(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di Cassazione. Ordinanza 22 luglio 2024, n. 20250.

Il riconoscimento del buono pasto presenta funzione assistenziale e non retributiva, ponendosi quindi al di fuori dell’ambito di applicazione dall’art. 2948 c.c., operante invece per le pretese retributive, con la conseguenza che il mancato riconoscimento del diritto alla pausa per il pasto ed al meccanismo sostitutivo del relativo buono si traduce in una forma di incidenza sulla salute dei lavoratori, determinando quindi quella che va qualificata come pretesa risarcitoria per violazione dell’art. 2087 c.c.

Lavoro. Diritto alla mensa. Modalità alternativa del buono pasto. CCNL Sanità. Particolare articolazione dell’orario. Diritto alla pausa. Funzione assistenziale e non retributiva. Rigetto

[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza n. 2074/2022, pubblicata in data 24 maggio 2022, la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellata A.C., ha parzialmente accolto il gravame proposto da M.L.C. avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva respinto la domanda con la quale M.L.C. – dipendente della A.C. – aveva chiesto accertarsi il proprio diritto ad usufruire, in relazione al periodo 20 settembre 2002 – 31 dicembre 2008, del servizio mensa, nella modalità alternativa del buono pasto, anche in occasione dello svolgimento del turno di lavoro dalle ore 20.00 alle ore 8.00.

2. La Corte territoriale, richiamata l’evoluzione della disciplina di legge e pattizia intervenuta nel tempo, ha rilevato che l’espressione “particolare articolazione dell’orario di lavoro”, contenuta nell’art. 29 CCNL Sanità del 20 settembre 2001 – il quale con tale riferimento individuava i beneficiari del previsto diritto alla mensa – ricollegava il sorgere del diritto non già a non solo alla durata oraria della prestazione, bensì al suo svolgersi cono modalità orarie tali de generare l’esigenza tutelata mediante il riconoscimento del servizio o del buono mensa.

Ha poi osservato che, mentre nella riunione sindacale aziendale del 13 dicembre 1996, il diritto al buono pasto era stato concordemente limitato ai soli lavoratori in servizio nella fascia oraria 12.30/14.30, nel successivo incontro aziendale del 16 dicembre 2008 – cui avevano partecipato tutte le sigle sindacali – il diritto era stato riconosciuto anche in favore del personale in servizio nel turno notturno, ritenendo – anche sulla scorta del precedente di questa Corte n. 5547/2021 – che tale ultimo dato, unitamente alle indicazioni provenienti dalla disciplina di legge, comportasse il diritto della lavoratrice al riconoscimento del buono pasto anche in relazione al turno 20.00-8.00, ricorrendo anche in tal caso quella particolare articolazione dell’orario di lavoro che fondava il diritto.

La Corte territoriale, tuttavia, affermata la natura assistenziale e non retributiva del diritto alla fruizione del buono pasto e preso atto della rinnovata proposizione dell’eccezione di prescrizione da parte dell’appellata, ha ritenuto detto diritto soggetto a prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. e, per l’effetto, poiché il ricorso di primo grado era stato notificato in data 6 novembre 2018, ha ritenuto che il diritto dell’appellante potesse essere riconosciuto solamente per il periodo lavorativo dal 7 novembre 2008 in poi, risultando invece prescritto per il periodo che dal 20 settembre 2001 al 6 novembre 2008.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre ora A.C.

Resiste con controricorso M.L.C.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.

La controricorrente ha depositato memoria.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è affidato a cinque motivi.

1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, comma 2, CCNL comparto sanità del 7 aprile 1999 (modificato ed integrato dal CCNL in data 20.9.2001); 8, D.Lgs. n. 66/2003.

Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe erroneamente riconosciuto il diritto dell’odierna controricorrente, omettendo di rilevare che l’art. 29, comma 2, CCNL integrativo Sanità, attribuisce il diritto alla mensa per tutti i dipendenti in relazione alla particolare articolazione dell’orario e che nella riunione sindacale aziendale del 13 dicembre 1996, il diritto al buono pasto era stato concordemente limitato ai soli lavoratori in servizio nella fascia oraria 12.30/14.30, mentre solo nel successivo incontro aziendale del 16 dicembre 2008 il diritto era stato esteso al turno notturno, dandosi espressamente atto che ciò costituiva modifica dei precedenti accordi.

1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1362 c.c., “per inosservanza del canone di interpretazione letterale dell’accordo intervenuto tra la A.C. e le OO.SS. e per apprezzato correttamente la volontà delle parti”.

La ricorrente censura l’erronea interpretazione che la Corte territoriale avrebbe fornito del verbale dell’incontro aziendale del 16 dicembre 2008, nel quale il diritto al buono pasto era stato esteso al turno notturno, dandosi espressamente atto che ciò costituiva modifica dei precedenti accordi e che il riconoscimento sarebbe stato efficace a far data dal 1° gennaio 2009.

1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1322, 1362, 1363 c.c. 

La ricorrente censura ancora l’erronea interpretazione che la Corte territoriale avrebbe fornito del verbale dell’incontro aziendale del 16 dicembre 2008, lamentando il mancato coordinamento delle fonti collettive.

1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2946 e 2948 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto operante la prescrizione decennale, anziché quinquennale, del diritto azionato dall’odierna controricorrente.

1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, testualmente, la “nullità della sentenza per omessa o apparente motivazione in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4. violazione dell’art. 132 co. 2, n. 4 c.p.c. c.p.c. violazione del minimum costituzionale ex art. 111 Cost.”, “per essersi la sentenza limitata a richiamare alcune pronunce di legittimità, tra l’altro relative a fattispecie solo parzialmente avvicinabili a quella per cui è causa, senza in alcun modo spiegare perché la “particolare articolazione dell’orario di lavoro” è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro e quale sia il parametro dal quale possa discendere che la fruizione del pasto – ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto – sia prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato”.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2.1. La questione controversa riguarda l’individuazione della «particolare articolazione dell’orario» ai fini dell’attribuzione del diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio, prevista nell’art. 29, comma 2 (“Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell’orario”) del CCNL integrativo Comparto Sanità 2001.

2.2. Tale questione ha già costituito oggetto di esame da parte di questa Corte con la sentenza n. 5547 del 2021, che ha affermato che il cui il diritto alla mensa ex articolo 29, comma 2, CCNI 2001, è legato al diritto alla pausa, a prescindere dal tempo (notturno) della prestazione lavorativa.

In particolare, con la citata sentenza si è evidenziato che:

– la fruizione del pasto – ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto che non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale – è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato;

– la «particolare articolazione dell’orario di lavoro» è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro;

– ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro e, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo;

– il diritto alla mensa si lega ad una obbligatoria sosta lavorativa ma le parti sociali non hanno espresso alcuna volontà che l’attività lavorativa che si collega la pausa sia prestata «nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto»;

– una eventuale volontà delle parti sociali in tal senso avrebbe dovuto essere chiaramente espressa, con l’indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste.

La successiva giurisprudenza di legittima ha confermato i principi già affermati da Cass., n. 5547 del 2021.

In particolare, Cass. n. 15629 del 2021, n. 32113 del 2022, n. 9206 del 2023, 25622 del 2023 hanno richiamato Cass. n. 5547 del 2021 e il principio dalla stessa affermato dandovi continuità: «In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato».

Da ultimo, Cass. n. 25622 del 2023 ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, condividendola. Peraltro, questa Corte con la sentenza n. 15614 del 2015 ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, in analoga fattispecie, con valutazione di merito non adeguatamente censurata, ha considerato i verbali del 13 dicembre 1996 e del 16 dicembre 2008 come “indici di comportamenti delle parti sociali deponenti nel senso di ritenere che un turno continuativo di dodici ore, svolto dalle 20.00 alle 8.00, integrasse quella “particolare articolazione dell’orario” di cui al citato art. 29 del CCNI”.

2.3. Pertanto, ferma la disponibilità delle risorse (in ragione del richiamo di cui al comma 1 dell’art. 29 cit.), che tuttavia nella specie non viene in rilievo, l’Azienda non poteva restringere il campo degli aventi diritto a buono mensa rispetto alle stesse previsioni di cui alla clausola contrattuale in esame (art. 29 CCNI) ed alla “particolare articolazione dell’orario” come interpretata da questa Corte nei termini sopra indicati.

2.4. Ai condivisibili principi giurisprudenziali precedentemente richiamati la decisione impugnata risulta essersi pienamente conformata, nel momento in cui ha ritenuto, da un lato, che il diritto dell’odierna controricorrente deve essere ricondotto allo svolgimento dell’attività lavorativa con modalità orarie tali da generare quell’esigenza di usufruire di una pausa nel lavoro, a propria volta tutelata mediante il riconoscimento del diritto ad una pausa per un pasto, e, dall’altro lato, che tale conclusione trova riscontro in un accordo sindacale che aveva espressamente previsto il riconoscimento del buono pasto anche nel caso di svolgimento del turno di lavoro dalle 20.00 alle 8.00, peraltro proprio alla luce della decisione di questa Corte n. 5547/2021.

3. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, stante la connessione che li caratterizza, e sono inammissibili.

L’inammissibilità discende dalla mancata osservanza di quel principio di specificità che trova diretta enunciazione all’art. 366 c.p.c. e che avrebbe imposto alla ricorrente di procedere alla riproduzione almeno dei passaggi principali – nonché alla localizzazione negli atti di causa – di quel verbale di incontro aziendale in data 16 dicembre 2008 di cui lamentava l’erronea interpretazione ad opera della Corte partenopea.

4. Il quarto motivo di ricorso è infondato. Occorre, in primo luogo, rammentare che – come peraltro correttamente rammentato nella decisione impugnata – il riconoscimento del buono pasto presenta funzione assistenziale e non retributiva (Sez. L – Ordinanza n. 8968 del 31/03/2021; Sez. L – Sentenza n. 5547 del 01/03/2021; Sez. L – Sentenza n. 31137 del 28/11/2019), ponendosi quindi al di fuori dell’ambito di applicazione dall’art. 2948 c.c., operante invece per le pretese retributive.

Proprio la natura assistenziale del riconoscimento del buono pasto ed il suo connettersi alla tutela del benessere psicofisico dei lavoratori – e quindi alla salute dei medesimi – conduce invece alla logica conseguenza per cui il mancato riconoscimento del diritto alla pausa per il pasto ed al meccanismo sostitutivo del relativo buono si traduce in una forma di incidenza sulla salute dei lavoratori, determinando quindi quella che va qualificata come pretesa risarcitoria per violazione dell’art. 2087 c.c. (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 31919 del 28/10/2022; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10414 del 06/05/2013), dovendosi osservare – per completezza – che il tema della decorrenza della prescrizione di tale pretesa non è stato sollevato dalle parti del presente giudizio.

5. Il quinto ed ultimo motivo è, invece, inammissibile.

Questa Corte, infatti, ha reiteratamente escluso la sussistenza di un vizio di motivazione nei casi in cui quest’ultima, anche se basata sul richiamo per relationem ad un precedente giurisprudenziale, esponga comunque il proprio percorso argomentativo e consenta di comprendere la fattispecie concreta e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17403 del 03/07/2018; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 11227 del 09/05/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11508 del 03/06/2016), in quanto tale richiamo rinvia – in evidente ossequio al principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che giustifica ampiamente la mancata ripetizione delle argomentazioni di un orientamento giurisprudenziale consolidato, ove condivise dal giudicante e non combattute dal litigante con argomenti nuovi – appunto alla motivazione risultante dai provvedimenti richiamati, sicché il dovere costituzionale di motivazione risulta adempiuto per relationem, per essere detta motivazione espressa in provvedimenti il cui contenuto è conoscibile (Cass. Sez. L, Sentenza n. 13708 del 03/07/2015).

Occorre, quindi, ribadire che non può considerarsi viziata la motivazione del giudice di merito che affronti e risolva questioni di diritto mediante il semplice richiamo ai precedenti di questa Corte, in ossequio alla funzione nomofilattica da quest’ultima svolta, alla sola condizione che il riferimento al precedente che, anche se non ritrascritto nelle sue parti significative, sia tale da consentire di enucleare, attraverso la sua lettura, il percorso logico giuridico seguito per pervenire alla decisione e che quindi il percorso argomentativo consenta di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato.

Nel caso in esame l’inammissibilità del motivo discende dal fatto che lo stesso si risolve in una generica doglianza, la quale, imputando alla decisione impugnata il mero richiamo ai principi già espressi da questa Corte, omette tuttavia di evidenziare l’assenza nella decisione medesima di un processo deliberativo compiuto ed intellegibile, percorso peraltro presente.

La ricorrente, in sostanza, si limita a dedurre la non pertinenza alla fattispecie concreta dei principi richiamati dalla decisione impugnata, deducendo quindi – per di più genericamente – un vizio che comunque non risulta riconducibile all’ipotesi di motivazione assente o apparente e tentando, quindi, di sollecitare un inammissibile sindacato sul contenuto della motivazione.

6. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

7. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso […]”..