(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di Cassazione. Ordinanza 5 novembre 2024, n. 28433.

Calcolo incremento della pensione integrativa. Esclusione che il beneficio sia suscettibile di assorbimento per effetto degli adeguamenti al trattamento minimo garantito. Accoglimento ricorso principale.

“[…] ritiene il Collegio che, anche in considerazione della cessazione della contribuzione, l’importo da prendere a parametro per la quantificazione del beneficio sia quello cristallizzato alla data di soppressione del fondo ed eventualmente rivalutato alla data di cessazione del rapporto e non, come preteso, la retribuzione percepita alla data di cessazione del rapporto i cui contributi non alimentano più il Fondo e, di conseguenza, non sono utili ai fini del calcolo della prestazione integrativa “.

[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Rilevato che

1. La Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento della domanda di M.C.P., ha ritenuto corretto il calcolo effettuato dall’INPS della misura dell’incremento della pensione integrativa ex art. 2 della legge n. 336 del 1970 utilizzando quale parametro la retribuzione dalla stessa percepita alla data del 30 settembre 1999, quando era stato soppresso il Fondo pensionistico integrativo degli ex dipendenti INPS ai sensi dell’art. 64 della legge n. 144 del 1999 e non invece, come chiesto, alla data di cessazione del rapporto di lavoro il 1 ottobre 2009.

Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto ugualmente corretta la decisione di primo grado laddove ha ritenuto che il beneficio non potesse essere oggetto di futuri riassorbimenti con gli adeguamenti periodici dei redditi pensionistici al minimo garantito stante la natura risarcitoria dell’emolumento.

1.1. Il giudice di secondo grado ha osservato, da un canto, che nella norma di riferimento (art. 2 legge n. 336 del 1970) sono indicate le modalità di determinazione del beneficio e che il richiamo alla cessazione dal servizio deve essere riferito al momento in cui il beneficio viene attribuito e non come parametro per individuare la retribuzione sulla quale operare gli aumenti, che è quella in godimento al momento della soppressione del fondo con applicazione degli aumenti periodici previsti dall’art. 2 della legge n. 336 del 1970.

1.2. Per altro verso ha escluso che il beneficio così calcolato fosse suscettibile di assorbimento per effetto degli adeguamenti al trattamento minimo garantito previsti per la pensione integrativa dall’art. 27 del Regolamento del Fondo.

A tal proposito ha evidenziato che il beneficio non ha natura previdenziale ed il suo importo è sterilizzato dovendosi preservare la finalità latamente compensativa dell’emolumento.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’INPS affidato a un unico articolato motivo.

M.C.P. ha resistito con tempestivo controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un motivo cui si oppone l’Inps con controricorso.

La ricorrente incidentale ha depositato memoria illustrativa.

Ritenuto che

3. Con il suo ricorso l’Istituto censura la sentenza per avere violato e falsamente applicato l’art. 2 della legge n. 336 del 1970 e l’art. 15 della legge n. 724 del 1994 in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost, il comma 7, letto alla luce dell’art. 6 della CEDU.

3.1. Ricorda che la maggiorazione della pensione è stata istituita con l’art. 6 della legge n. 140 del 1985 in favore degli ex combattenti che non potevano ottenere per lo stesso titolo i benefici previsti dalla legge n. 336 del 1970 per gli iscritti a forme previdenziali esclusive dell’AGO sulla base dei medesimi criteri ma con modalità di calcolo uguali per tutti.

Con l’art. 6 n. 7 della legge n. 140 del 1985 e con la legge n. 544 del 1988 all’art. 6 n. 2 è stato stabilito che la maggiorazione è parte integrante del trattamento di pensione che si aggiunge, non viene assorbita dall’integrazione al minimo e non la trasforma in una pensione superiore al minimo.

3.2. Rileva l’INPS che tale ultima previsione manca nella legge n. 336 del 1970 e che quello disciplinato è un beneficio meramente stipendiale che può essere chiesto una sola volta nella carriera di appartenenza (in questa direzione l’interpretazione autentica contenuta nell’art. 4 comma 5 della legge n. 498 del 1992).

Ricorda che ai medesimi soggetti l’art. 2 comma 1 della legge n. 336 del 1970 attribuisce altri benefici all’atto del collocamento in quiescenza.

3.3. Rammenta che con la sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 1976 si è evidenziato che detti benefici, riconosciuti all’atto della pensione, costituiscono una agevolazione economica e di carriera volta a riconoscere il servizio prestato in periodo bellico ma anche a promuovere un esodo volontario programmato in vista di uno snellimento e un adeguamento delle strutture dello Stato.

Ha quindi posto in rilievo che diversa è invece la maggiorazione simbolica della pensione che è prevista per gli autonomi ed i privati dall’art. 6 della legge n. 140 del 1985 in misura uguale per tutti.

3.4. Sostiene allora l’Istituto ricorrente che erroneamente la decisione impugnata ravvisa una analogia tra i due benefici ( ex legge n. 336 del 1970 e legge n.140 del 1985) e sottolinea che si tratta di un’assimilazione che, non prevista dalle norme che li disciplinano, non tiene conto del fatto che presupposto del riassorbimento di maggiori trattamenti in godimento è che il trattamento economico del pensionato migliori.

3.5. Insiste nel ricordare che, al pari dell’indennità integrativa speciale ex legge n. 724 del 1994, il beneficio di cui alla legge n. 336 del 1970 è una maggiorazione del trattamento pensionistico atta ad incrementarlo che non ha, come ritenuto, natura risarcitoria, autonoma e distinta dalla funzione previdenziale.

4. Con il ricorso incidentale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 336 del 1970 e dell’art. 64 della legge n. 144 del 1999 ai sensi dell’ art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. e in relazione all’art 111 Cost ed all’art. 6 della CEDU.

4.1. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto corretto il calcolo del beneficio avendo riguardo alla retribuzione dell’1.10.1999 invece che come dovuto (e richiesto) con riguardo all’ultima retribuzione percepita.

4.2. Osserva che nel senso prospettato dall’assicurato militerebbe l’interpretazione letterale dell’art. 2 della legge n. 336 del 1970 e ritiene perciò che i tre scatti debbano essere calcolati alla data di cessazione dal servizio (22.12.2008).

4.3. Sostiene che, se il legislatore avesse voluto congelare l’importo alla data dell’entrata in vigore della legge n.144 del 1999 (quando era stato soppresso il Fondo) avrebbe dovuto esplicitarlo a maggior ragione tenendo conto delle finalità diverse delle due discipline (risarcitoria di danni patiti a causa bellica del beneficio di cui alla legge n. 336 del 1970 e liquidativa della pensione dell’incremento previsto dalla legge n. 144 del 1999).

4.4. Ricorda che, la legge n. 144 del 1999 si applica a tutte le prestazioni pensionistiche maturate a quella data mentre la legge n. 336 del 1970 ha riguardo solo ai benefici combattentistici da erogare con la pensione integrativa che non sono parte del Fondo dal punto di vista dell’anzianità contributiva atteso che non hanno mai dato luogo a versamenti.

Nel richiamare la circolare dell’INPS n. 91 del 16 aprile 1982 ricorda che alla data della cessazione del Fondo era stato comunicato l’ammontare della pensione integrativa senza alcun riferimento ai benefici combattentistici.

5. Il ricorso dell’INPS è fondato e deve essere accolto.

5.1. Rileva il Collegio che i due compensi – quello previsto dall’art. 2 della legge n. 336 del 1970 e quello disciplinato dall’art. 6 comma 7 della legge n. 140 del 1985 – pur presentando delle analogie sono tra loro diversi.

5.2. Con l’art. 2 della legge n. 336 del 1970 si prevede che per i soggetti di cui all’art. 1 della stessa legge (vale a dire “i dipendenti civili di ruolo e non di ruolo dello Stato, compresi quelli delle Amministrazioni ed aziende con ordinamento autonomo, il personale direttivo e docente della scuola di ogni ordine e grado ed i magistrati dell’ordine giudiziario ed amministrativo, ex combattenti, partigiani, mutilati ed invalidi di guerra, vittime civili di guerra, orfani, vedove di guerra o per causa di guerra, profughi per l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate”) alla cessazione dal servizio ed ai fini della liquidazione della pensione e dell’indennità di buonuscita debbano calcolarsi “tre aumenti periodici di stipendio, o, se più favorevole, un aumento per ogni anno prestato in servizio militare in territorio in stato di guerra un aumento periodico per ogni anno o frazione superiore a sei mesi di servizio militare prestato in territorio dichiarato in stato di guerra, trascorso in prigionia e in internamento, in luoghi di cura e in licenza di convalescenza per ferite o infermità contratte presso reparti combattenti, in prigionia e in internamento.”

Agli stessi dipendenti o ai loro eredi aventi diritto a pensione di riversibilità, può poi essere riconosciuta a domanda, in luogo degli aumenti periodici di stipendio “la qualifica o classe di stipendio paga o retribuzione immediatamente superiore a quella posseduta”.

5.3. Con la legge n. 498 del 1992 è stato interpretato l’art. 1 della legge n. 336 del 1970 nel senso che in sede di successiva ricostruzione economica prevista da disposizioni di carattere generale non si procede al computo delle maggiori anzianità previste dalla legge n. 336 del 1970.

Eventuali maggiori trattamenti spettanti o in godimento, difformi dall’interpretazione autentica delle disposizioni, sono conservati ad personam e riassorbiti con la normale progressione economica di carriera o con i futuri miglioramenti dovuti sul trattamento di quiescenza.

5.4. Diversamente dal beneficio previsto dalla legge n. 336 del 1970 l’art. 6 della legge n. 140 del 1985 prevede, in favore degli ex combattenti di cui all’art. 1 della legge n. 336 del 1970 che non rientrano tra le categorie di personale pubblico indicate dall’art. 1 citato e dunque non hanno diritto al beneficio previsto dall’art. 2 di quella legge, una maggiorazione reversibile fissa del trattamento pensionistico determinato secondo le norme ordinarie individuata nella somma mensile di £ 30.000.

5.5. Al comma 7 dell’art. 6 si prevede espressamente che tale maggiorazione è “parte integrante del trattamento di pensione a tutti gli effetti (…) e non viene riassorbita dall’integrazione al minimo né trasforma la pensione in superiore al minimo”.

5.6. Quest’ultimo è un compenso fisso e uguale per tutti che non incide su altri istituti, quale ad esempio il diritto all’integrazione al minimo della pensione, e viene mantenuto inalterato nel tempo per espressa previsione di legge che si preoccupa di escluderne il riassorbimento.

5.7. Il beneficio previsto dall’art. 2 della legge n. 336 del 1970, invece, è un compenso differenziato e personalizzato, collegato alla retribuzione e pensione in godimento ed alle modalità di progressione della stessa.

5.8. Con riguardo all’art. 6 la Corte costituzionale (Corte cost. n.401 del 2008) ha ricordato che la maggiorazione istituita con tale disposizione, nell’intenzione del legislatore, non è un diritto autonomo ma un trattamento perequativo della pensione subordinato all’acquisizione del diritto al trattamento di quiescenza.

Un beneficio predisposto non “al fine di rendere congrua la prestazione previdenziale in relazione alle necessità degli aventi diritto alla medesima – finalità cui sopperiscono istituti diversi, quali la rivalutazione e la integrazione al minimo – bensì a fornire agli appartenenti a determinate categorie, ritenuti meritevoli di una gratificazione, una elargizione dimostrativa della gratitudine della Nazione.”

6. Orbene sebbene anche il beneficio disciplinato dalla legge n. 336 del 1970 e ss.mm. condivida con quello introdotto con l’articolo 6 della legge n. 140 del 1985 la finalità dimostrativa della gratitudine della Nazione; tuttavia, le due elargizioni sono intrinsecamente differenti per le modalità di calcolo del beneficio da doversi ritenere giustificata la previsione, solo per il secondo di un non assorbimento con quei miglioramenti del trattamento pensionistico che sopravvengano nel tempo.

7. Ne segue l’accoglimento del ricorso proposto dall’Istituto.

8. Deve invece essere rigettato il ricorso incidentale proposto dalla pensionata.

8.1. L’art. 2 della legge n. 336 del 1970 dispone che l’incremento debba essere attribuito, per quanto qui rileva, al solo fine della liquidazione della pensione.

8.2. L’art. 64 comma 3 della legge n. 144 del 1999, che detta le disposizioni in materia di previdenza integrativa degli Enti di cui alla legge n. 70 del 1975, prevede le modalità di calcolo del trattamento pensionistico integrativo da carico dei Fondi per la previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria per i dipendenti dagli enti degli enti pubblici soppressi e per i quali cessa la corresponsione delle aliquote contributive previste per il finanziamento degli stessi.

8.3. Si prevede quindi che il trattamento integrativo sia calcolato sulla base delle normative regolamentari in vigore presso i predetti fondi che restano a tal fine confermate anche ai fini di quiescenza e delle anzianità contributive maturate alla data del 1° ottobre 1999.

Gli importi a quella data cristallizzati sono poi “rivalutati annualmente sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT” e devono essere erogati in aggiunta ai trattamenti pensionistici liquidati a carico dei regimi obbligatori di base.

8.4. Al comma 6 della citata norma sono dettate regole speciali per il calcolo del trattamento minimo, comunque salvaguardato, e di quello massimo e al comma 8 dello stesso articolo si chiarisce ancora che a decorrere dal 1.10.1999, data di soppressione dei Fondi, cessano le contribuzioni dovute alla gestione speciale costituita presso l’INPS e la quota di pensione integrativa è calcolata sulla base delle disposizioni contenute al comma 6 e in relazione all’ anzianità assicurativa utile maturate alla data del 31 dicembre 1998.

8.5. Tanto premesso ritiene il Collegio che, anche in considerazione della cessazione della contribuzione, l’importo da prendere a parametro per la quantificazione del beneficio sia quello cristallizzato alla data di soppressione del fondo ed eventualmente rivalutato alla data di cessazione del rapporto e non, come preteso, la retribuzione percepita alla data di cessazione del rapporto i cui contributi non alimentano più il Fondo e, di conseguenza, non sono utili ai fini del calcolo della prestazione integrativa.

9. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso incidentale di M.C.P. deve essere rigettato mentre in accoglimento del ricorso dell’INPS la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Nei confronti della P., poi, sussistono ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso incidentale proposto da M.C.P.; accoglie il ricorso principale dell’INPS; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità […]”.