(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Cassazione Penale, Sez. IV, 21 giugno 2024, n. 24577.

Nota di Giovanni Patrizi

1.Con sentenza n. 24577 del 21 giugno 2024, la quarta sezione della Corte di Cassazione penale ha affermato che il reato di associazione a delinquere finalizzata ad attuare uno stabile sistema illecito di reclutamento e sfruttamento dei lavoratori, è configurabile, pur non essendo necessaria la consumazione, trattandosi di una fattispecie di pericolo.

I capi di imputazione trattati hanno riguardato: a) associazione per delinquere (art. 416 c.p.); b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.), c) favoreggiamento della permanenza di soggetti clandestini (D.Lgs. n. 286/1998); d) falsa attestazione della partecipazione a corsi di formazione (art. 481 c.p.).

Le attività degli imputati, in particolare, includevano: i) Reclutamento dei Lavoratori: gli imputati erano responsabili di reclutare i lavoratori, spesso in condizioni irregolari o clandestine, per impiegarli nei cantieri gestiti dall’associazione per delinquere; ii) Gestione del Lavoro: agivano come imprenditori-datori di lavoro per le società coinvolte, gestendo direttamente la manodopera. Questo includeva l’organizzazione del lavoro nei cantieri, la gestione dei turni e la supervisione delle attività lavorative; iii) Impiego in Condizioni di Sfruttamento: utilizzavano manodopera in modo sfruttante, impiegando i lavoratori per lunghe ore senza rispetto delle norme di sicurezza e senza adeguata retribuzione. I lavoratori erano spesso privi di regolare contratto e, in molti casi, anche di regolare permesso di soggiorno; iv) Documentazione e Frodi: erano coinvolti nella falsificazione di documenti necessari per far apparire la situazione lavorativa legale, come la falsa attestazione della partecipazione a corsi di formazione obbligatori; v) Sistemazione Abitativa: fornivano sistemazioni abitative ai lavoratori, detraendo il costo di queste sistemazioni dalle paghe, aggravando ulteriormente le condizioni di sfruttamento.

Le intercettazioni telefoniche e le testimonianze dei lavoratori hanno confermato il ruolo cruciale degli imputati nell’organizzazione, rivelando un sistema strutturato di sfruttamento lavorativo orchestrato con la collaborazione di altre figure chiave nell’associazione

2.Precedenti giurisprudenziali richiamati.

La Corte ha richiamato vari precedenti giurisprudenziali per confermare i principi relativi ai reati di associazione per delinquere e sfruttamento del lavoro tra i quali:
 
2.1. Sfruttamento del Lavoro: 

Sent. Cass. Pen. Sez. 4, n. 49781 del 9/10/2019la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario, accompagnata da disagio e bisogno, non costituisce di per sé lo sfruttamento del lavoro. Gli indici di sfruttamento devono riguardare condizioni di lavoro e retributive umilianti e degradanti.

Sent. Cass. Pen. Sez. 4, n. 27582 del 16/9/2020lo sfruttamento del lavoro si manifesta attraverso condizioni di lavoro, retributive e normative, che creano un evidente pregiudizio per il lavoratore. 

2.2. Associazione per delinquere: 

Sent. Cass. Pen. Sez. 3, n. 9459 del 6/11/2015, dep. 2016, e Sez. 3, n. 40749 del 5/3/2015: in materia di reati associativi, la commissione dei “reati-fine” non è necessaria per configurare il reato associativo. La prova dell’associazione può essere data anche senza la consumazione dei reati-fine, trattandosi di un reato di pericolo.

Sent. Cass. Pen. Sez. 2, n. 24194 del 16/3/2010: la prova della partecipazione all’associazione può essere data attraverso mezzi diversi dalla commissione dei reati-fine.

Sent. Cass. Pen. Sez. 4, n. 11470 del 9/3/2021: il reato associativo si perfeziona con la creazione del vincolo associativo e il concordato piano organizzativo per l’attuazione del programma delinquenziale.

Sent. Cass. Pen. Sez. 3, n. 27989 del 15/4/2021: si tratta di un reato di pericolo che si perfeziona non appena si è creato il vincolo associativo.

Sent. Cass. Pen. Sez. 6, n. 36131 del 13/5/2014, e Sez. 2, n. 22906 del 8/3/2023: nel concorso di persone nel reato, l’accordo criminoso è occasionale e limitato, mentre nel reato associativo vi è stabilità del vincolo e indeterminatezza del programma criminoso.

2.3. Valutazione delle Condizioni di Lavoro

Sent. Cass. Pen. Sez. 4, n. 45615 del 11/11/2021: in tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, la reiterazione delle condotte di sfruttamento è riferita ad ogni singolo lavoratore.

3. “[…] LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. SEZIONE QUARTA PENALE

(omissis)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis)

avverso la sentenza del 28/02/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE

[…] 

Fatto

1. La Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Prato, con la quale A.A. era stato condannato, ad esito di giudizio abbreviato, per i reati di cui all’art. 416 cod. pen. “capo 1), quale capo, promotore e organizzatore di un’associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, nonché favoreggiamento della permanenza di soggetti clandestini e impiego degli stessi attraverso società operanti nel settore edile”; agli artt. 110 e 603 bis, comma 1, n. 2, commi 3 e 4 cod. pen. “capo 2), per avere, quale datore di lavoro, assunto, impiegato e comunque utilizzato decine di lavoratori, in maggior parte privi di regolare contratto e taluni anche di regolare permesso di soggiorno”; agli artt. 110 cod. pen. e 12, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998 “capo 4), per aver favorito la condizione di illegalità dei lavoratori D.D. e E.E., privi di regolare permesso di soggiorno”; agli artt. 110 cod. pen. e 22, commi 12 e 12-bis, D.Lgs. n. 286/1998 “capo 5), per avere impiegato lavoratori clandestini”; agli artt. 110 e 481 cod. pen. “capo 6), per vere istigato i rappresentanti legali delle società omissis Sas e omissis Srl, alla falsa attestazione della partecipazione di alcuni lavoratori ai corsi di formazione generale e specifica”; e agli artt. 110 e 603 bis, comma 1, n. 1, cod. pen. “capo 7), per aver reclutato il lavoratore F.F. per destinarlo al lavoro presso i cantieri edili della omissis in condizioni di sfruttamento”, ha ritenuto le condotte di cui al capo 4), quelle di cui al capo 2, limitatamente ai lavoratori irregolari e quella di cui al capo 7) assorbite nel reato di cui all’art. 22 comma 12 e 12 bis, D.Lgs. 286/1998 di cui al capo 5), rideterminando la pena in anni due, mesi sei e giorni venti di reclusione.

2. L’indagine ha preso le mosse dalla denuncia di un lavoratore (F.F.) che si era presentato al Segretario generale della CGIL di Firenze riferendo di essere stato vittima di attività di illecita intermediazione e sfruttamento lavorativo da parte di due connazionali (i fratelli G.G. e H.H.), che agivano per conto di omissis. L’uomo, sentito a sommarie informazioni, aveva riferito fatti precisi in ordine ai tempi di lavoro (anche per l’intera giornata); all’assenza di ferie e di rimborsi in caso di malattia; alle modalità di corresponsione della retribuzione, con trattenimento della quota dei contributi previdenziali; alla sistemazione abitativa, il cui costo (200 Euro mensili) era detratto dalla paga, nella quale non venivano aggiunti gli straordinari, neppure essendo riportato il quantum effettivamente erogato.

Da ciò aveva preso avvio un’attività di intercettazione che confermava le dichiarazioni del F.F. e faceva emergere, secondo l’ipotesi accusatoria, le figure dei due fratelli, imprenditori-datori di lavoro per omissis Srl e per omissis Srl, quali utilizzatori di manodopera impiegata con modalità espressive dello sfruttamento; e l’acquisizione di documentazione e degli elementi delle banche dati, grazie alla quale si accertava la mancata formalizzazione dei rapporti di lavoro di parte della manodopera o la formalizzazione non coerente con la data effettiva di inizio della prestazione lavorativa, in alcuni casi risultando la formalizzazione del rapporto con imprese terze, ma il loro impiego effettivo alle dipendenze dell’imputato. Molti lavoratori avevano poi confermato a sommarie informazioni testimoniali le modalità di reclutamento, i termini della proposta lavorativa e dell’impiego di fatto.

Dall’insieme di tali elementi era emerso, secondo i giudici del doppio grado, il ruolo apicale dell’imputato al quale si è contestato, nella qualità di datore di lavoro formale e di fatto di numerosi lavoratori, anche irregolari sul territorio, di avere diretto e promosso un’associazione per delinquere finalizzata ad attuare uno stabile sistema illecito di reclutamento e impiego di lavoratori in condizioni di sfruttamento, in alcuni casi essendo stato falsamente attestato l’adempimento dei relativi obblighi formativi. L’imputato aveva svolto compiti datoriali rispetto alle maestranze, trattato con i clienti, procurato il lavoro presso i vari cantieri, commissionato il reclutamento, occupandosi del pagamento degli operai e della risoluzione delle controversie, altresì impartendo direttive agli operai. Attività tutte svolte anche in relazione alla società formalmente rappresentata da I.I. (omissis Srl), il cui ruolo è stato ritenuto apparente, il vero amministratore dell’ente essendo proprio l’imputato (come confermato da un episodio ritenuto emblematico, inerente al cantiere J.J. di Via omissis di F, laddove i committenti avevano considerato A.A. quale referente, I.I. essendo stato informato solo in un secondo momento e dall’imputato).

Il sistema era stato avviato almeno dal settembre 2017, allorquando si accertava che l’impiego di alcuni lavoratori era avvenuto a loro insaputa, per continuare anche oltre, essendo emerso che la struttura messa in piedi dall’imputato si avvaleva di varie società commerciali, di canali di reclutamento e della collaborazione di professionisti (come il K.K.). disponibili ad attestare falsamente l’adempimento degli obblighi formativi. Alcuni soggetti, poi, erano deputati all’accompagnamento e alla sorveglianza dei lavoratori e al collegamento tra costoro e i datori di lavoro. La mole d’affari era stata ricavata dal numero dei lavoratori (alcuni assunti formalmente, altri in nero), dall’imponente flusso di denaro necessario per il pagamento delle retribuzioni e dagli accertamenti operati sui conti correnti e sulle carte prepagate nella disponibilità degli imputati. Quanto alle modalità di organizzazione del lavoro, erano state valorizzate le dichiarazioni dei lavoratori impiegati in condizioni di sfruttamento (sia con riferimento alle modalità di corresponsione della retribuzione, che avuto riguardo all’assenza di garanzie, sia previdenziali che di sicurezza).

Proprio con riferimento agli indici dello sfruttamento, i giudici territoriali hanno stigmatizzato la reiterata violazione della normativa sull’orario di lavoro, sui riposi, sull’aspettativa obbligatoria e le ferie, ma anche i dati acquisiti dall’Ispettorato del lavoro, evidenzianti la divergenza tra quanto corrisposto e quanto stabilito dalla contrattazione collettiva di settore, nonché l’accertata violazione delle norme sulla sicurezza e la falsa attestazione dell’adempimento degli obblighi formativi, essendo parimenti emersa la mancata gestione del rischio lavorativo (per assenza di DPI, di attività formativa e di visite mediche) e l’inquadramento di tutti i lavoratori nel medesimo livello base.

La natura seriale e massiva della gestione illecita dei cantieri dava conferma dell’elemento psicologico del reato, quanto allo stato di bisogno essendo stata valorizzata una congerie di indici: la presenza irregolare sul territorio dei lavoratori, il loro contegno all’atto dell’accesso degli Ispettori (molti essendosi nascosti), la sistemazione abitativa in una casa di campagna messa a disposizione dei datori di lavoro che trattenevano una quota dalla retribuzione, il tutto ritenuto confermativo della assenza di una facoltà di scelta in capo al lavoratore, avendo lo stesso imputato rilasciato ampie dichiarazioni di ammissione degli addebiti, alle stregua delle quali, peraltro, i giudici del merito lo hanno ritenuto meritevole delle generiche in termini di prevalenza sulle aggravanti.

3. La difesa dell’imputato ha proposto ricorso, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto vizio di mancanza della motivazione, che ha ritenuto meramente apparente, con riferimento al delitto associativo. Con il gravame si era contestata l’esistenza degli elementi costitutivi della fattispecie, essendosi rilevata la occasionalità dei rapporti tra l’imputato e il I.I. e tra costoro e gli altri presunti sodali, valorizzandosi l’aspetto negoziale connotante i rapporti tra i primi due, con conseguente difetto dell’elemento dell’affectio societatis. Sul punto, parte ricorrente ha rilevato che la mancata indicazione degli esiti intercettativi, con specificazione del tenore e della qualità delle captazioni, avrebbe impedito di ritenere fondata la tesi accusatoria, considerato il ruolo centrale delle captazioni, avendo la Corte ritenuto dimostrate condotte con riferimento alle quali mancherebbe la prova dalla quale trarrebbe linfa l’argomentare dei giudici del gravame. Né potrebbe soccorrere la sentenza appellata, avendo il primo giudice richiamato le intercettazioni solo per numero e data, senza esame delle risultanze della prova.

Con il secondo motivo, posto in via subordinata, ha dedotto analogo vizio quanto alla ritenuta esistenza di un programma criminoso, osservando che in sede di gravame era stato devoluto il tema della configurabilità o meno di un’associazione diretta a commettere un unico fatto in forma plurisoggettiva con natura permanente, laddove il primo giudice aveva “spacchettato” il reato fine in una pluralità di fattispecie. La Corte d’appello aveva, invece, recepito l’impostazione dell’appellante, ritenendo l’assorbimento di alcune fattispecie, cosicché, allo stato, residuandone solo due, quella cioè dell’art. 22 comma 12 bis D.Lgs. n. 286/1998 e quella dell’art. 603 bis, cod. pen., si è sostenuto che il primo è reato permanente e che, prevedendo il secondo tra le modalità di estrinsecazione anche l’utilizzo e l’impiego, condotte analoghe a quella di occupazione di cui all’art. 22 richiamato, le due fattispecie si porrebbero in rapporto di concorso formale, per essere la condotta identica, con l’unico distinguo della irregolarità di alcuni lavoratori che farebbe residuare la fattispecie di cui all’art. 22 comma 12 bis D.Lgs. n. 286/1998. Dalla natura permanente dell’unica condotta di reato, dunque, la difesa ha inferito l’impossibilità di configurare il reato associativo, nel quale il vincolo deve essere tale da durare oltre la realizzazione del delitto programmato, nel senso che la compagine non sia venuta meno una volta esaurito il lavoro. Ma di tale proiezione al futuro il giudice deve dare conto per ritenere la fattispecie di cui all’art. 416, cod. pen. La Corte non avrebbe colto il nucleo della questione posta che non è se l’associazione sia configurabile anche in assenza di reati fine, ma se i correi continueranno ad agire in sinergia anche oltre il delitto o i delitti programmati.

4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Francesca COSTANTINI, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.

5. La difesa della parte civile L.L. ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso con conferma delle statuizioni civili e vittoria delle competenze e degli incombenti di legge.

6. Il difensore delle parti civili B.B. e C.C., sede di F, in persona del Segretario responsabile pro tempore, ha depositato conclusioni scritte, con separati atti, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso con vittoria di spese e onorari.

 Diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

2. Quanto al primo, infatti, deve intanto convenirsi con quanto osservato dal Procuratore generale in ordine al profilo della mancata indicazione delle specifiche intercettazioni valorizzate a dimostrazione delle condotte di reato: in sede di gravame, infatti, la difesa non aveva censurato la sentenza di primo grado quanto a tale punto specifico, proponendo, al contrario, una divergente interpretazione del materiale intercettativo, al fine di sostenere l’insussistenza dell’ipotesi associativa, addirittura affermando che i fatti erano incontestati nella loro storicità, così come la loro attribuzione soggettiva all’imputato che aveva, peraltro, reso ampia confessione (vedi fg. 7 dell’atto di gravame). Sicché del tutto correttamente il giudice di secondo grado ha omesso di analizzare il punto specifico devoluto con il ricorso, in questa sede essendo sufficiente ribadire che è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306-01; n. 26721 del 26/4/2023, Bevilacqua, Rv. 284768-02), dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento a punto della decisione sul quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, Galdi, Rv. 270316-01).

3. Quanto al secondo, invece, deve operarsi una premessa, osservandosi come sia precluso a questo giudice di legittimità, non investito di ricorso sul punto, vagliare la correttezza del ragionamento complessivamente svolto dalla Corte territoriale per ritenere assorbite alcune delle condotte criminose contestate in quella di cui al capo 5) della rubrica, trattandosi peraltro di statuizione in bonam partem, tale valutazione non essendo neppure necessitata dall’esame del motivo di ricorso, pur dovendosi ribadire che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all’art. 603 bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (sez. 4, n. 49781 del 9/10/2019, Kuts, Rv. 277424-01; n. 27582 del 16/9/2020, Savoia, Rv. 279961-01).

Ciò posto, va poi riaffermato il principio per il quale, in tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, la reiterazione delle condotte di cui all’art. 603 bis, comma 3, nn. 1 e 2, cod. pen., costituenti indici di sfruttamento, è da intendersi riferita ad ogni singolo lavoratore, e non alla sommatoria di comportamenti episodici in danno di lavoratori diversi, in quanto oggetto di tutela non è un bene collettivo, ma la dignità della singola persona (sez. 4, n. 45615 del 11/11/2021, Mazzotta, Rv. 282580-01).

4. Orbene, con la censura in esame la difesa ha proposto una sorta di interpretazione abrogativa dell’art. 416 cod. pen., ritenendo che l’unicità del reato scopo (non ravvisabile, peraltro, nel caso in esame, stante la pluralità dei reati per i quali è intervenuta condanna) implichi la sussistenza del solo concorso di persone e non giustifichi la configurabilità della societas sceleris, non avendo i giudici territoriali dimostrato la sopravvivenza dell’accordo oltre la consumazione di quello che si assume essere un unico reato permanente.

Tuttavia, la Corte del gravame ha ritenuto dimostrata, alla stregua delle risultanze acquisite, la sussistenza di un’associazione costituita al fine di commettere un numero indeterminato di reati nell’ambito dell’impiego lavorativo di manodopera, la cui prova è stata tratta anche dalla consumazione di reati fine, laddove la difesa ha, invece, omesso di considerare la natura del reato associativo, per la cui esistenza non è neppure necessaria la consumazione di essi, trattandosi di fattispecie di pericolo (sul punto, è sufficiente un rinvio, tra le altre, a sez. 3, n. 9459 del 6/11/2015, dep. 2016, Venere, Rv. 266710-01, in cui si è affermato in generale che, in materia di reati associativi, la commissione dei “reati-fine” dell’associazione, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria, né ai fini della configurabilità e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione; sez. 3, n. 40749 del 5/3/2015, Sabella, Rv. 264826-01, in cui si precisato che la prova della partecipazione all’associazione, stante l’autonomia del reato associativo rispetto ai reati “fine”, può essere data con mezzi e modi diversi dalla prova in ordine alla commissione dei predetti, sicché non rileva, a tal fine, il fatto che l’imputato di reato associativo non sia stato condannato per i reati “fine” dell’associazione; sez. 2, n. 24194 del 16/3/2010, Bilancia, Rv. 247660-01; e, più di recente, anche sez. 4, n. 11470 del 9/3/2021, Scarcello, Rv. 280703-02; sez. 3, n. 27989 del 15/4/2021, Delia, Rv. 282327-02, in cui si è precisato che trattasi di reato di pericolo che si perfeziona non appena si è creato il vincolo associativo e si è concordato il piano organizzativo per l’attuazione del programma delinquenziale).

Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto la prova della fattispecie di pericolo, sanzionata proprio per la maggior pericolosità espressa dall’esistenza di una struttura organizzata, dalla stabilità del vincolo e dal programma criminoso, giustificandone in maniera del tutto congrua e logica l’esistenza, dando conto della organizzazione di uomini e mezzi, della struttura verticistica con ripartizione di compiti, della condivisione di un identico modus operandi, finalizzato alla commissione di una serie di reati dello stesso tipo. La difesa, al contrario, ha formulato la censura muovendo dalla premessa, smentita dal compendio probatorio, che la condotta non sia andata oltre la sola cooperazione nei reati fine, dimentica, tuttavia, del discrimine tra le due fattispecie, tratteggiato in maniera precisa dalla giurisprudenza. Esso risiede nel fatto che nel concorso di persone nel reato l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno che li prevede tutti (sez. 6, n. 36131 del 13/5/2014, Torchia, R. 260292-01; sez. 2, n. 22906 del 8/3/2023, Bronzellino, Rv. 284724-01, in cui si è, per l’appunto, precisato che le condotte di partecipazione e promozione dell’associazione per delinquere presentano i requisiti della stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso, elementi che possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, ove indicativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi; sez. 5, n. 1964 del 7/12/2018, dep. 2019, Magnani, Rv. 274442-01; sez. 2, n. 47768 del 25/10/2023, Rizzello, Rv. 285446-01, in cui si è affermato che il delitto associativo è configurabile nel caso di condotte sistematicamente tese all’arricchimento degli agenti, attuate nell’ambito di un programma illecito, temporalmente indeterminato, anche quando la vittima sia sempre un unico soggetto, laddove il progetto delittuoso perseguito, realizzato pur con comportamenti non costituenti reato, sia espressione dell’evoluzione dell’originario “modus operandi”).

Sotto altro profilo, poi, deve rilevarsi la assoluta genericità del motivo, laddove la difesa ha ritenuto che la valutazione condotta dai giudici del merito non avrebbe dato conto della sussistenza dell’accordo oltre la realizzazione dei reati scopo per non essere stati analiticamente indicati gli esisti delle captazioni, punto non devoluto in appello e sul quale, dunque, è sufficiente un rinvio a quanto già affermato al par.2.

5. Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000), oltre alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità dalle costituite parti civili B.B. e C.C., sezione di F, in persona del Segretario responsabile prò tempore, che si liquidano come in dispositivo. Viceversa, si ritiene che non debba essere disposta liquidazione in favore della parte civile L.L., parimenti costituita e non intervenuta all’udienza, non avendo le rassegnate conclusioni scritte, a causa della genericità, fornito alcun contributo alla dialettica processuale (sul punto, Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, cit., Rv. 222264 e, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Bacchettino, in motivazione). Va disposto l’oscuramento dei dati personali.
 
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso […]”.