Il compimento dell’età pensionabile determina soltanto il venir meno del regime di stabilità ma non anche l'automatica estinzione del rapporto.
Cassazione, ordinanza 24 gennaio 2022, n. 2010Corte di Cassazione, Ordinanza 24 gennaio 2022, n. 2010.
1.Il compimento dell’età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l’attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia da parte del lavoratore, determinano soltanto il venir meno del regime di stabilità del rapporto (con conseguente recedibilità “ad nutum”) ma non anche l’automatica estinzione dello stesso, che, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, è destinato a proseguire, con diritto del lavoratore alla retribuzione.
2.Dal testo dell’Ordinanza 24 gennaio 2022, n. 2010.
[…] Rilevato che
1.la Corte d’appello di Catania, pronunziando sull’appello principale di C.C. s.p.a. e sull’appello incidentale di G.S., ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la illegittimità del recesso intimato alla S. nell’ambito di procedura di licenziamento collettivo e condannato la datrice di lavoro al pagamento in favore della lavoratrice di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal recesso al pensionamento del 1.1.2014 oltre accessori, alla regolarizzazione contributiva ed al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, respingendo la domanda di risarcimento del danno alla salute avanzata dalla S.;
2.per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società datrice di lavoro sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
3.entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.l. cod. proc. civ.;
Considerato che
1.con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 4 e 5 l. n. 223/1991 censurando la sentenza impugnata per avere, in violazione delle norme richiamate e sulla base di una << lettura artificiosa>> della comunicazione del 27 aprile 2011, di avvio della procedura di mobilità, affermato l’incompletezza del relativo contenuto e svolto un sindacato in merito agli specifici motivi della riduzione del personale, sindacato che esulava dai limiti del controllo giurisdizionale essendo riservato alla valutazione ex ante della RSA e delle OO.SS. la verifica dei presupposti della procedura di mobilità; in concreto tale controllo era stato effettivamente ed efficacemente esercitato secondo quanto desumibile dal verbale di accordo sindacale in data 27 luglio 2011 che aveva concluso la procedura collettiva;
2.con il secondo motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo rappresentato dall’accordo sindacale del 20 luglio 2011 che aveva definito la procedura di licenziamento collettivo con soluzione, condivisa dalle parti, consistente nel trasformare i rapporti di lavoro degli operatori sociosanitari e quello della S. da full time in part time, accordo che si era concluso con l’adesione degli operatori socio sanitari coinvolti e rifiutato dalla sola S.;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 18, comma 5, l. n. 300/197 nel testo antecedente alla modifica introdotta dalla legge n. 92/2012; censura la sentenza impugnata per avere attribuito alla S. l’indennità sostitutiva della reintegra pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto sul presupposto che la stessa, all’udienza del 30.3.2015, aveva dichiarato al Giudice di primo grado di essere dal 1.1.2014 titolare di pensione e di optare per il pagamento della indennità sostitutiva. Sostiene che tale facoltà non era più esercitabile in quanto il diritto alla reintegrazione era venuto meno per cause esterne alla volontà datoriale (pensionamento, cessazione dell’attività aziendale ecc.);
4.preliminarmente deve essere dichiarata inammissibile l’eccezione di giudicato esterno formulata dalla parte controricorrente solo in memoria e quindi tardivamente e non sorretta dalla trascrizione del relativo testo, come prescritto (Cass. n. 5508/2018);
5.le censure articolate con il primo motivo di ricorso sono in parte inammissibili ed in parte infondate;
5.1. in fatto si premette che, per come pacifico, nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo la società aveva rappresentato quale motivo dell’esubero la decisione di sopprimere dall’organigramma aziendale il comparto degli operatori sociosanitari e, conseguentemente, la figura professionale di coordinatore dei detti operatori rivestita dalla S.;
5.2. la Corte di merito ha condiviso la valutazione di prime cure che aveva ravvisato un deficit informativo nella comunicazione ex art. 4 comma 3 l. n. 223/1991 in quanto, per come emerso dalla documentazione in atti e dalla istruttoria espletata, la S. aveva sempre svolto compiti ben più ampi di quelli di coordinatrice degli operatori sociosanitari; né giovava alla società il fatto che nella detta comunicazione tra i profili professionali in esubero fosse indicato quello di coordinatore DS, proprio della S., atteso che il contenuto professionale di tale figura può ricomprendere unità che ricoprono anche altre funzioni in relazione alla attività, alla struttura della casa di cura e che il programma di riorganizzazione esposto dalla società poneva la necessità di sopprimere il profilo professionale di coordinatrice di livello DS in chiara ed inequivocabile connessione causale con l’esigenza di soppressione del comparto degli operatori socio sanitari; tanto emergeva sia dal chiaro tenore testuale delle espressioni utilizzate nella lettera di apertura della procedura collettiva sia dall’interpretazione sistematica del relativo contenuto. Secondo la Corte distrettuale la correlazione posta dalla società tra la soppressione dall’organico della figura professionale degli operatori sociosanitari e la soppressione del ruolo di coordinatore aveva indotto in errore le organizzazioni sindacali; lo svolgimento, confermato dalla istruttoria espletata, da parte della S. all’interno della Casa di Cura di ulteriori ed articolati compiti oltre quello di coordinatrice degli operatori socio sanitari escludeva infatti in radice il nesso di derivazione causale tra il programma di riduzione del personale e la scelta di sopprimere il posto di lavoro ricoperto dalla originaria ricorrente;
5.3. le ragioni alla base della conferma della decisione di primo grado in punto di incompletezza della comunicazione di avvio e di insussistenza del nesso causale tra la scelta organizzativa della società e la soppressione del posto di lavoro della S. non sono validamente incrinate dalle censure articolate dalla società datrice di lavoro;
5.4. invero, la critica all’interpretazione della comunicazione di avvio della procedura fatta propria dalla Corte di merito sulla base di specifici elementi testuali e sistematici (sentenza, pag. 6, primo capoverso) non è veicolata mediante la deduzione della violazione di specifiche regole legali dell’interpretazione ai sensi degli artt. 1362 e sgg. cod. civ., come necessario (Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/1997), dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dalla ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010);
5.5. è da escludere inoltre che la Corte distrettuale abbia travalicato i limiti propri del controllo giurisdizionale in tema di licenziamento collettivo posto che essa non è entrata nel merito della opportunità della iniziativa imprenditoriale di sopprimere il reparto degli operatori sociosanitari, la cui valutazione è effettivamente riservata al controllo ex ante delle organizzazioni sindacali, ma si è limitata a rilevare l’assenza di nesso casuale tra la ( legittima) scelta di ridimensionamento dell’organico in relazione agli operatori sociosanitari e la soppressione del posto occupato dalla S.; il sindacato giurisdizionale si è svolto quindi in un ambito – che gli è proprio – di verifica dell’effettività delle ragioni addotte alla base del licenziamento collettivo in relazione a quanto rappresentato dalla società medesima nella comunicazione di avvio; la decisione impugnata si rivela pertanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, fermo restando il controllo sindacale ex ante sulla iniziativa imprenditoriale di ridimensionamento dell’impresa, resta pur sempre riservata al giudice di merito la verifica della correttezza procedurale dell’operazione, ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra progettato ridimensionamento e singoli provvedimenti di recesso (Cass. n. 30550/2018, Cass. n. 5089/2009, Cass. n. 21541/2006);
5.6. la circostanza del positivo esito della procedura collettiva per effetto del raggiungimento di un accordo con le organizzazioni sindacali non assume, in relazione alla disciplina vigente ratione temporis, antecedente alla modifica introdotta dall’art. 1 comma 45, l. n. 92/2012 al comma 12 dell’art. 4 l. n. 223/1991, alcuna efficacia sanante dei riscontrati vizi della comunicazione di avvio, come viceversa sembra sostenere l’odierna ricorrente; secondo l’insegnamento di questa Corte infatti l’accordo di cui all’art. 4, comma 5, della l. n. 223 del 1991, non costituisce una sanatoria dei vizi della procedura, restando per il giudice l’obbligo della verifica in sede di merito circa l’effettiva completezza della comunicazione (Cass. n. 7837/2018, Cass. n. 193/2016);
6.il secondo motivo di ricorso è inammissibile per essere la deduzione del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. preclusa dalla esistenza di “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348, ter, ultimo comma cod. proc. civ.;
7.il terzo motivo di ricorso deve essere respinto in continuità con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale il compimento dell’età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l’attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia da parte del lavoratore, determinano soltanto il venir meno del regime di stabilità del rapporto (con conseguente recedibilità “ad nutum”) ma non anche l’automatica estinzione dello stesso, che, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, è destinato a proseguire, con diritto del lavoratore alla retribuzione (Cass. n. 521/2019, Cass. 13181/2018); in particolare, Cass. n. 13181/2018 ha precisato che nel caso in cui tali condizioni si perfezionino nel periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della sentenza con cui venga accertata l’insussistenza di una sua idonea giustificazione, non è preclusa l’emanazione del provvedimento di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ex art. 18 l. n. 300 del 1970, mentre il rapporto di lavoro è suscettibile di essere estinto solo per effetto di valido (diverso) negozio di recesso. Da tanto consegue che poiché al momento dell’esercizio dell’opzione il rapporto di lavoro della S. era stato formalmente ricostituito ex tunc per effetto dell’annullamento del recesso datoriale e che tanto, per come pacifico, comportava, in assenza di un diverso e valido atto di recesso, il diritto della lavoratrice alla reintegrazione, ben poteva l’interessata rinunziare alla reintegra esercitando l’opzione di cui all’art. 18, comma 5, St. lav. nel testo all’epoca vigente, anteriore alla novella della l. n. 92/ 2012;
6.1. la circostanza che all’epoca dell’esercizio dell’opzione la S. fosse già titolare di trattamento pensionistico non si configura quale causa ostativa alla reintegrazione e, quindi, all’”esercizio dell’opzione per la indennità sostitutiva in quanto, come correttamente evidenziato dalla Corte distrettuale, il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato poste che la disciplina in tema di incompatibilità – totale o parziale – tra trattamento pensionistico e percezione del reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica ma non l’invalidità del rapporto di lavoro (Cass. 16136/2018, Cass. n. 16143/2014, Cass. n. 13871/2007);
8. al rigetto del ricorso segue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite con condanna della ricorrente, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, al pagamento dell’ulteriore contributo ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, in € 200,00 per esborsi oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto […]”.
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