(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Sentenza 19 agosto 2024, n. 22924
Corresponsione NASpI. Decadenza dalla prestazione. Riduzione della prestazione. Comunicazione attività lavoro autonomo preesistente. Accoglimento.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 22.11.2022, la Corte d’appello di Torino ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato parzialmente insussistente l’indebito contestato dall’INPS a D.M.B. e riveniente dall’avvenuta corresponsione della prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (c.d. NASpI).
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la decadenza dalla prestazione di cui all’art. 10, d.lgs. n. 22/2015, potesse conseguire soltanto alla mancata comunicazione di un’attività intrapresa successivamente alla corresponsione della prestazione stessa, mentre nel caso di specie, in cui la lavoratrice assicurata non aveva comunicato nei trenta giorni successivi alla domanda di prestazione l’esistenza di un rapporto lavorativo già in atto, doveva procedersi unicamente alla riduzione della prestazione corrisposta in relazione al reddito percepito.
Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura che ha successivamente illustrato con memoria. D.M.B. ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione degli artt. 9, comma 3°, e 11, lett. b), d.lgs. n. 22/2015, con riferimento all’art. 12 prel. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la decadenza dalla prestazione si verifichi soltanto quando l’interessato, successivamente alla concessione della prestazione, intraprenda una nuova attività lavorativa e non anche quando, come nella specie, si tratti di attività preesistente: ad avviso dell’Istituto, siffatta interpretazione si porrebbe in contrasto con la lettera e la ratio della normativa, per come interpretata anche da questa Corte di legittimità da ult. con le pronunce nn. 846 e 1053 del 2024.
Il motivo è fondato.
Va premesso che l’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 22/2015, stabilisce, per quanto qui rileva, che “il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, dalla quale ricava un reddito […], deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne”, mentre il successivo art. 11 commina, al comma 1, lett. c), la “decadenza dalla fruizione della NASpI” nel caso di “inizio di un’attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale senza provvedere alla comunicazione di cui all’articolo 10, comma 1, primo periodo”.
Nell’interpretare il combinato disposto di tali disposizioni, questa Corte – come ricordato dall’Istituto ricorrente nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c. – ha già avuto modo di chiarire che la fattispecie cui si correla la decadenza è rappresentata dall’omessa comunicazione all’INPS della circostanza della contemporaneità tra il godimento del trattamento di disoccupazione e lo svolgimento dell’attività lavorativa autonoma da cui possa derivare un reddito, non essendo al contrario necessario che tale attività sia stata intrapresa in epoca successiva all’inizio del periodo di percezione della NASpI e dovendo semmai in tal caso correlarsi il decorso del termine di decadenza alla proposizione della domanda amministrativa volta a conseguire la prestazione (Cass. nn. 846 e 1053 del 2024).
Si tratta di un’interpretazione cui qui va senz’altro data continuità, non potendo sul punto condividersi l’opposto convincimento dei giudici territoriali secondo cui, prevedendo testualmente l’art. 10, comma 1, che l’obbligo di comunicazione gravi sull’assicurato che “intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale”, la sua estensione al caso dell’assicurato che ometta di dare comunicazione nei trenta giorni successivi alla domanda di un’attività lavorativa preesistente si risolverebbe in una interpretazione analogica, vietata per le norme in materia di decadenza dall’art. 14 prel. c.c.: anzitutto perché, sul piano letterale, il verbo “intraprendere” può intendersi non solo nel senso letterale di “iniziare”, ma anche in quello di “applicarsi con maggiori energie e per un maggior tempo che per il passato” (così, seppure in fattispecie differente, già Cass. n. 5951 del 2001); in secondo luogo perché, sul piano sistematico, tale interpretazione appare avvalorata dalla decadenza prevista dall’art. 11, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 22/2015, in caso di “inizio di un’attività lavorativa subordinata senza provvedere alle comunicazioni di cui all’articolo 9, commi 2 e 3”, ove si osservi che, ai sensi dell’art. 9, comma 3, cit., “il lavoratore titolare di due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale che cessi da uno dei detti rapporti […] ha diritto di percepire la NASpI […] a condizione che comunichi all’INPS entro trenta giorni dalla domanda di prestazione il reddito annuo previsto”.
Proprio per ciò, deve ribadirsi che l’applicazione della previsione dell’art. 11, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 22/2015, al caso dell’assicurato che, nel termine di trenta giorni dalla data di presentazione della domanda di prestazione, abbia omesso di comunicare all’INPS il contemporaneo svolgimento di attività di lavoro autonomo, rappresenta un risultato coerente con un’interpretazione del combinato disposto dell’art. 10, comma 1, e dell’art. 11, comma 1, lett. c), cit., che, tenendo conto dell’“intenzione del legislatore”, di cui all’art. 12 prel. c.c., si limita ad estendere la regula juris della decadenza ad una fattispecie da reputarsi implicitamente considerata dalla norma, che nella specie – com’è d’uso dire con antica espressione – minus dixit quam voluit (così già Cass. n. 11543 del 2024); e trattandosi pertanto non già d’interpretazione analogica, bensì estensiva, essa deve reputarsi possibile anche in relazione a norme eccezionali, come sicuramente sono quelle dettate in tema di decadenza (cfr. in tal senso Cass. S.U. n. 1919 del 1990 e, più di recente, Cass. S.U. n. 11930 del 2010).
Il ricorso, pertanto, va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione […]”.
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