Nota di Luigi Verde
Sentenza della Corte di Giustizia (Quarta Sezione), 22 giugno 2023, nella causa C-823/21, Commissione contro Ungheria (Dichiarazione d’intenti preliminare a una domanda di asilo)
Inadempimento di uno Stato – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione – Procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 6 – Accesso effettivo – Presentazione di una domanda – Normativa nazionale che prevede il previo espletamento di pratiche amministrative al di fuori del territorio dello Stato membro – Obiettivo di sanità pubblica
L’Ungheria ha indebitamente ostacolato la possibilità di presentare una domanda di asilo. L’Ungheria, subordinando la possibilità di presentare una domanda di protezione internazionale al previo deposito di una dichiarazione d’intenti presso un’ambasciata sita in un paese terzo, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione.
1.Nel 2020, in seguito allo scoppio della pandemia di Covid-19, l’Ungheria ha emanato una nuova legge che impone a taluni cittadini di paesi terzi o apolidi, che si trovino nel territorio di tale Stato membro o che si presentino alle sue frontiere e intendano beneficiare di una protezione internazionale, di seguire una procedura preliminare. Tale normativa richiede che essi si rechino presso l’ambasciata ungherese a Belgrado (Serbia) o a Kiev (Ucraina) al fine di depositarvi personalmente una dichiarazione d’intenti relativa alla presentazione di una domanda di protezione internazionale. Dopo l’esame di tale dichiarazione, le autorità ungheresi competenti possono decidere di rilasciare un documento di viaggio a detti cittadini di un paese terzo o a detti apolidi che consenta loro di entrare nello Stato membro per presentarvi siffatta domanda di protezione internazionale.
La Commissione europea ha ritenuto che, adottando tali disposizioni, l’Ungheria sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione e, in particolare, della direttiva recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
La Commissione ha proposto ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia.
2.Nella sentenza qui al nostro esame, la Corte dichiara che l’Ungheria, subordinando la possibilità di presentare una domanda di protezione interazionale, per taluni cittadini di paesi terzi o apolidi che si trovano nel suo territorio o alle sue frontiere, al previo deposito di una dichiarazione d’intenti presso un’ambasciata ungherese sita in un paese terzo e al rilascio di un documento di viaggio che consenta loro di entrare nel territorio ungherese, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù della direttiva.
La Corte constata, anzitutto, che tali persone rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva in parola. Infatti, l’imposizione dell’onere, previsto dal diritto ungherese, di rivolgersi prima alle ambasciate ungheresi a Belgrado o a Kiev non comporta che debba ritenersi che tali persone si siano limitate a presentare una domanda di asilo diplomatico o territoriale presso una rappresentanza all’estero, in relazione alla quale la direttiva non è applicabile.
La Corte esamina, poi, da un lato, se la normativa ungherese costituisca una limitazione dei diritti derivanti dalla direttiva e, dall’altro, se tale limitazione possa essere giustificata alla luce del diritto dell’Unione.
In primo luogo, la Corte rileva che la condizione relativa al previo deposito di una dichiarazione d’intenti non è prevista dalla direttiva e contrasta con il suo obiettivo di garantire un accesso effettivo, facile e rapido alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale.Inoltre, secondo la Corte, tale normativa priva i cittadini di paesi terzi o gli apolidi interessati del godimento effettivo dei loro diritto di chiedere asilo all’Ungheria, quale sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In secondo luogo, la Corte ritiene che la limitazione prevista non possa essere giustificata dall’obiettivo di tutela della sanità pubblica e, in particolare, dalla lotta contro la propagazione del Covid-19, addotta dall’Ungheria.
Se è vero che gli Stati membri possono, in via eccezionale, sottoporre la presentazione di una domanda di protezione internazionale a modalità particolari, destinate a limitare la propagazione di una malattia contagiosa nel loro territorio, è necessario altresì che tali modalità siano idonee a garantire un siffatto obiettivo e non siano sproporzionate rispetto a quest’ultimo. Orbene, la Corte constata che l’obbligo di spostarsi verso un’ambasciata all’estero -che espone così, potenzialmente, i cittadini di paesi terzi o gli apolidi al rischio di contrarre il Covid-19, il quale potrebbe, successivamente, essere diffuso dagli stessi in Ungheria- non può essere considerato una misura atta a contrastare la propagazione della pandemia. Per di più, la procedura istituita dall’Ungheria costituisce un pregiudizio manifestamente sproporzionato ai diritti dei richiedenti protezione internazionale di presentare una domanda di protezione internazionale sin dal loro arrivo a una frontiera ungherese.
Al riguardo, la Corte rileva che tale Stato membro non ha dimostrato che non potessero essere adottate altre misure che consentissero di conciliare adeguatamente, da un lato, l’effettività del diritto per ogni cittadino di un paese terzo o apolide di presentare una domanda di protezione internazionale nel loro territorio o alle loro frontiere e, dall’altro, la lotta contro malattie contagiose.
3. “[…] Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:
L’Ungheria, subordinando la possibilità, per taluni cittadini di paesi terzi o apolidi che si trovino nel territorio dell’Ungheria o alle frontiere di tale Stato membro, di presentare una domanda di protezione internazionale al previo deposito di una dichiarazione d’intenti presso un’ambasciata ungherese sita in un paese terzo e al rilascio di un documento di viaggio che consenta loro di entrare nel territorio ungherese, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 6 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale […]”.
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