Da quando decorre la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato ?
Nota di Giovanni Patrizi
La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 6051, depositata il 28 febbraio 2023, ha chiesto alle Sezione Unite di pronunciarsi sulla decorrenza, nel lavoro pubblico contrattualizzato, della prescrizione del diritto al pagamento dei crediti retributivi dei lavoratori, al fine della ricostruzione dell’anzianità di servizio in caso di stabilizzazione.
Corte di cassazione. Ordinanza n. 6051/2023 del 28 Febbraio 2023
1.La Sezione Lavoro ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del procedimento al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite delle seguenti questioni, ritenute di massima di particolare importanza:
a) se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto di lavoro, a termine o a tempo indeterminato, o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione dell’ultimo, come accade nel lavoro privato;
b) se, nell’eventualità di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita dalla stabilizzazione presso la stessa P.A. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione;
c) se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi sub b), sia comunque preclusa, interrotta o sospesa ove la P.A. neghi il riconoscimento del servizio pregresso dei dipendenti.
2.I fatti.
Un ricercatore chiedeva che fosse accertato il suo diritto all’inquadramento nella fascia stipendiale superiore a quella di assunzione che avrebbe maturato considerando, per intero, il periodo di lavoro a tempo determinato precedente la stabilizzazione disposta ex L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, con condanna dell’INAIL a ricostruire l’anzianità di servizio ed a corrispondere le conseguenti differenze retributive maturate e maturande.
Il Tribunale accoglieva il ricorso rigettando l’eccezione di prescrizione sul presupposto che il relativo dies a quo non potesse che decorrere dal momento della stabilizzazione del rapporto di lavoro in quanto durante la pendenza dei rapporti di lavoro a termine il dipendente non ha la certezza della loro continuazione e si trova in una condizione di timore nei confronti del datore di lavoro, tipica dei rapporti non stabili.
L’INAIL ricorreva in Appello lamentando la violazione degli artt. 2941, 2942 e 2948, n. 4, c.c. in quanto dalla documentazione prodotta emergeva che fra le parti erano intercorsi dei rapporti di lavoro a tempo determinato regolari, dotati di stabilità, con la conseguenza che la prescrizione del diritto menzionato sarebbe iniziata a decorrere già prima della regolarizzazione.
La Cassazione, adita dall’INAIL, preliminarmente osservava che l’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori il cui rapporto sia assistito da “stabilità reale” e dei lavoratori a tempo determinato nel pubblico impiego decorre in costanza di rapporto, si era formato principalmente sin dagli anni Sessanta, ma l’evoluzione del contesto socioeconomico nel tempo ha influito sui presupposti di tali decisioni. Il presupposto per affermare la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto risiedeva nell’assunto che nei contratti a termine “la non rinnovazione del rapporto si configurava quale evento avente carattere di normalità”, il che escluderebbe il timore (il metus).
Oggi, al contrario, la detta rinnovazione è prassi sia nell’impiego privato che in quello pubblico. È pertanto impensabile escludere che nei contratti a tempo determinato esista un metus del lavoratore consistente nella mancanza di aspettative sulla conclusione di un contratto a tempo indeterminato. L’emanazione, prima della cd. Legge Fornero e poi del D.Lgs. n. 23 del 2015, ha di fatto inciso sul tema portando ormai ad escludere, per i lavoratori privati, il regime della stabilità reale, con l’effetto che il termine di prescrizione oggetto di causa torna a decorrere per loro dalla fine del rapporto, essendo venuta meno la tutela fornita dalla L. n. 300 del 1970 in termini di “stabilità reale” generalizzata.
Non può sottovalutarsi inoltre, aggiunge la S.C. che la semplice c.d. stabilità reale non costituisce valido strumento di difesa contro la pluralità di strumenti ritorsivi nella disponibilità del datore di lavoro e la situazione diventa ancora più complessa nei casi di rapporti a termine con la P.A., abusivamente reiterati nel tempo, che si traducano nell’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato a seguito di una procedura di stabilizzazione, come nella controversia in trattazione.
La reiterazione dei contratti a termine con le modalità dianzi riferite, sia laddove seguita da stabilizzazione, sia quando superi i tempi di legge, non può dunque essere compatibile, in base ad una valutazione ex ante, con il decorso della prescrizione dei crediti retributivi in costanza di rapporto.
Ciò in quanto, osserva la S.C., in primis essa comporta “la nascita di un metus oggettivo del lavoratore in ordine all’esercizio di siffatti crediti, atteso che la detta reiterazione crea un assoggettamento del dipendente dalla P.A., che ben potrebbe cessare di confermarlo (legittimamente) senza regolarizzarlo”. Inoltre “poiché, in questa maniera, è istituzionalizzata una condizione di strutturale inferiorità del medesimo lavoratore, che esegue la sua prestazione sperando di beneficiare di una procedura di stabilizzazione, rispetto al datore di lavoro, condizione che va ben oltre il metus ed è incompatibile con l’applicazione ai contratti de quibus delle comuni regole civilistiche, anche sulla prescrizione, basate sulla parità fra le parti negoziali”.
Nella controversia in parola, l’aspetto da evidenziare è rappresentata dalla condotta della P.A. la quale, pur essendo a conoscenza della pregressa attività come ricercatore a tempo determinato del suo dipendente, poi assunto in seguito ad una procedura di stabilizzazione a tempo indeterminato, aveva omesso il riconoscimento della relativa anzianità di servizio, così azzerando completamente l’anzianità relativa al servizio prestato. L’affermazione della decorrenza in costanza di rapporto della prescrizione, quindi, agevolerebbe oltremodo un soggetto, come la P.A., che, invece di riconoscere il servizio pregresso in base ad una normativa, anche europea, che era tenuta ad applicare, aveva consapevolmente negato i diritti del suo dipendente, rendendone più difficile l’esercizio.
3. “Affermare, quindi -conclude la Corte- che la Pubblica amministrazione, in circostanze come quelle in esame, può beneficiare della decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto, rischierebbe di consentire un vero e proprio abuso del diritto, che si traduce in una violazione non solo della nostra Costituzione (in particolare, degli articoli 3 e 97 Cost.) e dei canoni civilistici di correttezza e buona fede che la Pubblica Amministrazione deve rispettare nel suo ruolo di datore di lavoro, ma anche della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e, soprattutto, del diritto UE in materia di contratti di lavoro a termine e delle relative sentenze della CGUE.
Alla luce delle considerazioni che precedono, tenuto conto dei rilevanti cambiamenti normativi e giurisprudenziali e della notevole modifica delle condizioni economico-sociali che hanno interessato il diritto del lavoro dopo le decisioni […] della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, nonché della […] giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e della Corte di giustizia dell’Unione Europea nonché dei progressi della dottrina in materia di prescrizione, anche per assicurare la compatibilità comunitaria della disciplina nazionale, venendo in rilievo una diversità di regime tra lavoro a termine nel settore privato e lavoro a termine nel settore pubblico contrattualizzato che quando è nata (nel 1966) rispecchiava il quadro normativo e giurisprudenziale all’epoca vigente ma che oggi non trova più giustificazione e risulta anzi lesiva non solo del diritto UE ma soprattutto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (Cost., articolo 3) e del diritto al lavoro (Cost., articoli 4 e 35) diritto, quest’ultimo, che è fondante per il nostro ordinamento (Cost., articolo 1) ed è tutelato dalla Costituzione in tutte le sue forme e applicazioni (vedi, per tutte: Corte Cost., sentenza n. 150 del 2020) – il Collegio ritiene opportuno rimettere all’attenzione delle Sezioni Unite i seguenti quesiti:
a)se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto di lavoro, a termine o a tempo indeterminato, o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione dell’ultimo, come accade nel lavoro privato;
b) se, nell’eventualità’ di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita dalla stabilizzazione presso la stessa P.A. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione;
c) se la prescrizione dei crediti retribuitivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi sub b), sia comunque preclusa, interrotta o sospesa ove la P.A. neghi il riconoscimento del servizio pregresso dei dipendenti.
Trattandosi di “questione di massima di particolare importanza”, ai sensi del comma 2 dell’articolo 374 c.p.c., sussistono, ad avviso del Collegio, le condizioni per la rimessione degli atti al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle Sezioni Unite” […]
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