Licenziamento ritorsivo in assenza di giustificato motivo

Cassazione. Ordinanza n. 13781 del 20 Maggio 2021

Cassazione. Ordinanza n. 13781 del 20 Maggio 2021.

Ritorsivo il licenziamento della lavoratrice: l’esternalizzazione non sopprime il posto di lavoro.

di Giovanni Patrizi

Dev’essere dichiarato illegittimo in quanto ritorsivo il licenziamento motivato dall’esternalizzazione delle attività assegnate al dipendente se, in realtà, la posizione lavorativa non viene soppressa e il recesso è disposto a seguito del rifiuto del lavoratore a stipulare una proposta di novazione del contratto con riduzione della retribuzione. Ciò perché la presunta esternalizzazione del servizio non fa venir meno la necessità della posizione lavorativa del licenziato, escludendo così la sussistenza del giustificato motivo oggettivo.

È quanto ha statuito la Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 13781 del 20 maggio 2021, con la quale, nel rigettare il ricorso di un datore lavoro, ha precisato che il riassetto organizzativo, addotto a giustificazione del licenziamento di una lavoratrice, non ha davvero soppresso il posto di lavoro di quest’ultima. Pertanto, il licenziamento era semplicemente una ritorsione nei confronti della lavoratrice che s’era rifiutata di sottoscrivere un accordo che comportava una riduzione della retribuzione.

La Corte di Cassazione ha pertanto aderito alle conclusioni della Corte di appello in riferimento ad una vicenda in cui il datore di lavoro aveva provveduto al recesso per giustificato motivo oggettivo di una sua dipendente, in considerazione dell’esternalizzazione delle attività a lei assegnate.

In realtà, i giudici della Corte d’appello avevano verificato che il predetto giustificato motivo oggettivo era insussistente ed avevano valorizzato, in tale contesto, gli elementi fattuali atti ad individuare la natura ritorsiva del recesso, ponendo in relazione la proposta novativa con il licenziamento stesso e osservando che la presunta esternalizzazione non aveva fatto venir meno la necessità della posizione lavorativa ricoperta dal dipendente, atteso che le mansioni del lavoratore, a partire dal giorno successivo al recesso, erano state espletate da altra impiegata.

Le motivazioni rese dalla Corte di secondo grado sono state pertanto confermate dalla Corte di cassazione, a cui si era rivolta la parte datoriale per contestare la declaratoria di illegittimità del licenziamento. La S.C. ha ritenuto che il percorso motivazionale seguito dalla Corte d’appello fosse congruo e idoneo a consentire un controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio prospettato.

Testo dell’Ordinanza.

Cassazione Civile, Ord. Sez. 6, Num. 13781, Anno 2021. Presidente: DORONZO ADRIANA. Relatore: ESPOSITO LUCIA. Data pubblicazione: 20/05/2021

ORDINANZA sul ricorso 1278-2020 proposto da: […] in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 100, presso lo studio dell’avvocato GIORGIA FALZONE, che la rappresenta e difende; -ricorrente-

Contro

[…], elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO ROTA; -controricorrenti-

avverso la sentenza n. 823/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA ESPOSITO.

Rilevato che:

la Corte d’appello di Bologna, in sede di reclamo ex art. 1 c. 58 I. 92/2012, per quanto in questa sede interessa, confermava le statuizioni del giudice di primo grado che aveva ritenuto ritorsivo, poiché motivato dal rifiuto di stipulare una proposta di novazione con riduzione della retribuzione in godimento, il recesso intimato il 30/11/2016 da […]. di Giovanardi Paolo e Massimo per motivi oggettivi nei confronti di […];

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sulla base di tre motivi, illustrati mediante memorie;

le parti convenute hanno resistito con controricorso;

la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, è stata notificata alla controparte;

Considerato che:

con il primo motivo la ricorrente deduce invalidità della sentenza ai sensi dell’art. 132, art. 118 disp att c.p.c. e art. 11 c. 6 Cost. per manifesta illogicità della motivazione, poiché la Corte d’appello si era fermata a un mero richiamo alle valutazioni del giudice della fase sommaria riguardo alla esternalizzazione, omettendo di motivare sulla portata della stessa e sulle relative conseguenze, in tal modo precludendo di verificare l’iter logico seguito in sentenza, in forza del quale il giudice è giunto ad affermare che nonostante l’esistenza della causale (esternalizzazione di attività amministrativa) le mansioni della ricorrente erano state espletate da altra impiegata;

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966 dell’art. 30 c. 1 I. 183/2010, in relazione all’art. 41 Cost. e all’art. 2094 c.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 5 I. 604/1966, osservando che il giudice aveva dato atto dell’avvenuta esternalizzazione e dell’effettività della ristrutturazione organizzativa, ritenendola però inidonea ai fini del recesso, in tal modo sindacando la congruità della scelta datoriale di procedere all’adozione di sistemi automatizzati ed esternalizzati di gestione;

deduce, ancora, violazione e falsa applicazione dell’art. 18 c. 1 I. 300/1970 in relazione all’art. 1345 c.c., nonché degli artt. 3 I. 604/1966, dell’art. 3 Cost. e degli artt. 2697 c.c. e 1362 c.c., osservando che l’onere della prova del carattere ritorsivo del provvedimento grava sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici e che, inoltre, la Corte d’appello aveva valutato la proposta novativa intervenuta in un momento anteriore al licenziamento, essendo previsto nella bozza di accordo il passaggio al terzo livello contrattuale con una riduzione della retribuzione relativa al solo superminimo;

il primo motivo di ricorso è infondato, ravvisandosi nella motivazione il nucleo minimo sufficiente ai sensi dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte d’appello verificato, mediante un percorso motivazionale congruo e idoneo a consentire il controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, l’insussistenza di un giustificato motivo di licenziamento e valorizzato gli elementi fattuali atti ad individuare la natura ritorsiva dello stesso, in particolare ponendo in relazione la proposta novativa con il recesso e osservando che la presunta esternalizzazione non aveva fatto venir meno la necessità della posizione lavorativa ricoperta dalla […], come comprovato dalla circostanza che le mansioni espletate da quest’ultima sin dal giorno successivo al recesso erano state disimpegnate da altra persona rivelatasi, al di là del formale inquadramento, una “ordinaria impiegata amministrativa pienamente inserita nell’unità produttiva de qua” (cfr., ex multis, Cass. n. 9105 del 07/04/2017: “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento”, conforme Cass. n. 13248 del 30/06/2020);

quanto al secondo motivo, premesso il nucleo motivazionale come sopra individuato, concernente l’accertamento della natura ritorsiva del recesso, non assumono importanza i rilievi mossi riguardo all’esistenza del giusto motivo oggettivo e della congruità della scelta datoriale di procedere all’adozione di sistemi automatizzati ed esternalizzati di gestione, risolvendosi la censura, pur formulata sub specie violazione di legge, nella prospettazione di una rivalutazione del merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017, SU 34476 del 27/12/2019) o di vizi motivazionali preclusi in ipotesi, come quella che ricorre nella specie, di doppia conforme in fatto;

analogamente il terzo motivo, pur in astratto prospettando una violazione attinente all’onere della prova o alle norme in tema di licenziamento ritorsivo, interviene a sindacare la valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e, in particolare, della proposta novativa, in mancanza di censure attinenti alla violazione dei canoni ermeneutici di legge;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va complessivamente rigettato e le spese sono liquidate secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso;

 P.Q. M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi C 4.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13 gennaio 2021.

IL PRESIDENTE Adriana Doronzo.