(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 17 settembre 2024, n. 24928
Assegno ordinario di invalidità – Sussistenza del requisito sanitario – Anni di contribuzione maturati in Italia – Rispetto delle soglie reddituali – Integrazione al minimo – Contributi maturati in regime di convenzione internazionale – Accesso al sistema cd. misto – Anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia – Condizioni poste dall’ordinamento nazionale
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 15.1.18 n. 16, la Corte d’appello di Torino rigettava il gravame proposto da F.F., avverso la sentenza del tribunale di Torino che aveva respinto la domanda proposta da quest’ultimo nei confronti dell’Inps, volta ad accertare il diritto ad ottenere l’assegno ordinario di invalidità, ex lege n. 222/84, con l’integrazione al minimo.
2. Il tribunale respingeva la domanda per l’assenza del requisito contributivo, perché il ricorrente risultava aver versato solo 260 contributi settimanali in Italia, pari a 5 anni, quindi non era soddisfatta la condizione stabilita dall’art. 8 comma 2 della legge n. 153/69 che prevede che in caso di cumulo di periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi internazionali, l’interessato deve avere nella competente gestione pensionistica, una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia, non inferiore a dieci anni: quindi, l’assegno non poteva essergli integrato al minimo, neanche prendendo in considerazione la contribuzione svizzera anteriore al 1996, di cui era titolare.
3. La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado, precisando che l’importo dell’assegno ordinario di invalidità che il ricorrente aveva richiesto, non era integrabile al minimo, in quanto, volendo considerare la sola contribuzione italiana, tale contribuzione era tutta maturata dopo il 31.12.1995, quindi, con il sistema contributivo, in ragione del quale, ai sensi dell’art. 1 comma 16 della legge n. 335 del 1995, è normativamente preclusa l’integrazione al minimo; mentre, volendo considerare i contributi maturati in regime di convenzione internazionale, l’art. 8 comma 2 della legge n. 153/69 impone il requisito dei dieci anni di contribuzione maturati in Italia (mentre il ricorrente ne poteva vantare solo cinque) che avrebbe consentito la “totalizzazione” dei contributi maturati in parte in Svizzera (ante 1.1.1996) e in parte in Italia (post. 31.12.1995) così da poter accedere al sistema cd. misto ed evitare il divieto d’integrazione al minimo, per le pensioni calcolate esclusivamente con il sistema contributivo (ai sensi dell’art. 1 comma 16 citato).
Infine, sempre ad avviso della Corte d’appello, non era possibile liquidare in favore del F. la prestazione pro rata, in ragione dell’art. 52 comma 3 del regolamento n. 883 cit., tenendo conto cioè, da una parte, sia della contribuzione italiana che di quella svizzera che, dall’altra, della sola contribuzione italiana, in quanto dal raffronto, era risultato che gli importi liquidabili erano identici, in quanto pari, in entrambi i casi, ad € 106,00 lordi, quindi, di importo inferiore a quello dell’assegno di invalidità civile, già in godimento al F. (pari ad € 218,16).
Concludeva la Corte d’appello che se il F. avesse avuto contributi versati in Italia anteriormente al 1996, si sarebbe potuto fare applicazione delle norme sull’integrazione al minimo, che presupponevano una contribuzione italiana, calcolata con il sistema cd. misto.
4. Avverso la sentenza della Corte d’appello, F.F. ricorre per cassazione, sulla base di un motivo, mentre l’Inps resiste con controricorso.
5. Con il motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 58 reg. CEE n. 883/2004, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva applicato l’art. 8 comma 2 della legge n. 153/69, sul vincolo dei dieci anni di contribuzione in Italia per l’integrazione al minimo della pensione, in caso di cumulo dei periodi contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali di sicurezza sociale, perché in contrasto con la normativa comunitaria, in particolare con l’art. 58 reg. Cee n. 883-04 che prevale su ogni norma nazionale contrastante e secondo cui si dispone la predetta integrazione, pari alla differenza tra la somma delle prestazioni dovute ai sensi del predetto regolamento e l’importo della prestazione minima nazionale.
Disposizioni nazionali applicabili ai fatti della controversia principale e disposizioni del diritto dell’Unione.
6. La disciplina nazionale relativa all’assegno ordinario di invalidità è quella contenuta nell’art. 1 della legge n. 222 del 1984 (Revisione della disciplina della invalidità pensionabile, in GU n.165 del 16-06-1984, ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 31/12/2007), il cui comma 3, nella parte che qui interessa, prevede che qualora l’assegno risulti inferiore al trattamento minimo delle singole gestioni, è integrato, nel limite massimo del trattamento minimo, da un importo a carico del fondo sociale pari a quello della pensione sociale di cui all’articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni e integrazioni.
7. Inoltre, secondo l’art. 1 comma 16 della legge n. 335/1995, sulla “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” (GU n.190 del 16-08-1995 -Suppl. Ordinario n. 101, ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 10/04/2024), “Alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo (e cioè, quelle i cui contributi sono maturati dall’1.1.1996, come nella specie) non si applicano le disposizioni sull’integrazione al minimo”.
8. Infine, l’art. 8 comma 2 della legge n. 153 del 1969 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, in GU n. 111 del 30-04-1969 – Suppl. Ordinario, ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 25/06/2008) prevede che “I trattamenti minimi di cui al primo comma sono dovuti anche ai titolari di pensione il cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di assicurazione sociale, a condizione che l’assicurato possa far valere nella competente gestione pensionistica, una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia, non inferiore a dieci anni”.
9. Per quanto riguarda il diritto dell’Unione Europea, occorre ricordare che l’art. 48 lettera a) del TFUE prescrive, per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, che il Parlamento europeo e il Consiglio adottino le misure necessarie per il cumulo di tutti i periodi di assicurazione maturati sotto le diverse legislazioni nazionali, non solo per il sorgere e il mantenimento del diritto alle prestazioni, ma anche per il calcolo di queste ultime (al fine di evitare discriminazioni, rispetto ai cittadini che abbiano prestato attività lavorativa all’interno del solo Stato nazionale di residenza).
10. In particolare, ai sensi dell’art. 1 lettera t) del Regolamento (CE) 29.4.2004, n. 883/2004 (pubblicato nella G.U.C.E. 30 aprile 2004 n. 166 ed entrato in vigore il 20.5.2004) l’espressione <periodo di assicurazione> designa “i periodi di contribuzione, di occupazione o di attività lavorativa autonoma, quali sono definiti o riconosciuti come periodi di assicurazione dalla legislazione sotto la quale sono maturati o sono considerati maturati, nonché tutti i periodi equiparati, nella misura in cui sono riconosciuti da tale legislazione come equivalenti ai periodi di assicurazione”.
11. Il successivo articolo 6 del medesimo regolamento n. 883/2004 cit., intitolato “Totalizzazione dei periodi” è succeduto (a decorrere dal 1° maggio 2010) all’art. 45 c.1 del precedente regolamento n. 1408/71 e prevede che ai fini della determinazione dell’acquisizione del diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, uno Stato membro tenga conto dei periodi di assicurazione, di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza maturati sotto la legislazione di altri Stati membri.
In altri termini, i periodi di assicurazione maturati sotto la legislazione di diversi Stati membri devono essere cumulati (CGUE 7.12.2017, Z.D., C-189/16. EU:C:2017:946, punto 41).
12. L’art. 52 del medesimo regolamento n. 883/2004, fissa invece i criteri di liquidazione delle prestazioni, in ragione del calcolo di un importo teorico e successivamente di un importo effettivo (prestazione pro rata), per cui, l’importo teorico della prestazione è pari alla prestazione cui l’interessato avrebbe diritto se tutti i periodi di assicurazione e/o di residenza maturati sotto le legislazioni degli altri Stati membri fossero maturati sotto la legislazione che essa applica alla data di liquidazione e – secondo quest’ultima norma – se, in virtù di questa legislazione, l’importo è indipendente dalla durata dei periodi maturati, tale importo è considerato come importo teorico.
L’istituzione competente determina, quindi, l’importo effettivo della prestazione pro rata, applicando all’importo teorico il rapporto tra la durata dei periodi maturati prima che si avverasse il rischio, ai sensi della legislazione che essa applica e la durata totale dei periodi maturati prima che il rischio si avverasse, ai sensi, invece, delle legislazioni di tutti gli Stati interessati (cfr. CGUE 21.10.2021, C-866/19, cit., punti 9, 18-21 e 23 e ss.).
13. Infine, per quanto riguarda più specificamente il dubbio interpretativo oggetto della presente ordinanza, va ricordato che l’art. 58 del Regolamento n. 883/2004, prevede che, “1. Il beneficiario di prestazioni al quale si applica il presente capitolo non può, nello Stato membro di residenza e se una prestazione gli è dovuta secondo la legislazione di tale Stato, percepire una prestazione inferiore alla prestazione minima fissata da detta legislazione per un periodo di assicurazione o di residenza pari al totale dei periodi presi in considerazione per la liquidazione della sua prestazione ai sensi del presente capitolo.
2.L’istituzione competente di detto Stato membro gli versa, per tutto il periodo della sua residenza nel territorio di tale Stato, un’integrazione pari alla differenza tra la somma delle prestazioni dovute ai sensi del presente capitolo e l’importo della prestazione minima”.
Giurisprudenza comunitaria
14. Il fatto oggetto del giudizio principale rientra nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione Europea, perché si riferisce alla legislazione di sicurezza sociale applicabile in relazione alla richiesta di totalizzazione europea dei contributi, ai fini dell’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, destinato, ai sensi dell’art. 1 comma 10 della legge n. 222/84, al compimento dell’età pensionabile per la vecchiaia, a essere trasformato d’ufficio in pensione di vecchiaia, purché sussistano i relativi requisiti di assicurazione e contribuzione.
Inoltre, va dato atto che in riferimento alla causa principale, alla luce degli accertamenti di fatto compiuti nei precedenti gradi del giudizio, può considerarsi pacifica sia la sussistenza del requisito sanitario per fruire dell’assegno ordinario di invalidità che il rispetto delle soglie reddituali, richieste per fruire dell’integrazione al minimo, non avendo l’Istituto previdenziale dedotto nulla incontrario.
15. Giusta l’art.52 del regolamento 883/2004 e il relativo calcolo teorico della prestazione, il ricorrente è attratto al regime misto, con contribuzione da considerarsi versata per il periodo 1991-1994 in Svizzera e poi in Italia per cinque anni, per il periodo dal.1.4.2002 al 31.3.2012 e poi con contribuzione accreditata per il periodo di disoccupazione 2012-2013.
Allo stesso quindi non si applica il divieto di integrazione al minimo presto dall’art.1 comma 16 della legge n.335/95.
16. Tanto chiarito, ai fini dell’integrabilità al minimo, rimane da verificare il requisito contributivo dovuto e maturato in Italia.
17. A questo fine, va preso in considerazione l’art.58 del regolamento n. 883/04 e i suoi effetti sull’ordinamento interno che distingue – come anticipato- il requisito contributivo necessario all’integrazione al minimo tra i lavoratori con periodi assicurativi maturati solo in Italia e lavoratori con periodi assicurativi maturati in parte in Italia e in parte in altri paesi dell’Unione Europea (tra cui la Svizzera, in virtù dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE – a partire dal 1° aprile 2012 – unitamente al Regolamento d’attuazione n. 987/09, cfr. RO 2012 2627).
18. Questa Corte di Cassazione, pertanto, intende richiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea se una corretta interpretazione dell’art. 58 del regolamento n. 883/2003/CE (ndr art. 58 del regolamento n. 883/2004/CE) osta a che una normativa nazionale preveda – in caso di richiesta di totalizzazione della contribuzione maturata in parte in altro paese comunitario (nella specie in Svizzera, entro il 31.12.1995) e in parte nello Stato nazionale (nella specie in Italia, tutta dopo l’1.1.1996) -, come presupposto per accedere al trattamento di integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, un numero di anni di contributi (nella specie, dieci anni, ai sensi dell’art. 8 comma 2 della legge n. 153 del 1969), superiore a quelli richiesti a chi invece richieda il medesimo beneficio, avendo maturato tutta la propria contribuzione nel solo Stato nazionale di residenza, nella specie, in Italia, (in particolare, cinque anni, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 222/84), con ciò ponendosi in contrasto con il principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea.
19. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha evidenziato come l’articolo 58 del regolamento 883/2004/CE prevede che il beneficiario di prestazioni di vecchiaia non può percepire una prestazione inferiore alla prestazione minima fissata dalla legislazione dello Stato membro di residenza e l’istituzione competente di tale Stato deve, se del caso, versargli un’integrazione pari alla differenza tra la somma delle prestazioni dovute e l’importo della prestazione minima (CGUE sez. VIII, 5.12.2019 n. 398/18, §27, in tema di prestazione di pensionamento anticipato).
20. La stessa Corte di Giustizia ricorda (CGUE sez. VIII, 5.12.2019 n. 398/18, cit., §40) come il principio della parità di trattamento, enunciato dall’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, vieta non solo le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza dei beneficiari dei regimi di previdenza sociale, ma anche le discriminazioni dissimulate, di qualsiasi forma, che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervengano in concreto allo stesso risultato (v., per analogia, CGUE 22.6.2011, L., C-399/09, EU:C:2011:415, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
Infine, secondo la medesima pronuncia (§41), devono pertanto essere giudicate indirettamente discriminatorie le condizioni poste dall’ordinamento nazionale che, benché indistintamente applicabili secondo la cittadinanza, riguardino essenzialmente o in gran parte i lavoratori migranti nonché le condizioni indistintamente applicabili che possono essere soddisfatte più agevolmente dai lavoratori nazionali che dai lavoratori migranti o che rischiano di essere sfavorevoli, in modo particolare, per i lavoratori migranti (CGUE 22.6.2011, L., C-399/09, EU:C:2011:415, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
21. Occorre ricordare, inoltre, che le disposizioni del regolamento n. 883/2004 non organizzano un regime comune di previdenza sociale, ma hanno come unico obiettivo quello di assicurare un coordinamento tra i diversi regimi nazionali che continuano a sussistere.
Pertanto, secondo costante giurisprudenza, gli Stati membri conservano la loro competenza a disciplinare i loro sistemi di previdenza sociale (v., in particolare, CGUE 21.2.2013, S.G., C‑282/11, EU:C:2013:86, punto 35, e CGUE 7.12. 2017, Z.D., C‑189/16, EU:C:2017:946, punto 38).
22. Poiché il regolamento n. 883/2004 (e precedentemente quello n. 1408/71) non determina i presupposti ai quali è subordinato il perfezionarsi dei periodi di occupazione o di assicurazione, tali presupposti, come risulta tanto dall’articolo 1, lettera r), del regolamento n. 1408/71 quanto dall’articolo 1, lettera t), del regolamento n. 883/2004, sono fissati esclusivamente dalla legislazione dello Stato membro sotto la quale i periodi in questione sono stati maturati (v., in tal senso, CGUE 20.1. 2005, S.A., C‑306/03, EU:C:2005:44, punto 30).
23. Tuttavia, pur se spetta alla normativa di ciascuno Stato membro stabilire, segnatamente, i presupposti ai quali è subordinato il diritto alle prestazioni, gli Stati membri devono comunque rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà riconosciuta a qualsiasi cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri (v. in tal senso, in particolare, CGUE 21.2. 2013, S.G., C‑282/11, EU:C:2013:86, punti 36 e 37, nonché CGUE 23.1.2020, B.F.A., C‑29/19, EU:C:2020:36, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
24. Per garantire tale rispetto, l’articolo 45 del regolamento n. 1408/71, come ripreso, in sostanza, all’articolo 6 del regolamento n. 883/2004, prevede che, se la legislazione di uno Stato membro subordina l’acquisizione, il mantenimento o il recupero del diritto alle prestazioni, al compimento di periodi di assicurazione, l’istituzione competente di detto Stato membro tiene conto dei periodi di assicurazione maturati sotto la legislazione di ogni Stato membro come se si trattasse di periodi maturati sotto la legislazione che essa applica. In altri termini – come già detto in precedenza – i periodi di assicurazione maturati sotto la legislazione di diversi Stati membri devono essere cumulati (CGUE 7.12.2017, Z.D., C‑189/16, EU:C:2017:946, punto 41).
25. Così, l’articolo 45 del regolamento n. 1408/71, al pari dell’articolo 6 del regolamento n. 883/2004, attua il principio del cumulo dei periodi di assicurazione, di residenza o di occupazione quale enunciato all’articolo 48 TFUE.
Si tratta di uno dei principi fondamentali del coordinamento, a livello dell’Unione, dei regimi di previdenza sociale degli Stati membri, volto a garantire che l’esercizio del diritto alla libera circolazione non abbia l’effetto di privare il lavoratore di vantaggi previdenziali ai quali egli avrebbe avuto diritto se avesse compiuto l’intera sua carriera in un unico Stato membro.
Una conseguenza del genere potrebbe infatti dissuadere il lavoratore dell’Unione dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione e costituirebbe pertanto un ostacolo a tale libertà (v., in tal senso, CGUE 3.3.2011, T., C-440/09, EU:C:2011:114, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
Motivi del rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE
26. A fronte di tali dati di fatto, l’interpretazione dell’art. 58 reg. n. 883/2004, pone la necessità di stabilire se possa o meno riconoscersi l’integrazione al minimo, in caso di richiesta di totalizzazione di contributi, maturati in diversi Stati dell’Unione (compresi quelli ai quali si è esteso la normativa euro-unitaria, come la Svizzera), quantomeno alle stesse condizioni previste per i cittadini residenti in Italia, che abbiano maturato tutta la contribuzione prevista per fruire dell’integrazione al minimo dell’assegno e/o pensione (nella specie, 5 anni, ai sensi degli artt. 1 e 4 della legge n. 222/84).
27. In conclusione, è necessario richiedere alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla seguente questione:
“Se osta alla normativa comunitaria, in particolare al disposto dell’art. 58 del Regolamento n. 883/2004/CE, la disciplina nazionale che subordina, in caso di richiesta di totalizzazione dei contributi maturati in diversi Stati dell’Unione Europea, la correlazione del trattamento al minimo dell’assegno ordinario di invalidità al requisito contributivo di dieci anni maturati in Italia, ex art. 8 comma 2 della legge n. 153/69, rispetto a chi abbia maturato la contribuzione tutta in Italia, al quale il trattamento al minimo è riconosciuto con soli 5 anni di contribuzione (tre negli ultimi 5 anni), ex art. 1 e 4 della legge n. 222/84”.
28. Il rinvio pregiudiziale comporta la sospensione del processo.
29. ai sensi delle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” della C.G.U.E. (2019/C 380/01), par. 21, dispone l’anonimizzazione dell’ordinanza di rimessione in caso di diffusione).
P.Q.M.
Visti l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e l’art. 295 c.p.c., chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione indicata in motivazione.
Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea […]”.
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