Legittimo il licenziamento di chi spia i conti correnti di persone note.
Corte di Cassazione, sentenza 16 Novembre 2021, n. 34717.Corte di cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 34717/2021.
Legittimo il licenziamento di chi spia i conti correnti di persone note.
La Suprema corte, con sentenza n. 34717/2021, ha respinto il ricorso di un addetto al servizio clienti allontanato per “accesso abusivo al sistema informatico”.
È legittimo il licenziamento del dipendente di un Istituto di credito che si metta a curiosare tra i conti correnti di persone note in assenza di qualsivoglia autorizzazione. Così ha deciso la Corte di cassazione, Sezione lavoro, con sentenza n. 34717, depositata il 16 novembre 2021, rigettando il ricorso di un addetto al servizio clienti della filiale Unicredit di Foggia.
A seguito di una segnalazione da parte della Outgoing Foreign Payments Office di UBIS (società del gruppo UniCredit), la banca aveva contestato al dipendente “l’accesso abusivo o comunque non consentito, al sistema informatico per controllare decine di schede-cliente di personaggi dello spettacolo carpendone quindi i dati sensibili”. E quindi lo aveva licenziato.
Il lavoratore impugnava il licenziamento. Il Tribunale di Foggia ordinava la reintegrazione del dipendente. In secondo grado, però, la Corte di appello di Bari confermava il licenziamento, e condannava il lavoratore alla restituzione delle somme percepite.
Il lavoratore proponeva quindi ricorso in Cassazione, anche in ragione, inter alia, della considerazione secondo cui la banca non aveva salvaguardato i dati della “scheda cliente“; pertanto, secondo il suo assunto difensivo, il dipendente aveva ritenuto di “non violare i dati sensibili altrui“. Per la Cassazione però questo motivo non era convincente, e di conseguenza così affermava: “Il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento delle operazioni finanziarie presso un istituto bancario non è di certo sinonimo di accesso indiscriminato a banche dati. Né si può ritenere, nel caso di specie, che sussista un onere di impedire l’accesso a tali dati da parte della banca, che, stante il rapporto fiduciario tra datore e prestatore di lavoro, conceda l’utilizzo di tali strumenti informatici ai propri dipendenti affinché operino in maniera lecita durante la prestazione lavorativa“.
Veniva dunque bocciata la tesi del ricorrente che, afferma la S.C., “ancora una volta, tenta di invocare una sorta di esimente per elidere l’illiceità del suo comportamento, imputando paradossalmente alla banca la mancata predisposizione di adeguate protezioni dei dati dei clienti“.
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