(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 10 febbraio 2025, n. 3353
Nota di Giovanni Patrizi.
1. I contratti di prossimità sono accordi collettivi, stipulati a livello territoriale o aziendale, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative ai sensi dell’art. 8 DL 138/2011, conv. in L. 148/2011 allo scopo di realizzare specifiche intese per il raggiungimento di precise finalità previste dalla suddetta norma di legge. I contratti di prossimità, nel regolare la disciplina del rapporto di lavoro, possono derogare con alcuni limiti alle disposizioni di legge e delle relative regolamentazioni dei CCNL. Tale possibilità è consentita esclusivamente per specifiche finalità e per specifiche materie individuate dalla legge. La legittimazione dei contratti collettivi a raggiungere le menzionate intese, con poteri derogatori delle norme di legge e del contratto collettivo, si basa sull’esigenza di consentire alle parti collettive di regolare alcuni aspetti del rapporto di lavoro nella sede più prossima, per l’appunto, ai soggetti destinatari dell’accordo. Da qui la scelta del contratto collettivo di prossimità con accordi secondo livello, ritenuti più idonei a soddisfare gli interessi dei lavoratori e delle aziende presso le quali sono impiegati
2. La validità delle intese collettive stipulate a livello aziendale o territoriale, onde consentire la deroga alle norme di legge e di contratto collettivo con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, è sottoposta alla garanzia della sussistenza di una serie di condizioni” (ai sensi dell’art. 8, co. 1, 2, 2-bis, D.L. n. 138/2011, convertito in legge, con modif., con L. n.148/2011 – rubrica “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”-), quali:
“a) occorre che l’accordo aziendale sia sottoscritto ‘da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda’;
b) è necessario che tali ‘specifiche intese’ –ossia gli accordi aziendali – siano ‘sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali’;
c) inoltre, l’accordo –nel perseguire un interesse collettivo della comunità dei lavoratori in azienda– deve risultare alternativamente finalizzato –secondo la tipizzazione del medesimo art. 8, co. 1– ‘alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività’;
d) infine, occorre che l’accordo riguardi ‘la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione» con riferimento a specifici settori elencati dall’art. 8, co. 2. Con l’espressa esclusione della materia dei licenziamenti discriminatori, l’accordo può riguardare: gli impianti audiovisivi e la introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore, la classificazione e l’inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell’orario di lavoro e le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro”.
3. L’art. 8 della L. n. 148/2011 individua inoltre, come condizione di validità delle specifiche intese, il rispetto della Costituzione e degli obblighi derivanti dalle normative dell’UE, dunque del principio di prevenzione degli abusi contemplato dalla direttiva 1999/70 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (clausole 1, 3 e 5). La direttiva in parola individua le misure indirizzate a contrastare gli abusi realizzati attraverso la reiterazione di contratti a termine; misure consistenti nella previsione di “ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo” dei contratti, della durata massima totale dei contratti stessi e del numero dei rinnovi (clausola 5). Pertanto, la contrattazione derogatoria di prossimità che provveda a modificare la disciplina delle proroghe e dei rinnovi violerebbe i principi sanciti dalla normativa comunitaria se non rispettasse almeno una delle condizioni predette. Ovviamente, il rispetto dei principi posti dal diritto dell’UE e contenuti nella direttiva 1999/70 vale anche per le clausole delegate dalla legge in virtù del D.lgs. n. 81/2015, che possono, ad esempio, modificare la disciplina legislativa in tema di durata dei rapporti di lavoro per effetto di una successione di contratti a termine (ai sensi dell’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015). È compito del giudice valutare la compatibilità con il diritto dell’UE delle deroghe apportate dalla contrattazione aziendale, dunque il rispetto o meno delle menzionate misure preventive. Indubbiamente, il controllo giudiziale assume decisiva importanza con riguardo a tutti i requisiti di validità della contrattazione di prossimità, richiamati nell’art. 8 .
Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 10 febbraio 2025, n. 3353.
I contratti di prossimità, di cui all’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito dalla L. n. 148/2011, che possono derogare alle disposizioni di legge ed alla contrattazione collettiva nazionale, a differenza di un contratto collettivo aziendale, hanno efficacia erga omnes, a condizione che siano sottoscritti da rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative e sulla base di un criterio maggioritario.
Nullità contratti a tempo determinato intermittenti. Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato. Accordi di prossimità. Deroghe con finalità collettive e requisiti normativi. Rappresentatività sindacale
“[…]. La Corte di Cassazione
(omissis)
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Campobasso, con sentenza n. 100/2023, ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Campobasso del 9 gennaio 2023, che aveva rigettato il ricorso proposto da C.C.
Il ricorrente chiedeva che fosse dichiarata la nullità di due contratti a tempo determinato di natura intermittente, stipulati con la F. S.p.A., e che fosse riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, o in subordine a part-time indeterminato.
2. La Corte, a fronte delle censure riproposte dal lavoratore in appello, ha richiamato gli orientamenti di legittimità (tra cui Cass. n. 27806/2023 e Cass. n. 33131/2021), che confermano l’efficacia degli accordi di prossimità se stipulati in conformità alla normativa, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 52/2023, che ha ribadito la legittimità delle deroghe previste da tali accordi, purché rispondano a finalità collettive e rispettino i requisiti normativi.
Segnatamente ha ritenuto che gli accordi aziendali rientrassero nella categoria dei suddetti contratti di prossimità, in quanto finalizzati all’incremento dell’occupazione e della competitività aziendale, come espressamente indicato nel loro contenuto, e che, pertanto, le deroghe alla disciplina generale del lavoro intermittente fossero legittime.
Quanto alla contestazione sulla rappresentatività sindacale, i giudici di merito hanno ritenuto che gli accordi risultavano sottoscritti da organizzazioni sindacali operanti in azienda, come richiesto dalla normativa, senza che altre sigle sindacali esprimessero il proprio dissenso, e che il ricorrente, aveva formulato una contestazione generica, priva di alcuna allegazione.
In relazione alla dedotta mancata pubblicità e conoscibilità degli accordi, la Corte ha accertato che essi non solo erano stati adeguatamente pubblicizzati e resi disponibili ai lavoratori, ma erano espressamente richiamati nei contratti individuali sottoscritti dal C., risultando garantita così la piena conoscibilità da parte del lavoratore.
Infine, in merito all’asserita violazione dell’art. 36 Cost. la Corte ha ritenuto infondata la doglianza, affermando che non era contestato il rispetto dei minimi retributivi previsti dal contratto nazionale, che costituivano l’unico aspetto inderogabile, per concludere, quanto alla valutazione dei rischi, che la società resistente avesse adeguatamente aggiornato il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) inserendo la figura del carrellista a partire dal 2018, e organizzando relativi corsi di formazione e che la società avesse depositato in data 20.1.2020, per ciascuna delle (tre) cause pendenti, supporto ottico (DVD), avente lo stesso contenuto di quello depositato in udienza.
3. Avverso la sentenza di secondo grado il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi cui ha resistito con controricorso la società datrice di lavoro.
Ragioni della decisione
4. I motivi possono essere così sintetizzati.
4.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 8 del D.L. n. 138/11, 1362, 1363 e 2697 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato i requisiti sostanziali per la validità di un accordo di prossimità ai sensi dell’art. 8 del D.L. 138/2011, non considerando che nell’accordo aziendale del 2016 non vi era alcun richiamo esplicito alle disposizioni del D.L. n. 138/11 e della legge n. 148/2011, e alla volontà di derogare alla normativa sul contratto intermittente, né erano state indicate le quote di rappresentatività delle organizzazioni sindacali che avevano sottoscritto l’accordo; la Corte, inoltre, avrebbe trascurato di verificare l’esistenza di un nesso causale concreto tra la disciplina derogatoria adottata rispetto al contratto intermittente e gli obiettivi prefissati e se le deroghe contribuissero effettivamente agli obiettivi dichiarati (quali l’incremento della competitività o della stabilità occupazionale).
Avrebbe, ancora, errato la Corte nel fermarsi ad una interpretazione letterale dell’accordo, mentre avrebbe dovuto esaminare anche altri elementi quali il comportamento successivo e altre clausole relative alla materia contesa: avrebbe, inoltre addossato al lavoratore l’onere di provare la quota di rappresentatività delle OO.SS., onere che in realtà non gli competeva.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce (ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di norme imperative sui contratti di lavoro intermittente, segnatamente quanto al limite di età, e al limite quantitativo delle giornate lavorative, in cui sarebbero incorsi i giudici di merito ritenendo i contratti rispettosi dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015 e affermando l’idoneità dell’accordo aziendale del 2016 a introdurre deroghe su materie non ammesse dall’art. 8 del D.L. 138/2011 e ciò in contrasto con la giurisprudenza di questa S.C. (Cass. n. 16102/2016; Cass. n. 33131/2021).
4.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce sotto forma di error in procedendo (ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.) la violazione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) in cui sarebbe incorsa Corte d’Appello attribuendo al lavoratore l’onere di dimostrare l’illegittimità degli accordi di prossimità e dei contratti derivati, mentre sarebbe spettato alla società provarne la legittimità anche rispetto ai requisiti di rappresentatività sindacale e di finalità.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce (ex art. 360, co. 1, n. 3 e 5, c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la Corte nel ritenere evidente che “l’attività di produzione e l’attività di movimentazione della merce prodotta sono strettamente correlate e che oscillazioni dei flussi che interessano la prima non possono che ripercuotersi sulla seconda”, così introducendo, in violazione della norma suddetta, l’utilizzo del fatto notorio per cognizioni di natura tecnica, senza basarsi su prove documentali o peritali.
4.5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente deduce (ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1363 c.c. e 8 D.L. 138/2011 in cui sarebbe incorsa la Corte, là dove avrebbe erroneamente inteso dell’accordo come suscettibile di essere applicato a tutti i lavoratori, senza considerare che la variazione in aumento dell’organico non avrebbe interessato il vecchio magazzino, poiché nel 2016 e per il 2017 la logistica era gestita da cooperative esterne e il ricorrente, unitamente ad altri due lavoratori, era stato assunto con contratti atipici a far data dal 2018.
Pertanto, la maggiore occupazione e – quindi – l’uso dei contratti atipici doveva essere correttamente interpretata come riferita alla carenza di organico dei soli reparti produttivi, mentre illegittimamente la Corte aveva esteso la portata derogatoria dell’accordo all’area del vecchio magazzino.
4.6. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente deduce la nullità della sentenza per aver la Corte reso una motivazione apparente sui criteri di scelta adottati per selezionare i lavoratori assoggettati ai contratti intermittenti (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.), in quanto non avrebbe chiarito in che modo questi ultimi sarebbero stati individuati rispetto a quelli assunti con contratti a tempo indeterminato, risultando al riguardo le giustificazioni fornite dal datore di lavoro generiche e non documentate, senza alcun riferimento oggettivo ai presupposti per la selezione del personale.
4.7. Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale poiché avrebbe perpetuato il vizio di omessa pronuncia della sentenza del Tribunale di Campobasso che aveva travisato la censura proposta (e ribadita in appello), con la quale si era dedotta l’illegittimità dell’accordo del 2016, viziato per non aver affiancato alla finalità dell’aumento della competitività quella dell’aumento di salario richiesta dalla cit. norma dell’art 8 d.l. 138/2011.
La Corte, sul punto, affermando di condividere gli assunti del primo giudice “che ha ritenuto non fondata l’eccezione relativa alla violazione dell’art. 36 Costituzione atteso che l’art. 36 della Costituzione è impropriamente invocato con riferimento agli istituti retributivi supplementari (ciò che è inderogabile è – invece – il cd. salario minimo previsto dal contratto nazionale)”, avrebbe travisato le censure dei precedenti gradi di giudizio e, con ultrapetizione, discusso di istituti retributivi supplementari mai richiesti.
4.8. Con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente ripropone la doglianza formulata nel settimo motivo anche quale error in procedendo ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. e chiede a questa Corte di esaminare gli atti del giudizio di merito.
4.9. Con il nono motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per avere omesso la Corte d’Appello di considerare elementi probatori decisivi e per aver erroneamente interpretato il senso delle disposizioni contrattuali e delle finalità aziendali dichiarate.
In particolare la sentenza impugnata, limitandosi al senso letterale delle parole nell’interpretazione del contratto aziendale del 2016, che affermava di essere destinato “a tutti i lavoratori della sede di Campochiaro”, avrebbe ignorato le prove testimoniali e le ammissioni della stessa società, che invece dimostravano che il medesimo contratto non poteva applicarsi agli addetti alla logistica, come il ricorrente, del vecchio magazzino, dove le attività si erano ridotte.
La Corte d’Appello, omettendo di valutare tali circostanze e limitandosi a un richiamo generico agli accordi di prossimità, avrebbe reso una motivazione apparente, tale da svuotare la decisione di ogni sostanza argomentativa.
4.10. Con il decimo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale avrebbe valutato erroneamente le prove e motivato in modo apparente la propria decisione in merito alla regolarità del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR).
In particolare, il ricorrente contesta come irregolare l’acquisizione del DVR in giudizio , in quanto il datore di lavoro avrebbe prodotto un unico hard disk contenente i DVR aggiornati dal 2014, ma tale supporto sarebbe stato depositato in un’unica copia per i tre giudizi pendenti, mentre successivamente, invece che ulteriori hard disk (come aveva disposto il magistrato) sarebbero stati depositati 2 cd rom, dvd, contenenti una copia dei documenti informatici contenuti nell’hard disk, senza che fosse disposta la riunione delle cause e senza che il ricorrente avesse potuto difendersi sul contenuto dell’hard disk già prodotto, tanto che aveva contestato la conformità dei documenti contenuti nei supporti prodotti successivamente al primo.
Si duole quindi della violazione del diritto di difesa, perché la documentazione prodotta era riferita a più procedimenti distinti con conseguente incertezza sulla documentazione utilizzata dal giudice ai fini della decisione, evidenziando pure l’erroneità della sentenza che aveva dato atto del deposito dell’aggiornamento del DVR al 2018 (giacché il DVR del 2017 non menzionava la figura del carrellista in quanto figura esternalizzata), per rispondere ad una censura formulata in appello (con cui si evidenziava che l’aggiornamento era successivo di alcuni mesi all’assunzione del ricorrente), sulla base di una documentazione non ritualmente prodotta.
5. Il ricorso è infondato.
6. I primi tre motivi, che per ragioni di connessione logica possono essere esaminati congiuntamente, sono da disattendersi. Con essi ci si duole che la Corte non abbia colto i vizi degli accordi in esame, che per un verso non rispecchierebbero i requisiti previsti dall’art. 8 del D.L. 138/2011, neppure richiamati espressamente, sia per la mancanza di un nesso causale concreto tra le deroghe e le finalità perseguite, sia per il mancato rispetto delle condizioni di rappresentatività sindacale e di pubblicità dell’accordo; per altro verso si sostiene che la Corte avrebbe erroneamente avallato tali accordi, interpretandone la possibilità di deroga oltre i limiti previsti, non potendosi ammettere deroga al limite relativo all’età del lavoratore; infine il ricorrente deduce (nel primo e nel terzo motivo) una violazione dell’art. 2697 c.c. per errata distribuzione degli oneri probatori, in quanto la Corte avrebbe addossato al lavoratore l’onere di dimostrare la non rappresentatività dei sindacati firmatari.
Appare opportuno, preliminarmente, ricordare che l’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito dalla L. n. 148/2011, consente la stipulazione di contratti collettivi aziendali o territoriali con efficacia erga omnes, a condizione che siano sottoscritti da rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative e sulla base di un criterio maggioritario.
Tali accordi, finalizzati a perseguire obiettivi collettivi come maggiore occupazione, miglior qualità del lavoro, competitività aziendale e gestione delle crisi, possono derogare a norme di legge e ai contratti collettivi nazionali, ad eccezione della disciplina sui licenziamenti discriminatori.
La Corte Costituzionale ha qualificato questa disciplina come eccezionale (sent. n. 221/2012 e n. 52/2023), stabilendo che l’efficacia generale degli accordi di prossimità è ammessa solo se ricorrono tutte le condizioni previste dalla norma.
Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 33131/2021, Cass. n. 16917/2021), la differenza tra un contratto collettivo aziendale ordinario e un accordo di prossimità ex art. 8 sta nella loro efficacia: il primo vincola solo i firmatari, mentre il secondo può essere vincolante per tutti i lavoratori. Tuttavia, il dissenso espresso da singoli lavoratori o sindacati può limitare tale efficacia.
6.1. La Corte d’Appello, applicando correttamente la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 27806/2023; Cass. n. 33131/2021), dopo aver richiamato la normativa e chiarito la funzione dei contratti volti a incrementare l’occupazione e la competitività aziendale, ha accertato che gli accordi aziendali stipulati dalla F. S.p.A. rientrano pienamente nella categoria dei contratti di prossimità disciplinati dall’art. 8 del D.L. 138/2011, richiamando le premesse del Verbale di accordo in cui le parti manifestarono chiaramente la volontà di dare attuazione alla contrattazione di secondo livello “in grado di consentire modifiche alle disposizioni di legge e alle norme contrattuali collettive di primo e di secondo livello”.
6.2. A fronte di tale esplicito richiamo, appare priva di pregio la censura che vuole valorizzare l’omesso testuale riferimento alla norma di legge, e corretta risulta l’interpretazione fornita, anche in considerazione della giurisprudenza di questa Corte che, da tempo, ha chiarito come l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), quando, come nel caso di specie, adeguatamente motivato.
6.3. Quanto alla contestazione sulla rappresentatività sindacale, i giudici di merito hanno ritenuto che gli accordi erano stati sottoscritti da organizzazioni sindacali operanti in azienda, come richiesto dalla normativa, e che il ricorrente si era limitato ad una contestazione generica, priva di alcuna allegazione, senza per tal via procedere ad una inversione dell’onere della prova.
18. Pertanto, la censura con cui si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., fatta valere sia come violazione di legge sia come error in procedendo, è infondata poiché la Corte ha correttamente ritenuto provate per tabulas le finalità dell’accordo, tramite la sua interpretazione (non inficiando il nucleo essenziale della motivazione il pleonastico riferimento alla omessa allegazione, correlato alla genericità della contestazione).
Del resto, questa Corte, ha chiarito che la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non quando oggetto di censura – come nella specie – sia la valutazione che il giudice del merito abbia svolto delle prove (nel caso di specie documentali) proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018).
6.4. Del pari, in relazione alla dedotta mancata pubblicità e conoscibilità degli accordi, la Corte ha accertato che essi non solo erano stati adeguatamente pubblicizzati e resi disponibili ai lavoratori, ma erano stati espressamente richiamati nei contratti individuali sottoscritti dal C., risultandone così garantita la piena conoscibilità da parte del lavoratore.
Inoltre, con riguardo alle finalità collettive dell’accordo che, secondo la giurisprudenza devono essere esplicitamente indicate e correlate alle deroghe adottate (Cass. n. 27806/2023), la Corte territoriale ha ritenuto che la società “abbia sufficientemente provato, per tabulas, che l’accordo in questione abbia rispettato i criteri normativamente previsti per la legittimità dei contratti di prossimità ed esplicitati dalla richiamata giurisprudenza anche sotto il profilo delle finalità perseguite.”
Specificamente la Corte ha rilevato, procedendo ad una coerente interpretazione degli atti non sindacabile in sede di legittimità, che “l’accordo è espressamente preordinato ad esigenze di incremento della competitività e dell’occupazione (cfr. premesse del verbale), finalità che rientrano senz’altro nella casistica prevista dalla norma (art. 8, comma 1) e che concretizzano “un interesse collettivo della comunità dei lavoratori in azienda”, per come enucleato dalla richiamata giurisprudenza costituzionale”.
A fronte di tali affermazioni le doglianze avanzate con il primo motivo si traducono in una mera interpretazione alternativa degli atti negoziali.
6.5. Analogamente deve concludersi per il secondo motivo ove le doglianze del ricorrente vorrebbero escluso dalle deroghe il limite di età previsto per il contratto intermittente, non confrontandosi con il testo dell’art. 8, correttamente richiamato dalla Corte di Appello, che prevede “deroghe alla normativa generale, con riferimento all’istituto del contratto intermittente anch’esso previsto dal legislatore, che infatti vi ricomprende i contratti a termine, quelli ad orario ridotto, modulato o flessibile” senza limitare le deroghe ad alcune parti della normativa dei contratti richiamati.
7. Venendo all’esame del quarto, quinto e nono motivo, se ne deve osservare l’infondatezza e in parte l’inammissibilità.
In particolare, il quarto motivo, con il quale si denuncia la erroneità della motivazione della Corte riguardo alla stretta correlazione tra l’attività di produzione e l’attività di movimentazione della merce prodotta, evidenziando l’utilizzo improprio che, attraverso tale motivazione, la Corte avrebbe fatto del fatto notorio, è inammissibile.
Invero, dalla mera lettura della sentenza, si comprende che la considerazione fu sviluppata dalla Corte quale mera enunciazione logica per rispondere alle censure volte a dimostrare che l’accordo sarebbe stato limitato solo ai reparti di produzione e non a quelli di movimentazione, osservando che le oscillazioni della produzione non possono che ripercuotersi sui flussi della movimentazione.
Tale enunciazione, peraltro, non costituisce neppure il nucleo essenziale della motivazione sul punto, poiché, nel capoverso successivo, la Corte spiega che l’applicabilità all’intera sede aziendale di Campochiaro, era testualmente affermata nell’accordo 11 novembre 2016 (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata che riporta il testo dell’accordo ove si legge “E’ intenzione delle parti derogare, con efficacia per tutti i lavoratori impiegati nella sede aziendale della F. di Campochiaro (CB) le limitazioni normative individuate…” e analogamente l’art. 3, rubricato “Validità ed efficacia erga omnes dell’accordo derogatorio” prevede che lo stesso è “applicabile erga omnes in favore di tutti i lavoratori impiegati presso la sede aziendale F. S.p.A. di Campochiaro (CB)…”.”
Da tale chiara interpretazione la Corte desume la regola del caso concreto, pervenendo ad affermare la legittimità non solo dell’accordo, ma anche dei contratti individuali sottoscritti dal C. che all’art. 1 lo richiamano e ai quali, in forza di tale rinvio, è applicabile.
7.1. A fronte di tale motivazione appaiono infondati sia il quinto che il nono motivo, con i quali il ricorrente si duole dell’interpretazione della Corte contrapponendovi la propria affermando sostanzialmente (nel quinto) che il contratto doveva essere applicato solo alla produzione, poiché il magazzino era gestito negli anni precedenti da cooperative esterne prima dell’assunzione del ricorrente e dolendosi (nel nono motivo) che la Corte avrebbe ignorato le prove orali e le ammissioni della stessa società, che dimostravano che l’attività si erano ridotte nel settore della logistica.
A ben vedere il ricorrente con le richiamate censure, ad onta delle enunciate violazioni di legge o di errores in procedendo, in realtà invoca solo una interpretazione diversa degli atti processuali, rispetto a quella logicamente fornita dalla Corte territoriale: si tratta, dunque di censura non consentita in sede di legittimità.
8. Da disattendersi sono anche il sesto, settimo, ottavo e decimo motivo: anche essi si traducono in mere critiche agli accertamenti di merito, che si risolvono nel sollecitare una diversa lettura del materiale istruttorio.
8.1. Né può accogliersi la critica circa l’assenza di criteri di scelta per le assunzioni intermittenti, criteri di cui non si individuano fonti negoziali o legislative.
8.2. Neppure si possono riscontrare le denunciate violazioni del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e le omissioni di pronuncia in cui sarebbe incorsa la Corte secondo il settimo e ottavo motivo (quali violazioni di legge ed errores in procedendo).
E infatti la Corte pur succintamente, fornisce una motivazione riguardo il rispetto delle norme che tutelano la retribuzione, richiamando l’art. 36 cost. ed i minimi retributivi.
Questa Corte ha chiarito, in punto di violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 8008 del 2014), di mancata pronuncia su motivi di gravame (Cass. n. 17049 del 2015; Cass. n. 26155 del 2014), e in generale di errores in procedendo, come sia indispensabile che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (e oggi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. SS.UU. n. 8077 del 2012).
Dunque la parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 9888 del 2016; Cass. n. 19410 del 2015; Cass. n. 17049 del 2015; Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 6225 del 2005), senza limitarsi a meri stralci o generici rinvii (Cass. n. 17252 del 2016).
Nel caso di specie, in un contesto in cui il giudice ha comunque affrontato il punto oggetto di doglianza il ricorrente non evidenzia adeguatamente quale sarebbe la pronuncia omessa, mentre la società controricorrente sottolinea che la censura in esame fu sollevata tardivamente solo nelle note del 10 giugno 2022.
8.3. Per analoghe ragioni non appare fondato neppure il decimo motivo, in cui l’error in procedendo consisterebbe nell’avere, in un primo tempo, la società depositato un unico hard disk contenente il DVR e successivamente nell’aver depositato il documento informatico negli altri due giudizi, non su hard disk ma in due cd rom – DVD, rispetto ai quali il ricorrente, pur senza evidenziare difformità, si duole dell’omessa conformità e della violazione del diritto di difesa.
A tacere del fatto che è evidente che la non conformità certamente non può derivare dal diverso supporto (hard disk o cd rom), non si evince quale violazione si sarebbe verificata, atteso che la Corte ha affermato esplicitamente che “così come disposto dal Giudice alla udienza del 13.01.2020, la difesa della F. ha depositato, in data 20.1.2020, per ciascuna delle cause pendenti, ivi compresa quella promossa dall’odierno appellante, supporto magnetico (DVD) avente lo stesso contenuto dell’hard disk depositato in udienza.
Nella allegata nota di deposito l’allora resistente attestava, infatti, la conformità dei DVD all’hard disk depositato in udienza.
La difesa dell’appellante ha avuto in concreto la possibilità di visionare ed esaminare i richiamati aggiornamenti al DVR, risultando del tutto generiche le contestazioni mosse dall’appellante”.
In ogni caso, poi, nel merito del contenuto dei documenti, la Corte ha dato conto “dell’ulteriore circostanza, non contestata dall’appellante, dello svolgimento di corsi di formazione specifici per i carrellisti, cui ha partecipato il ricorrente”.
A fronte della motivazione così fornita, non si rinviene, per le ragioni sopra riportate, la violazione denunciata: ne consegue il rigetto anche di tale motivo.
9. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; le spese vengono regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità […]”..
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