(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 8 aprile 2024, n. 9384.
Licenziamento per giusta causa. Indennità di mancato preavviso. Assenza per malattia. Possibilità di svolgere un’altra attività lavorativa. Ritardo nella guarigione. Consulenza tecnica d’ufficio. Rigetto
“nel caso di assenza per malattia non è esclusa la possibilità per il lavoratore di svolgere un’altra attività lavorativa a condizione che ciò non determini un ritardo nella guarigione o un aggravamento”
“è onere del lavoratore al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un’assenza per malattia, dimostrare la compatibilità dell’attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche e resta poi al giudice del merito valutare in concreto la loro incidenza”
“la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che è tenuto (…) a motivare le ragioni del diniego dimostrando (…)di poter risolvere i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione in base a corretti criteri non potendosi limitare semplicemente a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare”
“[…] La Corte di cassazione
(omissis)
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Parma con la quale era stata confermata l’ordinanza, resa in sede sommaria, che aveva accertato che il licenziamento intimato per giusta causa da I. s.p.a. a S.C. era comunque sorretto da un giustificato motivo soggettivo e, per l’effetto, aveva condannato la società convenuta a corrispondergli l’indennità di mancato preavviso.
1.1. Il giudice del reclamo ha rammentato che il C. era stato licenziato in quanto, incontestatamente, durante un periodo di assenza per malattia (dal 19.7.2018 al 3.8.2018) aveva svolto presso un bar pizzeria l’attività lavorativa di preparazione pizze. Ha poi ritenuto che il pur ridotto apporto all’attività della pizzeria era comunque incompatibile con la patologia da cui il lavoratore era affetto (lombosciatalgia recidivante) posto che l’attività di pizzaiolo viene svolta in piedi e implica movimenti (di flessione estensione e torsione del rachide lombare) che rientrano tra quelli da evitare per espressa indicazione del medico competente. In tale prospettiva la Corte ha ritenuto inutile procedere ad approfondimenti istruttori ed ha concluso che il disvalore della condotta induceva a confermare l’ esistenza di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
1.2. Quanto al carattere ingiurioso del licenziamento, il giudice del reclamo lo ha escluso evidenziando che i testi sentiti non avevano fornito elementi specifici di valutazione in tal senso.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre S.C. con tre motivi. La I. resiste con tempestivo controricorso ulteriormente illustrato da memoria.
Ritenuto che
3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata, con riferimento alla ritenuta legittimità del licenziamento, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2119 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. anche con riferimento all’art. 18 L. n. 92/2012, per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente la giusta causa/giustificato motivo soggettivo di licenziamento e nello specifico per avere erroneamente valutato la proporzionalità tra infrazione e sanzione.
3.1. Ad avviso del ricorrente la sentenza sarebbe errata là dove ha ritenuto che la condotta contestata disciplinarmente al ricorrente (consistita nell’avere svolto attività di preparazione e cottura pizze nell’arco di quattro serate) denotasse una “scarsa attenzione alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di ritardata guarigione” in violazione dei doveri di buona fede e ciò anche a fronte di un limitato apporto alla gestione delle serate. Sostiene che la consapevolezza da parte della datrice di lavoro del fatto che il dipendente era titolare della pizzeria avrebbe dovuto attenuare il disvalore attribuito alla condotta con conseguente sproporzione della sanzione irrogata. Ad avviso del ricorrente la Corte del reclamo avrebbe trascurato di considerare che l’ impegno fisico richiesto, obiettivamente modesto e sporadico, doveva qualificare la condotta e portare ad escludere la giusta causa di recesso ed a ritenere illegittimo il licenziamento disciplinare irrogato.
4. Il motivo è inammissibile. La Corte di merito si è attenuta alla regola dettata dalla Cassazione che ha ripetutamente affermato che nel caso di assenza per malattia non è esclusala possibilità per il lavoratore di svolgere un’altra attività lavorativa a condizione che ciò non determini un ritardo nella guarigione o un aggravamento (cfr. Cass. 15.1.2016 n. 586; Cass. 9474/2009 ed anche Cass. 32600 del 2018) e, analizzando il caso concreto ha proprio ritenuto sussistente tale situazione atteso che il C., pur essendogli stata diagnosticata una lombalgia rispetto alla quale il medico competente aveva chiarito che dovevano essere evitati alcuni specifici movimenti oltre che lo stazionamento in posizione eretta, presso la pizzeria di cui era amministratore aveva svolto invece un’attività quella di preparazione delle pizze che comportava proprio quei movimenti potenzialmente pregiudizievoli che erano stati indicati come da evitare e richiedeva altresì di stazionare in posizione eretta.
Condivisibilmente, poi, nella sentenza qui impugnata si è posto in evidenza che la circostanza che comunque, in concreto, il lavoro era ripreso al termine del periodo di malattia non rileva per attenuare la gravità della violazione addebitata. Con valutazione di merito che è peraltro improntata a condivisibili criteri la Corte è pervenuta ad un giudizio di particolare gravità della condotta con un giudizio della stessa condotto ex ante che ha tenuto nella dovuta considerazione sia la natura delle infermità che le mansioni svolte (cfr. Cass. n. 14046/2005 e Cass. n. 21253/2012).
5. Analogamente non può trovare accoglimento il secondo motivo di ricorso con il quale sempre con riguardo alla ritenuta legittimità del licenziamento si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. con riguardo all’utilizzazione da parte del giudice della sua scienza privata ed alla mancata nomina di un consulente medico legale che solo avrebbe potuto stabilire se effettivamente, per le sue caratteristiche, la sporadica attività svolta, potesse essere pregiudizievole di un recupero se non addirittura causa di un aggravamento.
5.1. nel richiamare tutto quanto già detto con riguardo al primo motivo di ricorso va rilevato che è onere del lavoratore al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un’assenza per malattia, dimostrare la compatibilità dell’attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche e resta poi al giudice del merito valutare in concreto la loro incidenza (cfr. Cass. 09/07/2018 n. 17996, 15/01/2016 n. 586, 01/08/2016 n. 15989, 03/03/2015 n. 4237 e 25/11/2013 n. 26290). Inoltre va qui ribadito che la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che è tenuto, e nel caso in esame lo ha fatto, a motivare le ragioni del diniego dimostrando, come è qui accaduto, di poter risolvere i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione in base a corretti criteri non potendosi limitare semplicemente a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare (Cass. n. 17399/2015 e Cass. 25851 del 2018). Orbene nel caso in esame la Corte di merito si è avvalsa del parere qualificato del medico competente che era stato ritualmente prodotto e non era stato specificatamente contestato. Il medico competente, infatti, aveva individuato comportamenti e posture da evitare e tra questi la postura eretta e le rotazioni ed estensioni e la Corte del reclamo, confermando peraltro il giudizio del tribunale, si è limitata a verificare con apprezzamento dei fatti a lei riservato che erano proprio quelle le posture e i movimenti che si richiedevano per l’attività svolta.
6. Anche l’ultimo motivo di ricorso deve essere rigettato.
6.1. Nel denunciare la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 2729 cod. civ. nella parte in cui la Corte del reclamo ha escluso il carattere ingiurioso del licenziamento ha chiarito che le testimonianze erano tutte indirette e che non vi erano elementi oggettivi diversi per poterle ritenere confermate. Si tratta di ricostruzione dei fatti e di apprezzamento delle prove che è riservato al giudice del merito che non è incorso nella violazione delle norme denunciate. Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 22/11/2023 n. 32505). Inoltre, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 25/09/2023 n. 27266).
In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio […]”.
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