Legittimo il licenziamento irrogato a seguito di sentenza di patteggiamento per molestie

Cassazione, sentenza n.22075/2020

Cassazione, sent. 13 Ottobre 2020 n.22075: legittimo il licenziamento irrogato a seguito di una sentenza di patteggiamento per molestie.

di Giovanni Patrizi

Violenza privata continuata e di molestie telefoniche; Fatti commessi nei confronti di una collega di lavoro; Sanzione espulsiva in presenza di una sentenza di condanna passata in giudicato; Condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro; Lesione del rapporto fiduciario.

Con la sentenza n. 22075 del 13 Ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha affermato che è legittimo il licenziamento irrogato al dipendente a seguito della sentenza di patteggiamento in sede penale, emessa per le molestie a danno di una collega di lavoro.

I fatti di causa

Un lavoratore impugnava il licenziamento irrogatogli a seguito della sentenza penale di patteggiamento emessa per i reati di violenza privata continuata e di molestie telefoniche commessi nei confronti di una collega. La Corte d’Appello accoglieva il ricorso, sul presupposto che la pronuncia penale non poteva ritenersi idonea a produrre effetti pregiudizievoli per la prestazione lavorativa del ricorrente o, comunque, per l’ambiente di lavoro.

1.La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza n. 130/2018, rigettava l’appello proposto da [datore di lavoro…]. avverso la sentenza del Tribunale di Enna che aveva annullato il licenziamento irrogato il […] a [lavoratore…], a seguito della sentenza penale di patteggiamento emessa il […] dal GIP del Tribunale di Catania per i reati di violenza privata continuata e di molestie telefoniche, fatti commessi nei confronti di una collega di lavoro con la quale il […] aveva intrattenuto una relazione sentimentale.

2.La contestazione disciplinare verteva sulla fattispecie di cui all’art. 56, comma 6, lett. h) del CCNL 2007 dei dipendenti di Poste, che prevede la sanzione espulsiva in presenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario.

3.La Corte di appello premetteva che, benché la sentenza di patteggiamento non sia tecnicamente configurabile come una sentenza di condanna, a questa deve essere equiparata in relazione all’interpretazione delle clausole del contratto collettivo di settore, come affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità. Tanto premesso, osservava che nella fattispecie concreta la condotta di cui alla sentenza di patteggiamento non poteva ritenersi idonea a produrre effetti pregiudizievoli per la prestazione lavorativa o per l’ambiente di lavoro, in quanto

a) il […] nel gennaio 2009, in pendenza del procedimento penale, era stato promosso a direttore della filiale di Enna e ciò denotava come la società riponesse piena fiducia nelle sue capacità gestionali e operative e non avesse colto in lui segnali di instabilità caratteriale o psicologica;

b) il fatto che il dipendente avesse taciuto circa la pendenza del procedimento penale a suo carico era in sé irrilevante, potendo spiegarsi con il carattere personale della vicenda e con il proposito di mantenere la massima riservatezza sulla vicenda, anche al fine di evitare possibili danni all’immagine aziendale;

c) la vicenda peraltro era estranea al contesto territoriale di Enna, dove il ricorrente si trovava a disimpegnare le sue mansioni al tempo del licenziamento;

d) infine, la comune veste dei due protagonisti della vicenda, entrambi dipendenti […], costituiva un mero accidente, atteso che l’appellato e la persona offesa non erano legati da alcun rapporto gerarchico;

e) analoghe considerazioni dovevano essere svolte in ordine al giustificato motivo soggettivo, tenuto conto che la società appellante non aveva dimostrato che dalla condotta del dipendente fossero derivate delle conseguenze tali da compromettere le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa o che fossero idonee ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali.

4.Per la cassazione di tale sentenza, la società […]. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. Il [dipendente…] ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c. p. c..

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, ha affermato che, qualora il contratto collettivo preveda l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento nell’ipotesi di “condanna” del dipendente, ai fini dell’irrogazione del recesso è sufficiente che sia stata pronunciata, nei confronti del lavoratore, sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.

Secondo la S.C.,  si deve, infatti, ritenere che le parti contrattuali abbiano voluto con tale previsione dare rilievo anche al caso in cui l’imputato non abbia negato la propria responsabilità ed abbia esonerato l’accusa dall’onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena.

Nel caso di specie, dunque, la condotta accertata in sede penale integra la giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c., posto che, pur non essendo stata commessa in connessione col rapporto di lavoro, è, secondo la sentenza, sicuramente idonea a ledere il vincolo fiduciario sussistente tra le parti.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, affermando la legittimità del recesso dalla stessa irrogato.

“[…]. Il ricorso è meritevole di accoglimento.

[…]. Il licenziamento oggetto del giudizio attiene alla previsione del CCNL dei dipendenti [della società…], che contempla la possibilità che sia irrogato il licenziamento senza preavviso al lavoratore che riporta una “condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del vincolo fiduciario”.

Il caso in esame attiene ad una sentenza passata in giudicato recante l’applicazione di pena in esito a patteggiamento per reati commessi al di fuori del rapporto di lavoro.

Come osservato anche nella sentenza impugnata, proprio con riferimento a tale previsione contrattuale questa Corte ha affermato che, nel prevedere l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento nell’ipotesi di “condanna” del dipendente, il contratto collettivo si interpreta nel senso che è sufficiente che sia stata pronunciata, nei confronti del lavoratore, sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen., dovendosi ritenere che le parti contrattuali abbiano voluto con tale previsione dare rilievo anche al caso in cui l’imputato non abbia negato la propria responsabilità ed abbia esonerato l’accusa dall’onere della relativa prova in cambio una riduzione di pena (Cass. n. 2168 del 2013, n. 3980 del 2016; v. pure, Cass. n 21591 del 2013, n. 30328 del 2017).

[…]. Tanto premesso, in via generale va osservato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 cod. civ., compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – non può essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto, mentre rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. nei casi in cui gli standard valutativi, sulla cui base è stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, o si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. n. 7305 del 2018)”.