(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 5 agosto 2024, n. 22051.
Licenziamento disciplinare. Controlli sull’adempimento della prestazione lavorativa. Indagini effettuate tramite agenzia investigativa. Accertamento circa la riferibilità del controllo investigativo. Ricorso proposto. Rigetto.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Rilevato che
1. la Corte di Appello dell’Aquila, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato, sebbene con diversa motivazione, la decisione di primo grado con cui era stato ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a C.C. da V.G. s.r.l. all’esito di indagini effettuate per il tramite di un’agenzia investigativa;
2. la Corte territoriale, in sintesi e per quanto qui rileva, ha premesso che la società esercente attività di vigilanza privata non aveva mai “negato che le indagini commissionate all’agenzia investigativa riguardassero l’attività lavorativa delle guardie particolari giurate, categoria alla quale apparteneva il C.”;
la Corte, quindi, richiamata la giurisprudenza di legittimità in materia ed esclusa l’applicabilità dell’art. 4 S.d.L. (invece ritenuta in prime cure), ha considerato assoggettata la fattispecie concreta alla disciplina dell’art. 3 della l. n. 300 del 1970;
ha dunque argomentato: “poiché non è in contestazione che nel caso di specie la reclamante si è rivolta ad un’agenzia investigativa per svolgere controlli sull’adempimento della prestazione lavorativa, essa ha infranto la disposizioni di legge sopra riportate, per cui le prove raccolte in detto contesto, che hanno evidenziato comportamenti disciplinarmente rilevanti del C., non possono essere utilizzate”;
3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la soccombente con due motivi, cui ha resistito l’intimato con controricorso;
parte ricorrente ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. i motivi del ricorso possono essere sintetizzati come di seguito:
1.1. col primo si denuncia: “Violazione o falsa applicazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 3 e 4 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)”; si sostiene che la Corte territoriale, “proprio perché ha ritenuto di applicare l’art. 3 e non l’art. 4, avrebbe dovuto ritenere lecito il controllo, anche se questo fosse stato disposto al fine di verificare il corretto adempimento delle prestazioni lavorative cui lo stesso [lavoratore] era tenuto”;
1.2. il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 S.d.L. nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., censurando la motivazione impugnata per avere ritenuto che il controllo del datore di lavoro avesse riguardato, direttamente o indirettamente, l’attività lavorativa, piuttosto che l’accertamento di condotte illecite del lavoratore, poste al di fuori del divieto di cui alla disposizione statutaria richiamata;
2. il primo motivo è infondato in quanto la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, ancora recentemente ribadita da Cass. n. 17004 del 2024, cui si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per ogni ulteriore aspetto;
2.1. infatti, la giurisprudenza di legittimità formatasi nell’interpretazione degli artt. 2 e 3 dello S.d.L. è chiara nel distinguere:
la disposizione di cui all’art. 3 della legge n. 300 del 1970 – secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa devono essere comunicati ai lavoratori interessati – non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore di controllare direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione: ciò indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo il quale, attesa la particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, soprattutto quando siffatta modalità trovi giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei dipendenti (Cass. n. 2188 del 2020, che richiama Cass. n. 829 del 1992; Cass. n. 7889 del 1996; Cass n. 3039 del 2002);
ma l’adempimento della prestazione può essere legittimamente controllato dall’imprenditore, anche occultamente, sempre che ciò avvenga “direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo”;
2.2. in ogni altro caso, il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza (cfr. Cass. n. 9167 del 2003; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 21621 del 2018; Cass. n. 25287 del 2022);
2.3. poiché la censura in esame sostiene erroneamente che il controllo sulla prestazione lavorativa possa essere effettuato mediante agenzie investigative, la stessa non può trovare accoglimento;
3. il secondo motivo è inammissibile, sia perché denuncia la violazione di una norma di diritto (l’art. 4 S.d.L.) non applicata dalla Corte territoriale, sia perché l’accertamento circa la riferibilità del controllo investigativo allo svolgimento dell’attività lavorativa rappresenta una indagine che compete al giudice del merito, involgendo inevitabilmente apprezzamenti di fatto;
4. conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso […]”.
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