Scheda di lettura critica curata dal Centro Studi Livatino

4 Settembre 2020

In vista del referendum del 20 e 21 settembre proponiamo ai lettori la sintesi di una scheda di lettura critica curata dal Centro Studi Livatino[1].

 

[…] “5. La riforma risente non poco delle suggestioni relative ai “costi della politica” e del luogo comune sul numero elevato di parlamentari che per un verso “produrrebbero” poco e male, per altro verso assorbirebbero risorse pubbliche superiori alla “resa” effettiva.

Nel sito del Dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio, la scheda di presentazione della [riforma costituzionale] somiglia molto a una dichiarazione di voto, poiché sottolinea come duplice obiettivo della riforma “da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e dall’altro ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura)”; in tal senso “la riforma consentirà all’Italia di allinearsi al resto d’Europa”.

Sia consentita qualche sintetica osservazione:

  • Se l’“allineamento” all’Europa significa minore quantità di parlamentari, si dovrebbe tenere conto non dei numeri assoluti, bensì del rapporto fra “onorevoli” e popolazione, che -come si è detto- vede l’Italia più che “allineata”.
  • Andrebbe fornita una informazione puntuale sui risparmi effettivi conseguenti alla riforma: 500 milioni di euro in una legislatura equivalgono a 100 milioni di euro all’anno, non una gran cifra se si considerano le controindicazioni che seguono, e se si confronta tale importo anche solo con le decine di miliardi di euro di incremento dell’indebitamento dello Stato, deciso di recente per via dell’emergenza Covid-19.

Le istituzioni hanno parametri di valutazione e dinamiche differenti da quelli aziendali. Per un’impresa economica il bilancio fra costi e ricavi è la regola, ma il buon governo delle istituzioni segue altre logiche.

Qual è il parametro della “resa” o della giustificazione dei costi? La quantità di tempo che il parlamentare trascorre a Montecitorio o a Palazzo Madama? Il numero di leggi che concorre ad approvare ogni anno? Sono con evidenza domande retoriche. Volendo condurre il ragionamento sull’improprio terreno della “resa” economica, una singola legge può provocare danni economici ingenti, a prescindere dal numero di parlamentari che l’hanno esaminata e votata.

Interessa piuttosto che l’istituzione cardine dell’ordinamento italiano sia posta nella condizione di ben funzionare, e a tal fine l’attenzione non può rivolgersi in via esclusiva alla quantità di deputati e di senatori.

  • La crisi dell’istituzione parlamentare -non soltanto in Italia- più che dalla estensione della sua composizione dipende dalla progressiva sottrazione di competenze rispetto a quelle tradizionalmente riconosciute agli organismi rappresentativi nazionali. Ciò è avvenuto per volontaria cessione di sovranità verso l’alto, a fronte dei Trattati che hanno disciplinato l’Unione Europea e le sue articolazioni, o verso il basso, col conferimento di importanti materie in via prevalente alle Regioni, ovvero per aver subìto in modo sempre più significativo l’invadenza della giurisdizione. Su nessuna di tali voci oggi la politica pare interrogarsi: non per manifestare riserve aprioristiche verso la UE, nella cui costituzione è implicita una parziale cessione di sovranità, bensì per verificare se l’attuale configurazione della UE medesima corrisponde alle esigenze dei popoli che vivono al suo interno; non per negare la valorizzazione delle Regioni in una prospettiva di autentica sussidiarietà, bensì per domandarsi se è corretto che lo Stato demandi a livello locale compiti che dovrebbe assumere e svolgere pur quando è in gioco l’interesse nazionale, salvo poi -come è successo per l’emergenza Covid-19- a rimpallarsi le rispettive responsabilità. Né è ovviamente in discussione l’importanza dell’attività giudiziaria: bensì che negli ultimi decenni sia stata teorizzata e praticata l’“invenzione del diritto”, invece della sua puntuale applicazione, da parte del giudice. Con la conseguenza che il Parlamento, soprattutto -ma non soltanto- sulle questioni eticamente sensibili della vita e della famiglia, o trasforma in legge una sentenza a distanza di qualche anno, come è accaduto con la legge n. 219/2017 sulle c.d. disposizioni anticipate di trattamento rispetto alla pronuncia della Corte di Cassazione del 2007 sul caso di Eluana Englaro, o rinvia alla definizione giurisprudenziale l’assetto di istituti delicatissimi, come fa la legge sulle unioni civili rispetto alla c.d. stepchild adoption, o addirittura rinuncia a legiferare, una volta interpellato dalla Corte costituzionale nel 2018 a proposito del suicidio assistito.

  • La crisi dell’istituzione parlamentare -e questo è un fenomeno precipuamente italiano- dipende anche dalla prassi seguita dai Governi degli ultimi anni di varare decreti legge lunghi e complessi, con centinaia di articoli, ciascuno composto da più commi: il loro esame è impossibile fra Camera e Senato (Commissioni e Aula), sì che, al fine di rispettare il termine di 60 giorni per la conversione in legge, la trattazione effettiva avviene nella Commissione di merito del primo dei rami del Parlamento di destinazione del DL, per passare in Aula all’approvazione con voto di fiducia (quindi senza reale confronto), con un trasferimento meramente formale all’altro ramo, dove il testo viene “blindato” per non rischiare la decadenza. Con questa dinamica, tanto perversa quanto consolidata, il numero dei parlamentari non c’entra: anzi, una quantità inferiore provocherà un esame di questa tipologia di provvedimenti ancor meno approfondita. La p.d.l. cost. oggetto del referendum si muove in coerenza con questa deriva dirigistica: un Parlamento con un terzo in meno degli attuali componenti sarà interpellato ancor di meno rispetto a oggi per non rallentare i tempi delle decisioni del Governo; in linea -da ultimo- con la prassi seguita durante la pandemia, che ha visto la moltiplicazione di organismi nominati dall’Esecutivo dotati di un potere di fatto decisionale (si pensi alle “indicazioni” del CTS-comitato tecnico scientifico), spesso più incisivo di quello delle Camere. 
  • Il numero di deputati e di senatori può pure tollerare una riduzione, a condizione però che sia compensata da una più puntuale ed effettiva assistenza tecnica. Già oggi è materialmente impossibile che ogni singolo parlamentare abbia contezza di tutti i provvedimenti che è chiamato a votare; talora ha difficoltà a padroneggiare anche soltanto quelli della Commissione di merito nella quale è inserito. La contrazione numerica farà sì che il lavoro medio di ciascuno cresca: Camera e Senato potranno reggere se aumenterà il numero e la qualificazione dei funzionari di ruolo -sia quelli assegnati alle Commissioni sia quelli assegnati all’Aula-, e se al tempo stesso il singolo parlamentare disporrà di risorse adeguate per l’ausilio di personale che non si limiti a un lavoro di stretta segreteria. Per essere più chiari: altre importanti istituzioni garantiscono a chi ne fa parte un contributo tecnico decisivo e irrinunciabile. Ogni giudice costituzionale conta su 2 o 3 assistenti molto qualificati; non meno di venti magistrati sono applicati al CSM a supporto dei 16 consiglieri togati e degli 8 “laici”. Pensare che per deputati e senatori sia sufficiente il contributo dell’ufficio legislativo del gruppo di apparenza, quando c’è, o del funzionario di Commissione o di Aula, significa rassegnarsi alla qualità delle norme con le quali da tempo si ha a che fare: il problema rischia di apparire insuperabile riducendo la quantità dei parlamentari, mentre l’individuazione di valido personale in ausilio probabilmente impone di impiegare denaro in misura superiore a quanto il taglio avrà fatto risparmiare.” […]

[1] Centro Studi Livatino, 7 agosto 2020. Interni. Titolo originale:  “Taglio dei parlamentari: una riforma settoriale e rischiosa” (www.centrostudilivatino.it)