(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 27 marzo 2024, n. 8288.
L’eccezione di interruzione della prescrizione pacificamente integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti.
Lavoro. Doppia conforme. Prescrizione. Assunzione. Diritto di prelazione per accordo sindacale. Buste paga. CCNL. Accoglimento parziale
“[…] Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Catania, previo svolgimento di consulenza tecnica di ufficio, rigettava l’appello che I.F. aveva proposto contro la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva accolto l’opposizione della W.L. s.r.l. al precetto con il quale I.F., in virtù della sentenza n. 17/2007 della stessa Corte d’appello, aveva intimato a detta società di assumerlo presso lo stabilimento di Catania con decorrenza dal 22.6.2001, esercitando il diritto di prelazione previsto nell’accordo sindacale del 4.6.1998. Il lavoratore, infatti, già dipendente di W.L., a decorrere dall’1.8.1998 era stato assunto dalla S.I. s.p.a., salvo vantare il diritto di prelazione previsto da detto accordo, in caso di nuove assunzioni da parte della W.L..
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, oltre a disattendere i primi due motivi d’appello del lavoratore attuale ricorrente, giudicava infondato anche il terzo motivo di gravame, a mezzo del quale l’appellante sosteneva che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che vi fosse stata l’esecuzione spontanea della su indicata precedente sentenza della medesima Corte d’appello da parte della società opponente. In relazione al quarto motivo d’appello, invece, la Corte di merito, esaminando la fondatezza della domanda di condanna al risarcimento del danno, proposta in via riconvenzionale dal lavoratore opposto e giudicata invece assorbita dal primo giudice, riteneva anzitutto attinte da prescrizione decennale le pretese risarcitorie maturate nel decennio anteriore alla notifica della domanda riconvenzionale. Circa la parte restante della stessa domanda, anche sulla scorta di quanto accertato e considerato dal C.T.U. il cui operato giudicava corretto, la riteneva priva di fondamento, non avendo l’appellante dimostrato l’esistenza di un danno economico, biologico e professionale, derivante dalla tardiva offerta di riassunzione da parte di W.L..
3. Avverso tale decisione, I.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi di ricorso.
4. L’intimata ha resistito con controricorso.
5. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 Cpc comma 2 e dell’art. 83 lettera h) del d.l. n. 18/2020 convertito in legge e norme successive, mancata lettura del dispositivo e mancata adozione del provvedimento fuori udienza – nullità insanabile ex art. 360/1 sub – 3 e 4”. Deduce che la sentenza della Corte di Appello è affetta da nullità insanabile per mancata lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione e mancata adozione provvedimento fuori udienza, che non risultano depositati né telematicamente né in formato cartaceo. Sostiene che, se la lettura del dispositivo in udienza secondo un’interpretazione estensiva può essere sostituita dall’adozione del provvedimento fuori udienza, la mancata adozione del provvedimento fuori udienza ed il suo mancato deposito il giorno stesso dell’udienza sono equiparabili alla mancata lettura del dispositivo in udienza e causa nel rito del lavoro di nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto in quanto si traduce nel difetto di un requisito correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio che connotano tale rito e soprattutto di immutabilità della decisione rispetto alla successiva stesura della motivazione.
2. Con un secondo motivo denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del principio dell’onere della prova, degli artt. 437, secondo comma e 421 del cod. proc. civ. del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU, dell’art. 116 c.p.c. circa il dovere del giudice di valutare le prove secondo il proprio prudente apprezzamento (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 e 5 cod. proc. civ.)”; nonché “Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. motivazione manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”. Per il ricorrente, erroneamente il giudice del gravame ha ritenuto tardiva la produzione delle buste paga del lavoratore nel periodo alle dipendenze della W.L. s.p.a., omettendo di esercitare i poteri ufficiosi riconosciutigli dall’art. 421 cod. proc. civ. allo scopo di ricercare la verità materiale, ciò in palese violazione del principio del giusto processo ed in ossequio ad un eccessivo formalismo.
3. Con un terzo motivo denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 194 e 198 cod. proc. civ. nullità della CTU e della sentenza impugnata o del procedimento (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 cod. proc. civ.)”;
“Violazione e/o falsa applicazione del principio dell’onere della prova, degli artt. 437, secondo comma e 421 del cod. proc. civ. del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 e 5 cod. proc. civ.)”; “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”. Richiamati i principi di diritto sanciti in Cass., sez. un., n. 6500/2022, deduce che la C.T.U. espletata in secondo grado ha violato i superiori principi in diritto per non avere il C.T.U. erroneamente tenuto conto della produzione delle buste paga del lavoratore nel periodo alle dipendenze della W.L. spa per calcolare l’importo delle somme spettanti all’appellante in virtù degli accordi del 4.6.1998 e del 27.7.1998 a titolo di retribuzione e (con separato calcolo) a titolo di “trattamento di miglior favore”, e quindi il trattamento economico effettivamente goduto dal lavoratore al momento del passaggio alle dipendenze della società S. in forza dei citati accordi sindacali, avendolo perciò calcolato solamente come da CCNL Chimici pur nella consapevolezza che tale calcolo comprendesse solo il trattamento minimo, e non già quello effettivo al momento del passaggio e senza mai, prima del deposito della bozza di C.T.U., averlo rilevato alle parti. Inoltre, ha errato il CTU nel ritenere tardiva la suddetta produzione. Il CTU in primo luogo poteva acquisire “direttamente” la suddetta documentazione trattandosi di “documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente e approfondita al quesito posto dal Giudice”, chiedendo il consenso all’acquisizione ex art. 198, II comma, c.p.c. o comunque richiedendo alla Corte di appello adita l’autorizzazione all’acquisizione, essendo documenti richiamati dagli accordi sindacali indicati nel mandato e quindi documentazione accessoria utile al fine di consentire una risposta, più esauriente e approfondita al quesito posto dal Giudice. Comunque trattandosi di esame contabile ai sensi dell’art. 198 c.p.c. il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, poteva acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rendeva necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni per come sancito dalla citata sentenza delle Sezioni Unite.
4. Con un quarto motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”. Deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione per avere la Corte di Appello non tenuto conto dei principi espressi dalla sentenza della Corte di Appello di Catania n. 553/2015, resa nel giudizio in riassunzione a seguito di rinvio da questa Corte di Cassazione giusta sentenza n. 29620/2011, che ha riconosciuto al lavoratore il diritto a percepire il premio di partecipazione nei limiti di cui in domanda ovvero per l’anno 1999 e delle risultanze in atti, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Secondo il ricorrente, ha errato la Corte di Appello a non riconoscere il diritto al premio di partecipazione per gli anni successivi al 1999 anche a titolo di risarcimento del danno facendo propri gli esiti della CTU errata che addirittura ha ritenuto tale emolumento già corrisposto a titolo di superminimo assorbibile.
5. Con un quinto motivo denuncia “Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione per avere la Corte di Appello non tenuto conto degli atti interruttivi della prescrizione ritualmente depositati in atti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”. Per il ricorrente, ha errato la Corte di merito nel ritenere prescritto il diritto al risarcimento del danno per il periodo anteriore al 15.1.2006. Infatti, la difesa del lavoratore sul punto aveva prodotto dieci diffide inviate negli anni alla società, rimaste del tutto disattese ed interruttive della prescrizione. La Corte d’appello non ha tenuto conto delle suddette diffide non menzionandole neanche in sentenza e pur riconoscendo il diritto al risarcimento del danno conseguente alla violazione dell’obbligo di riassunzione derivante dall’accordo del 4.6.1998, risarcimento del danno contrattuale, ha ritenuto prescritti i danni maturati nel decennio anteriore alla notifica della domanda riconvenzionale.
6. Con un sesto motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”; nonché “Violazione e/falsa applicazione del principio dell’onere della prova, degli artt. 437, secondo comma e 421 cod. proc. civ. del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 e 5, cod. proc. civ.)”. Ivi deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione per avere la Corte di Appello ritenuto che la società ha dato attuazione all’obbligo del patto di prelazione non tenendo conto dei principi espressi nella sentenza della Corte di Appello di Catania, sez. lavoro, n. 17/07, e dalla Corte di Cassazione sezione lavoro n. 6179/13, omettendo ogni motivazione sull’infondatezza della pretesa del lavoratore e con una motivazione contraddittoria e lacunosa laddove affermava l’attuazione dell’obbligo a carico della società e con inversione dell’onere della prova che era a carico della società.
7. Il primo motivo è infondato.
8. Giova premettere che l’art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18/2020, conv. con mod. in l. n. 27/2020, prevede: “lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
9. Orbene, come emerge dal testo dell’impugnata sentenza, essa è stata pubblicata completa di motivazione il 29.11.2021, a seguito di decisione assunta “nella camera di consiglio del 18.11.2021” (cfr. l’ultima facciata della stessa), e vi è specificato che: “La causa … è stata decisa in data 18.11.2021, ai sensi dell’art. 83, comma 7, lettera h del d.l. 18/2020 e successive modifiche ed integrazioni, compiuti i termini assegnati alle parti per depositare note telematiche”.
E dal c.d. “storico” del fascicolo di secondo grado, estratto dal SICID, prodotto dalla controricorrente (sub allegato 4 della sua produzione in questa sede di legittimità), si trae conferma che, a seguito di una trattazione scritta la cui ritualità non è posta in dubbio dal ricorrente per cassazione, appunto in data 18.11.2021 fu depositato telematicamente il dispositivo della sentenza, poi depositata nella sua interezza il 29.11.2021.
10. Pertanto, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, in perfetta conformità alle speciali previsioni su riportate, alla prevista data del 18.11.2011 fu in realtà assunta la decisione consacrata in un dispositivo depositato telematicamente, equipollente alla sua lettura in udienza ex art. 437, comma primo, secondo periodo, c.p.c.
Di conseguenza, alcuna nullità, men che meno insanabile, è riscontrabile nell’impugnata sentenza.
11. E’ invece inammissibile il sesto ed ultimo motivo di ricorso, di cui appare opportuno l’anticipato esame.
12. Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’articolo 348-ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
13. Nel caso in esame, però, le decisioni di primo e di secondo grado sono tra loro senz’altro conformi nel ritenere che la W.L. avesse dato spontanea esecuzione alla precedente sentenza della medesima Corte d’appello.
13.1. Asserisce il ricorrente che sul punto il giudice di primo grado non avrebbe <motivato alcunché, limitandosi ad affermare in sentenza che “Il vaglio sul mancato superamento del corso di riqualificazione e la conseguente cessazione del rapporto di lavoro, con la sussistenza o meno dell’obbligo di ripescaggio in tale eventualità allo stato meramente ipotetica, sono circostanze che evidentemente esulano dal presente giudizio relativo all’esecuzione della sentenza della Corte di Appello di che trattasi”>.
Sennonché, come risulta dalla stessa trascrizione della sentenza del Tribunale in parte qua, proposta dal ricorrente, il Tribunale non si era affatto limitato alle su riportate considerazioni (cfr. pagg. 21-25 del ricorso per cassazione), giungendo comunque alla conclusione dell’accoglimento del primo motivo di opposizione della società, perché si doveva “ritenere spontaneamente eseguita la sentenza della Corte di Appello, nei limiti del suo dictum, con l’offerta lavorativa effettuata”.
E il giudice di secondo grado di questo procedimento, dopo aver sintetizzato quanto considerato dal Tribunale in proposito, e riferito il terzo motivo d’appello a mezzo del quale era censurata appunto la ritenuta esecuzione spontanea della sentenza azionata quale titolo esecutivo, è pervenuto alla medesima conclusione solo in base a talune considerazioni in parte diverse da quelle svolte dal primo giudice (cfr. § 2.3. della sua sentenza).
14. Pertanto, stabilita l’inammissibilità del sesto motivo per la parte in cui si riferisce al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., inammissibilmente nello stesso viene denunciata anche la violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4), c.p.c. Contraddittoriamente, infatti, la pretesa anomalia motivazionale è rappresentata come omissione di “qualunque motivazione” e, nel contempo, come motivazione “del tutto illogica e irrazionale”, oppure “contraddittoria e lacunosa”.
15. E’ infine inammissibile la stessa censura anche nella parte in cui si assume che la statuizione sul punto della Corte sarebbe elusiva del giudicato costituito dalla sentenza azionata quale titolo esecutivo.
Come recentemente insegnato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini della denuncia della violazione, nei giudizi di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, dell’art. 2909 c.c. con riferimento alla cosa giudicata corrispondente al titolo esecutivo giudiziale, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. del precetto sostanziale violato, nei cui limiti deve svolgersi il sindacato di legittimità, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. della sede nel giudicato del precetto di cui si denuncia l’errata interpretazione e dell’eventuale elemento extratestuale, ritualmente acquisito nel giudizio di merito, che sia rilevante per l’interpretazione del giudicato (così Cass. civ., sez. un., 21.2.2022, n. 5633).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto che: “La sentenza della Corte di appello di Catania ha riconosciuto il diritto dell’odierno appellante ad essere riassunto a far data dal 22.6.2001, data in cui il lavoratore ha comunicato a W.L. la disponibilità alla riassunzione. La sentenza, tuttavia, non ha previsto il diritto dell’appellante a essere assunto presso un reparto determinato né con mansioni per le quali non sia necessario un corso di riqualificazione. Pur avendo diritto all’assunzione con decorrenza dal 22.6.2001 in virtù della sentenza n. 17/2007 l’appellante non ha diritto di scegliere le mansioni e la categoria di inquadramento”.
E proprio questa parte dell’impugnata sentenza, che racchiude l’interpretazione della cosa giudicata fornita dai giudici di secondo grado, neanche è considerata dal ricorrente che si sofferma su passaggi motivazionali successivi ed estranei al terreno dell’interpretazione del giudicato esterno in questione (cfr. pag. 86 del ricorso).
Per vero, come emerge chiaramente dalla trattazione del sesto motivo (cfr. in particolare pagg. 86-98 del ricorso), esso, in cui peraltro non è denunciata la violazione dell’art. 2909 c.c., si fonda piuttosto su una diversa lettura delle risultanze relative alla vicenda processuale in parte qua; il che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
16. E’ invece fondato il quinto motivo di ricorso, del quale pure appare opportuna l’anticipata trattazione (come appresso meglio sarà spiegato resta perciò assorbito l’esame del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso).
17. In ordine a questo motivo, anzitutto, non opera la preclusione di cui all’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., valevole, invece, per il sesto motivo.
Difatti, come anticipato in narrativa, sul punto le decisioni di primo e di secondo grado non sono conformi neanche nella motivazione, perché, mentre il primo giudice aveva giudicato assorbita la domanda riconvenzionale del lavoratore opposto, con la quale egli chiedeva il risarcimento del danno conseguente alla mancata tempestiva attuazione del diritto di prelazione di cui egli aveva chiesto l’esecuzione, la Corte d’appello ha esaminato nel merito tale domanda, condividendo a riguardo la tesi del lavoratore secondo la quale, anche in ipotesi di accertamento dell’avvenuta esecuzione della sentenza dall’1.7.2013, il risarcimento del danno spettava per il periodo precedente, a far data dal 2001 (cfr. inizio del § 2.4) dell’impugnata sentenza).
18. Tanto considerato, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche a Sezioni Unite, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla S.C. di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il fatto storico da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione tra le parti e la sua decisività (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).
19. Ora, come pure premesso in narrativa, la Corte territoriale ha reputato attinto da prescrizione il diritto al risarcimento del danno contrattuale, azionato dal lavoratore, per il decennio anteriore alla notifica della domanda riconvenzionale dello stesso, contenuta nella sua memoria di costituzione in primo grado.
19.1. Ebbene, anzitutto il ricorrente ha dedotto e provato di aver prodotto contestualmente appunto al deposito di detta memoria di costituzione n. 10 sue diffide, indicate nel relativo elenco degli atti, e nuovamente prodotte in questa sede sub n. 6 del proprio fascicolo ex art. 369, comma secondo, n. 4), c.p.c. (cfr. anche pag. 99 del ricorso).
Anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso per cassazione in parte qua il ricorrente ha specificato che la prima di esse in ordine di tempo consisteva in un “Atto stragiudiziale di diffida notificato a mezzo ufficiale giudiziario in data 21/05/2007”, in cui, per quanto ora interessa, aveva “richiesto il risarcimento del danno economico derivante dal mancato riconoscimento del trattamento che avrebbe goduto se fosse rimasto in W.L. a decorrere dal 22 giugno 2001”; richiesta che assume di aver ribadito nella diffida del 17.02.2012 e in quella del 5 luglio 2013 (le ulteriori sette diffide sono comunque indicate a pag. 84 del ricorso, specificandosi che erano state spedite a mezzo di racc. a r.).
Contrariamente, perciò, a quanto sostenuto dalla controricorrente, il ricorrente ha specificato il contenuto di quelle tra tali plurime diffide (in complesso dieci), cui annette valore di atti interruttivi del corso della prescrizione ex art. 2943, comma quarto, c.c.
19.2. Indiscutibile, pertanto, è la potenziale decisività dei fatti che, secondo il ricorrente, comprovavano quei documenti, perché, se intesi come sostenuto dallo stesso, avrebbero interrotto il corso della prescrizione.
19.3. Inoltre, i fatti relativi tornavano ad essere controversi in secondo grado, perché la stessa Corte di merito, da un lato, ha considerato “l’eccezione del diritto al risarcimento del danno tempestivamente sollevata dalla difesa della W.L.”, e, dall’altro, ha individuato un solo atto interruttivo del corso della prescrizione (ex art. 2943, comma primo, c.c.), costituito dalla stessa domanda riconvenzionale del lavoratore, proposta nella ridetta memoria di costituzione nel giudizio di opposizione a precetto, specificando di attribuire rilievo alla relativa notificazione; tanto che ha poi limitato la consulenza tecnica d’ufficio alla verifica del “danno lamentato nei limiti della prescrizione (periodo dal 15.1.2006 all’1.7.2013)”, ossia, al periodo ritenuto non attinto da prescrizione (v. in proposito pag. 11 nel § 2.4. della sua motivazione).
19.4. Premesso, poi, che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l’eccezione di interruzione della prescrizione pacificamente integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti (cfr., di recente, ex plurimis, Cass., sez. I, 13.4.2023, n. 9810), la Corte d’appello non ha assolutamente considerato le diffide prodotte dal lavoratore e quindi i fatti che potevano documentare, ossia, interruzioni del corso della prescrizione ben anteriori alla notifica della memoria contenente la domanda riconvenzionale, esclusivamente considerata dalla stessa Corte.
20. Come anticipato, l’accoglimento del quinto motivo di ricorso comporta l’assorbimento dell’esame del secondo, del terzo e del quarto motivo.
20.1. Tali tre censure, infatti, in varia chiave, attengono tutte alla parte della domanda risarcitoria che la Corte di merito ha considerato non attinta da prescrizione estintiva decennale, ma ha respinto nel merito in senso stretto, essenzialmente in base all’accertamento peritale espletato nel corso del secondo grado.
20.2. La Corte distrettuale in particolare ha osservato che: “Al fine di valutare la fondatezza della domanda di risarcimento del danno occorre verificare se, a causa della mancata tempestiva riassunzione, l’appellante abbia avuto diritto a un trattamento retributivo alle dipendenze di S. Italia s.p.a. e C.G.I. s.p.a. complessivamente inferiore rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto alle dipendenze di W.L. s.r.l., tenendo conto che la domanda non ha ad oggetto differenze retributive dovute e non erogate (quali in ipotesi il premio di partecipazione non pagato) ma il risarcimento del danno conseguente alla mancata riassunzione”.
20.3. Pertanto, ove qualcuno dei documenti non considerati dalla Corte risultasse idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, il confronto tra i rispettivi trattamenti retributivi, valevole ai fini della verifica dell’esistenza del danno e della sua eventuale quantificazione, non solo potrebbe riguardare direttamente il periodo secondo la Corte territoriale coperto dalla prescrizione, ma potrebbe riflettersi anche sulla medesima comparazione per il periodo dal 15.1.2006 all’1.7.2013, unicamente oggetto di verifica nell’impugnata decisione.
21. In definitiva, rigettato il primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il sesto e dichiarati assorbiti i restanti motivi, la sentenza dev’essere cassata in accoglimento del quinto motivo di ricorso, con rinvio alla medesima Corte territoriale, la quale, in differente composizione, oltre a regolare le spese anche di questo giudizio di cassazione, dovrà prendere in considerazione le diffide prodotte dal lavoratore onde verificare se una o più di esse integrino gli estremi di atti interruttivi del corso della prescrizione.
P.Q.M. Accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettato il primo motivo, dichiarato inammissibile il sesto, e dichiarati assorbiti i restanti motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità […]”.
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