianza, affermando che non era contestato il rispetto dei minimi retributivi previsti dal contratto nazionale, che costituivano l’unico aspetto inderogabile, per concludere, quanto alla valutazione dei rischi, che la società resistente avesse adeguatamente aggiornato il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), inserendo la figura del carrellista a partire dal 2018, e organizzando relativi corsi di formazione e che la società avesse depositato in data 20.1.2020, per ciascuna delle cause pendenti, supporto ottico (DVD), avente lo stesso contenuto di quello depositato in udienza.
3. Avverso la sentenza di secondo grado il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi cui ha resistito con controricorso la società datrice di lavoro.
Ragioni della decisione
4. I motivi possono essere così sintetizzati.
4.1. Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 comma 6 della Costituzione in cui sarebbe incorsa la corte rendendo una motivazione apparente allorché ha affermato che “gli accordi sottoscritti dalla F., e, in particolare quello del dicembre 2018, rilevante nel caso de quo in quanto richiamato dal contratto a tempo determinato del 2019 sottoscritto dall’odierno appellante, rientrano senz’altro nell’istituto del contratto di prossimità”.
Deduce segnatamente il ricorrente che la motivazione pur non essendo mancante, sarebbe incomprensibile perché la Corte non avrebbe esplicitato il proprio ragionamento a sostegno dell’affermazione sviluppata, ponendosi al di sotto della soglia minima richiesta dall’art. 111 cost., senza chiarire il nesso causale tra le deroghe normative e le finalità perseguite, che sarebbe, nella prospettazione del ricorrente, assolutamente carente nell’accordo del 2018.
4.3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 8 del D.L. n. 138/11, 1362, 1363 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), sul rilievo che la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato i requisiti sostanziali per la validità di un accordo di prossimità ai sensi dell’art. 8 del D.L. 138/2011, non considerando che nell’accordo aziendale del 2018 il richiamo alle disposizioni del D.L. n. 138/11 era generico e formale, ripetitivo in maniera tautologica di alcune delle finalità dell’art. 8.
Avrebbe errato la Corte omettendo, altresì, di considerare che il richiamo all’incremento di competitività doveva essere collegato all’incremento del salario.
Ancora, nel ripercorrere gli atti (la premessa e l’art. 2 dell’accordo) la Corte avrebbe errato non rilevando che, pure essendo le finalità perseguite dalla F. l’incremento della occupazione, della qualità dei contratti di lavoro, della competitività, non era presente alcuna specificazione sulla correlazione causale tra ragioni di fatto derogatorie e finalità perseguite dal legislatore, in altre parole non era presente alcuna spiegazione sul perché le deroghe alla disciplina del contratto a tempo determinato sarebbero state strumento di rilevante importanza per raggiungere questi scopi.
4.4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonché dell’art. 8 del D.L. n. 138/11 (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, avendo osservato che “non risulta contestato dal F. che le previste finalità sono state pienamente perseguite, giustificando le allegate oscillazioni tra alti e bassi della domanda il ricorso a forme di lavoro flessibile”.
Per tal via, secondo il ricorrente, la Corte di merito avrebbe erroneamente posto a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza di oscillazioni della domanda giustificative del ricorso al lavoro flessibile, in deroga ai principi sull’onere della prova, laddove il lavoratore doveva limitarsi a evidenziare i vizi formali dell’accordo di prossimità, e la mancanza di nesso causale tra finalità e deroghe alla normativa generale, senza dover dimostrare fatti mai indicati nell’accordo stesso e sollevati dall’azienda solo in sede processuale.
Avrebbe comunque errato la corte a valorizzare quali presupposti dell’accordo del dicembre 2018 finalità legate a fluttuazioni della domanda, che invece non risultano dal testo dell’accordo e costituiscono una giustificazione postuma, riferibile ad altri accordi sindacali, con violazione degli artt. 1362-1363 c.c. per errata interpretazione del contenuto dell’accordo.
4.5. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3 e 5, c.p.c.) in cui sarebbe incorsa la corte ritenendo circostanza evidente che “l’attività di produzione e l’attività di movimentazione della merce prodotta sono strettamente correlate e che oscillazioni dei flussi che interessano la prima non possono che ripercuotersi sulla seconda”, così introducendo, in violazione della norma suddetta, l’utilizzo del fatto notorio per cognizioni di natura tecnica.
4.6. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1363 c.c. e dell’ art. 8 d.l. n. 138/11 (ex art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c.), in cui la Corte sarebbe incorsa, ritenendo applicabile erga omnes l’accordo aziendale di dicembre 2018, richiamando letteralmente le sue clausole (pag 9 sentenza impugnata) in maniera atomistica, senza considerare l’attività concretamente svolta dal ricorrente, addetto al vecchio magazzino, settore estraneo agli investimenti richiamati nella premessa dell’accordo stesso e violando i principi di interpretazione sistematica (art. 1363 c.c.), trascurando che le parti, con l’accordo, intendevano disciplinare diversamente i rapporti di lavoro solo per i settori coinvolti nel piano di innovazione tecnologica (magazzino automatizzato e nuova linea produttiva), finalizzati a incrementare la competitività aziendale.
Pertanto, secondo il ricorrente, la dichiarata efficacia erga omnes dell’accordo avrebbe dovuto essere interpretata come riferita esclusivamente ai lavoratori impiegati nei settori interessati dagli investimenti e non estesa indiscriminatamente anche a coloro, come il ricorrente, che operavano in ambiti non coinvolti dal progetto di riorganizzazione aziendale.
4.7. Con il sesto motivo il ricorrente censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’ art. 8 d.l. n. 138/2011 e denuncia la nullità della sentenza (art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c.) derivante dall’avere, i giudici di merito, omesso di valutare correttamente la finalità unitaria prevista dal legislatore, ossia l’incremento congiunto di competitività e salario, completamente pretermessa negli accordi aziendali del 2018.
Secondo il ricorrente tali accordi non rispettavano la norma in discorso, non contemplando l’incremento di salario, poiché escludevano maggiorazioni per lavoro supplementare e indennità annue, in violazione dell’art. 36 Cost., che tutela la proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
La Corte, limitandosi a richiamare la decisione di primo grado, avrebbe omesso di fornire una motivazione autonoma, violando i principi in tema di motivazione per relationem (Cass. n. 30396/2023), che richiede un minimo sforzo argomentativo per giustificare la conferma della decisione impugnata errando nel ritenere legittimi gli accordi, con nullità della sentenza.
4.7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di valutare correttamente l’illegittimità dei contratti a termine stipulati dal ricorrente, in ragione della mancanza di una corretta valutazione dei rischi (DVR) aggiornata alla data di assunzione.
Segnatamente il ricorrente si duole del fatto che il datore di lavoro, su cui grava l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza di DVR aggiornati (Cass. n. 16835/2019), dopo aver prodotto estratti incompleti, aveva prodotto un unico hard disk all’udienza del 13 gennaio 2020 e, contravvenendo all’ordine giudiziale che lo aveva onerato di produrre altro supporto hard disk conforme al primo, aveva invece depositato due DVD, contenenti una copia informatica di quanto già depositato nell’hard disk che sarebbero peraltro stati utilizzati anche in altri giudizi in assenza di una formale riunione dei procedimenti, violando così il diritto di difesa del ricorrente, che aveva rilevato anche l’assenza di data certa (anteriore all’assunzione del lavoratore) dei documenti prodotti e la mancanza di riferimento ai rischi per i carrellisti.
La Corte d’Appello avrebbe dunque errato nel ritenere sufficiente la produzione dei DVD, senza verificare la conformità con l’hard disk originario e senza chiarire il criterio per cui tale documentazione sarebbe stata valida anche per il presente giudizio (risultando la produzione “unitaria” ammessa dalla difesa della F., cf. pag. 23 ricorso).
La corte poi avrebbe omesso di motivare sull’effettivo contenuto dei DVR e sulla loro validità rispetto alle date di assunzione del ricorrente così incorrendo nella violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver considerato prove non ritualmente acquisite, considerando il fatto che il primo contratto a tempo determinato (del 22 dicembre 2017, con efficacia dal 1 gennaio 2018) era antecedente all’aggiornamento del DVR 2017 al 2.2.2018 e all’aggiornamento del DVR 2018 al 17.12.2018.
Altresì la corte avrebbe errato nel ritenere, in difetto di riunione, idoneo un supporto documentale digitale prodotto in un uno solo dei tre giudizi.
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Per ragioni di connessione logica possono essere valutati congiuntamente il primo, il secondo e il sesto motivo.
Ed infatti con il primo e con il secondo, sostanzialmente, il ricorrente censura sia come violazione di legge che come errores in procedendo, l’avere la corte interpretato i contratti in esame quali contratti di prossimità, legittimamente stipulati per derogare alle norme in materia di contratto a tempo determinato (nel caso di in esame), in ragione dell’esigenze di incremento della competitività e dell’occupazione (pag. 9 sentenza impugnata), omettendo di considerare che oltre all’incremento di competitività occorreva garantire un incremento di salario (profilo comune al secondo e al sesto motivo).
Appare opportuno, preliminarmente, ricordare che l’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito dalla L. n. 148/2011, consente la stipulazione di contratti collettivi aziendali o territoriali con efficacia erga omnes, a condizione che siano sottoscritti da rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative e sulla base di un criterio maggioritario.
Tali accordi, finalizzati a perseguire obiettivi collettivi come maggiore occupazione, miglior qualità del lavoro, competitività aziendale e gestione delle crisi, possono derogare a norme di legge e ai contratti collettivi nazionali, ad eccezione della disciplina sui licenziamenti discriminatori.
La Corte Costituzionale ha qualificato questa disciplina come eccezionale (sent. n. 221/2012 e n. 52/2023), stabilendo che l’efficacia generale degli accordi di prossimità è ammessa solo se ricorrono tutte le condizioni previste dalla norma.
Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 33131/2021, Cass. n. 16917/2021), la differenza tra un contratto collettivo aziendale ordinario e un accordo di prossimità ex art. 8 sta nella loro efficacia: il primo vincola solo i firmatari, mentre il secondo può essere vincolante per tutti i lavoratori.
Tuttavia, il dissenso espresso da singoli lavoratori o sindacati può limitare tale efficacia.
La Corte d’Appello, applicando correttamente la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 27806/2023; Cass. n. 33131/2021), dopo aver richiamato la normativa e chiarito la funzione dei contratti volti a incrementare l’occupazione e la competitività aziendale, ha accertato che gli accordi aziendali stipulati dalla F. S.p.A. rientrano pienamente nella categoria dei contratti di prossimità disciplinati dall’art. 8 del D.L. 138/2011.
Certamente non può configurarsi, come dedotto dal primo motivo, il vizio di motivazione apparente.
Ed invero, come da tempo ha chiarito questa corte, anche a sezioni unite Sezioni unite, di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile”, può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza esulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016).
Nel caso di specie, invece, la Corte, specificamente richiamando le premesse del verbale ha rilevato, procedendo ad una coerente interpretazione degli atti, non sindacabile in questa sede, che “l’accordo è espressamente preordinato ad esigenze di incremento della competitività e dell’occupazione (cfr. premesse del verbale), finalità che rientrano senz’altro nella casistica prevista dalla norma (art. 8, comma 1) e che concretizzano “un interesse collettivo della comunità dei lavoratori in azienda”, per come enucleato dalla richiamata giurisprudenza costituzionale”, dando poi atto che “nello stesso accordo, sempre coerentemente con il perimetro delineato dalla norma, sono state previste deroghe alla normativa generale, con riferimento all’istituto del contratto a durata determinata.”
Dunque, con riguardo alle finalità dell’accordo che, secondo la giurisprudenza devono essere esplicitamente indicate e correlate alle deroghe adottate (Cass. n. 27806/2023), la Corte territoriale ha ritenuto che la società “abbia sufficientemente provato, per tabulas, che l’accordo in questione abbia rispettato i criteri normativamente previsti per la legittimità dei contratti di prossimità ed esplicitati dalla richiamata giurisprudenza anche sotto il profilo delle finalità perseguite.”
A fronte di tali affermazioni le doglianze avanzate con il primo e con il secondo motivo, pur deducendo violazioni di legge ed errores in procedendo, si traducono in una interpretazione alternativa degli atti negoziali, non configurando un vizio di legittimità ed evocando piuttosto la figura del vizio di motivazione, oggi inammissibile, se non entro i ristretti limiti di sindacato dell’attuale versione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., peraltro non configurabile in casi, come quello in esame, di cd. doppia conforme.
5.2. Infondate pure le censure, comuni al secondo e al sesto motivo, relative all’incremento di salario negato, con le quali il ricorrente si duole che la corte abbia reso una motivazione per relationem illegittima, condividendo gli erronei del primo giudice (che non avrebbe a sua volta correttamente interpretato la doglianza), poiché non avrebbe chiarito le ragioni della conferma e non si sarebbe pronunciata sullo specifico motivo di gravame.
Questa Corte ha chiarito, in caso di censure relative alla mancata pronuncia su motivi di gravame (Cass. n. 17049 del 2015; Cass. n. 26155 del 2014), e in generale di errores in procedendo, come sia indispensabile che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. SS.UU. n. 8077 del 2012).
Dunque, la parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 9888 del 2016; Cass. n. 19410 del 2015; Cass. n. 17049 del 2015; Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 6225 del 2005), senza limitarsi a meri stralci o generici rinvii (Cass. n. 17252 del 2016).
Nel caso di specie, prima di tutto, deve essere evidenziato come la Corte di appello, pur richiamando la motivazione del giudice di primo grado, riporta sinteticamente ma esaustivamente la doglianza alla quale risponde (il quarto motivo di ricorso in appello), illustrandola quale dedotta violazione dell’art. 36 Cost. in combinato disposto con l’art. 8 del D.L. n. 138/2011, perché tramite gli accordi sindacali del 2018 le parti avevano convenuto l’esclusione di maggiorazioni economiche (cfr. pag. 5/6 della sentenza).
Successivamente la sentenza impugnata (pag. 10), spiegando le ragioni del rigetto del motivo, dichiara di condividere la motivazione del giudice di prime cure che aveva ritenuto la censura infondata, poiché l’art. 36 cost. è impropriamente invocato in relazione ad istituti retributivi supplementari, essendo presidiato dalla norma costituzionale il cd. minimo retributivo.
Dalla mera lettura di quanto sopra si evince allora che il giudice ha comunque affrontato il punto oggetto di doglianza, con una motivazione che, a ben vedere, non può nemmeno definirsi per relationem, bensì meramente conforme, pur nella sua sinteticità, alla sentenza precedente, poiché la Corte ricalca il percorso logico affrontato dal giudice di primo grado, condividendolo.
Non si ravvisano, pertanto, i vizi denunciati, né sotto il profilo della violazione di legge né quali errores in procedendo, tenuto conto della conformità delle decisioni di primo e secondo grado.
5.3. Del pari infondato è il terzo motivo, con cui si censura la sentenza per avere violato l’art. 2697 c.c. e l’art. 8 cit., addossando al lavoratore l’onere di provare la sussistenza di oscillazioni della domanda giustificative del ricorso al lavoro flessibile.
Secondo il ricorrente, tale onere incombeva al datore di lavoro, mentre il lavoratore doveva limitarsi a segnalare i vizi formali dell’accordo di prossimità e la mancanza di nesso causale tra finalità e deroghe normative, senza dover dimostrare fatti mai indicati nell’accordo e sollevati solo in sede processuale.
Non si rinviene la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. poiché la Corte ha correttamente (come sopra evidenziato richiamando la motivazione) ritenuto provate per tabulas le finalità dell’accordo, tramite la sua interpretazione (non inficiando il nucleo essenziale della motivazione il pleonastico riferimento alla mancata contestazione da parte del lavoratore).
Del resto, questa Corte, ha chiarito che la violazione della norma dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non laddove oggetto di censura – come nella specie – sia la valutazione che il giudice del merito abbia svolto delle prove (nel caso di specie documentali) proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), opponendo una diversa valutazione.
5.4. Il quarto motivo con il quale si denuncia la motivazione della corte riguardo alla stretta correlazione tra l’attività di produzione e l’attività di movimentazione delle merce prodotta, evidenziando l’utilizzo improprio che, attraverso tale motivazione, la corte avrebbe fatto del fatto notorio, è inammissibile.
In primo luogo la censura è formulata anche con riferimento al n. 5 dell’art. 360 comma 1, c.p.c., pertanto ai sensi dell’ art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014); atteso che il ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello per dimostrare che esse sarebbero tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019).
Inoltre, dalla piana lettura della sentenza, si comprende che la considerazione fu sviluppata dalla Corte quale mera enunciazione logica, per rispondere alle censure volte a dimostrare che l’accordo sarebbe stato limitato solo ai reparti di produzione e non a quelli di movimentazione, osservando che le oscillazioni della produzione non possono che ripercuotersi nei flussi della motivazione.
Tale enunciazione, peraltro, non costituisce neppure il nucleo essenziale della motivazione sul punto, poiché, nel capoverso successivo, la Corte spiega che l’applicabilità all’intera sede aziendale di Campochiaro, era testualmente affermata nell’accordo del 2018 (cfr. pag. 9/10 della sentenza impugnata che riporta il testo dell’accordo ove si legge “E’ intenzione delle parti da un lato esercitare le deleghe previste dalle disposizioni richiamate e, dall’altro, modulare diversamente e/o rimuovere, con efficacia per tutti i lavoratori impiegati nella sede aziendale della F. SpA, le limitazioni normative innanzi individuate…” e analogamente l’art. 6, rubricato “Validità ed efficacia erga omnes dell’accordo derogatorio” prevede che lo stesso è “applicabile erga omnes in favore di tutti i Lavoratori impiegati presso lo stabilimento di Campochiaro (CB), assunti nelle forme contrattuali qui disciplinate…”.
Da tale chiara interpretazione, la Corte desume la regola del caso concreto, pervenendo ad affermare la legittimità non solo dell’accordo, ma anche del contratto individuale sottoscritto dal F. il 21 gennaio 2019.
5.5. Sulla base dei medesimi argomenti sviluppati sub 5.4., relativamente alla interpretazione del contratto fornita dalla corte, appare infondato anche il quinto motivo, con il quale sostanzialmente il ricorrente si duole dell’interpretazione suddetta, contrapponendovi la propria, ed affermando che il contratto doveva essere applicato solo alla produzione, poiché il vecchio magazzino cui era addetto il ricorrente non era interessato dall’introduzione dell’automazione e innovazione che giustificavano l’accordo e le deroghe.
Ed infatti il ricorrente, con le richiamate censure, pur enunciando violazioni di legge o errores in procedendo, ancora una volta invoca una interpretazione diversa degli atti processuali, rispetto a quella logicamente fornita dalla corte, interpretando l’intenzione delle parti scaturente dal testo dell’accordo: in altre parole sollecita una alternativa interpretazione del testo negoziale, il che in questa sede non è consentito.
5.6. Infondato infine è anche il settimo motivo, in cui l’error in procedendo consisterebbe nell’avere la società depositato, in un primo tempo, un unico hard disk contenente il DVR e successivamente nell’aver depositato la copia del documento informatico negli altri due giudizi, non su hard disk ma in due cd rom, rispetto ai quali il ricorrente, pur senza evidenziare difformità, si duole dell’omessa conformità e della violazione del diritto di difesa.
A tacere del fatto che è evidente che la non conformità certamente non può derivare dal diverso supporto (hard disk o cd rom), non si evince quale violazione si sarebbe verificata atteso che la corte ha affermato esplicitamente che “così come disposto dal Giudice alla udienza del 13.01.2020, la difesa della F. ha depositato, in data 20.1.2020, per ciascuna delle cause pendenti, ivi compresa quella promossa dall’odierno appellante, supporto magnetico (DVD) avente lo stesso contenuto dell’hard disk depositato in udienza.
Nella allegata nota di deposito l’allora resistente attestava, infatti, la conformità dei DVD all’hard disk depositato in udienza.
La difesa dell’appellante ha avuto in concreto la possibilità di visionare ed esaminare i richiamati aggiornamenti al DVR, risultando del tutto generiche le contestazioni mosse dall’appellante.”
In ogni caso, poi, nel merito del contenuto dei documenti, la corte dava conto “dell’ulteriore circostanza, non contestata dall’appellante, dello svolgimento di corsi di formazione specifici per i carrellisti, cui ha partecipato il ricorrente”.
Né, in concreto, il ricorrente evidenzia quale concreto pregiudizio alla difesa avrebbe subito, per effetto delle produzioni dei documenti informatici contestati.
Infine, infondata è la censura con la quale ci si duole del fatto che il documento di aggiornamento del DVR sarebbe successivo all’assunzione del ricorrente.
Ed infatti dalla mera lettura del ricorso (pag, 3) si evince che oggetto del presente procedimento, in virtù della originaria domanda ex art. 414 c.p.c., è il contratto stipulato il 29 gennaio 2019.
Pertanto appare corretta la motivazione della corte che osserva, sul punto: “Risulta, tuttavia, documentato un aggiornamento del DVR del 2018 (all. 3 d, aggiornamento al 21.12.2018), già in vigore, quindi, alla data di stipula del contratto individuale.”.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e le spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge […]”.
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