Contestazione disciplinare e sentenza penale: valutazione autonoma.

Cassazione, Ordinanza 31 gennaio 2022, n. 2871

Corte di Cassazione, Ordinanza 31 gennaio 2022, n. 2871.

La contestazione disciplinare a carico del lavoratore non è assimilabile alla formulazione dell’accusa nel processo penale, assolvendo esclusivamente alla funzione di consentire all’incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa: essa va, quindi, valutata in modo autonomo rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale.

Licenziamento per giusta causa. Manomissione di un contatore. Abusivo allaccio alla rete elettrica.- Dimostrazione del fatto addebitato.

Dal testo dell’ordinanza.

“[…] Rilevato che

1. Con sentenza del 3 aprile 2019, la Corte d’appello di Napoli, ha rigettato il reclamo avverso la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da P.P. nei confronti della E.D. S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria di nullità o illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore in data 23/05/2015.

1.1 il giudice di secondo grado, in particolare, condividendo l’iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto la tempestività della contestazione e la congrua dimostrazione del fatto addebitato consistente nella manomissione di un contatore e nell’abusivo allaccio alla rete elettrica.

2.Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.P., affidandolo a due motivi.

2.1. Resiste, con controricorso assistito da memoria, E.-Distribuzione S.p.A.

Considerato che

1.Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

1.1. con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 652 cod. proc. pen., allegandosi la violazione del canone dell’efficacia in sede civile del giudicato penale.

2.1. Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Va rilevato, infatti, quanto all’omessa motivazione su un fatto decisivo, consistente nella presunta discrasia fra la manomissione del contatore, considerata acclarata dalla Corte, con il conseguente abusivo utilizzo di energia elettrica e la intervenuta assoluzione in sede penale per furto, che, riguardata la vicenda sotto il profilo della violazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’alt. 54 col, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

quanto alla denunzia di mancanza o apparenza della motivazione, va rilevato che siffatta violazione può configurarsi (come ribadito, di recente, da Cass. n. 2397 del 2021) soltanto qualora la sentenza d’appello sia stata emessa in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva motivazione e tale ipotesi non ricorre senza dubbio nel caso di specie.

In esso, infatti, la Corte ripercorre tutto l’iter probatorio che ha condotto a reputale sussistente l’illecito disciplinale e la giusta causa di licenziamento alla luce delle risultanze probatorie da cui è risultato provato l’abusivo utilizzo di energia elettrica.

3.Anche il secondo motivo è infondato;

3.1. E’ opportuno evidenziare, con riguardo ai rapporti fra contestazione disciplinare e sentenza penale che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cfr., sul punto, Cass. n. 13 del 2015; Cass. n. 9590 del 2018) la contestazione disciplinare a carico del lavoratore non è assimilabile alla formulazione dell’accusa nel processo penale, assolvendo esclusivamente alla funzione di consentire all’incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa: essa va, quindi, valutata in modo autonomo rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale.

Ne consegue che, ove il lavoratore sia stato assolto con sentenza dibattimentale dichiarata irrevocabile (quale sia la formula utilizzata), i fatti ivi accertati, ancorché non decisivi ai fini delle responsabilità penale, possono conservare rilevanza, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., ai fini del rapporto di lavoro, senza che resta preclusa, per effetto dell’assoluzione, la cognizione della domanda da parte del giudice civile (in questi termini, Cass. 13/2015, cit.).

3.2. In particolare, ai sensi dell’art. 652 (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 (nell’ambito di altri giudizi civili) cod. proc. pen., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa”; l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. (cfr., in questi termini, Cass. n. 3376 del 2011; Cass. n. 25538 del 2013; Cass. n. 4764 del 2016).

3.3. Nel caso di specie, non sussistendo alcun vincolo per il giudice rispetto all’assoluzione del P. effettuata ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen., correttamente, con valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha utilizzato gli elementi probatori a propria disposizione per formulare il giudizio di responsabilità del ricorrente e pervenire a ritenere gravemente leso il rapporto fiduciario intercorrente con la società datrice.

4.Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi euro 4000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto […]”.