(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

La Corte Costituzionale, con sentenza 10 Aprile 2025, numero 40, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Padova sulla norma che esclude i richiedenti asilo dall’assegno temporaneo per figli minori.

Corte Costituzionale . Sentenza 10 aprile 2025, n. 40

Straniero – Maternità e infanzia – Assegno temporaneo per figli minori – Requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno che devono essere posseduti dal richiedente – Previsione, nel caso di richiedente cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, del requisito del possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale – Inclusione del permesso di soggiorno per richiesta asilo nell’elenco dei titoli legittimanti per richiedere l’assegno temporaneo – Irragionevole esclusione dal godimento dell’assegno temporaneo di una categoria di soggetti che si trovano nello stato di bisogno che la prestazione si prefigge di fronteggiare – Contrasto con l’impegno della Repubblica ad agevolare, con misure economiche e altre provvidenze, la formazione della famiglia – Contrasto con i doveri primari di tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia.

“[…] La Corte Costituzionale

(omissis)

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 2 aprile 2024, iscritta al n. 99 reg. ord. 2024, il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), numero 1), del decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79 (Misure urgenti in materia di assegno temporaneo per figli minori), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2021, n. 112, nella parte in cui «irragionevolmente esclude dal godimento dell’assegno temporaneo una categoria di soggetti», ossia i cittadini di Paesi terzi titolari di permesso di soggiorno per “richiesta asilo”, «che si trovano nello stato di bisogno che la prestazione in esame si prefigge di fronteggiare», con vulnus al principio di eguaglianza e ai valori della maternità e dell’infanzia.

Il rimettente riferisce di dover decidere sul ricorso promosso da R.U. E., cittadina della Nigeria, per l’accertamento del carattere discriminatorio (ai sensi dell’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero») del provvedimento dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di diniego dell’assegno temporaneo per i figli minori, previsto dall’art. 1 del citato d.l. n. 79 del 2021, come convertito, con condanna dell’Istituto alla corresponsione di detta provvidenza per tutta la durata e nella misura prevista dalla legge.

Il giudice a quo espone che la ricorrente, madre di due minori e residente in Italia dal 23 maggio 2017, era originariamente titolare del permesso di soggiorno «per richiesta asilo» di cui all’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), scaduto il 26 novembre 2021, e rinnovatole fino al 12 aprile 2024.

La domanda amministrativa per il riconoscimento della provvidenza di cui si tratta, presentata il 2 luglio 2021, era stata rigettata dall’INPS con la motivazione che «il richiedente non risultava cittadino italiano e non risultava cittadino straniero con permesso di soggiorno di lungo periodo o di lavoro o ricerca di durata non inferiore a 6 mesi», unici titoli che legittimano il riconoscimento della prestazione, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, lettera a), numero 1), del d.l. n. 79 del 2021, come convertito.

Ai fini ricostruttivi il rimettente ricorda, infine, l’indole transitoria dell’assegno temporaneo che, pensato dal legislatore quale misura ponte, per il periodo tra il 1° luglio 2021 e il 28 febbraio 2022, quanto ai nuclei familiari rimasti temporaneamente privi di strumenti di sostegno al reddito, si inserisce nel percorso di attuazione del diverso, e più strutturato, istituto dell’assegno unico e universale, introdotto dall’art. 2 della legge delega 1° aprile 2021, n. 46 (Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale), che assorbe, in un’unica voce, varie prestazioni di famiglia (sono menzionati: l’assegno per famiglie numerose; il “bonus bebè”; la detrazione per i figli a carico; gli assegni per il nucleo familiare).

Segnatamente, il rimettente rimarca, del titolo di soggiorno: la durata, pari a sei mesi e «rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25» (art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 142 del 2015); la natura di documento di riconoscimento, valido su tutto il territorio nazionale; l’idoneità a consentire al titolare lo svolgimento di «attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda se il ritardo nella conclusione del procedimento non può essere attribuito al richiedente» (art. 22 del d.lgs. n. 142 del 2015).

Quanto all’assegno temporaneo per i figli minori, l’ordinanza di rimessione rammenta che si tratta di prestazione somministrata su base mensile che spetta, a decorrere dal 1° luglio 2021 e fino al 28 febbraio 2022, alle famiglie che non abbiano diritto all’assegno per il nucleo familiare – di cui all’art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153 – ed il cui godimento richiede che l’istante: sia titolare di un permesso di soggiorno; abbia la residenza in Italia da almeno due anni e figli a carico di età inferiore ai diciotto anni; possegga un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) in corso di validità.

2.- Ciò posto, in punto di rilevanza delle questioni sollevate, il rimettente evidenzia che il giudizio a quo non può essere deciso facendo valere l’effetto diretto dell’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, la quale stabilisce che i cittadini di paesi terzi ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, lettera b), della stessa direttiva, beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne «i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004». Infatti, l’art. 3, paragrafo 2, lettera g), della citata direttiva 2011/98/UE stabilisce che essa non si applica ai cittadini di Paesi terzi che «hanno chiesto la protezione internazionale […] e sono in attesa di una decisione definitiva sulla loro domanda».

Né, osserva il rimettente, è consentita la disapplicazione della norma interna richiamando l’effetto diretto dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, poiché il principio di non discriminazione non può trovare applicazione nelle materie non comprese nell’ambito di copertura del diritto dell’Unione.

Neppure può dirsi, prosegue il rimettente, che il richiedente asilo acceda alle prestazioni di sicurezza sociale attraverso la direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che si limita a fissare standard minimi delle condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria (artt. 17-19), o a mezzo della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, direttiva cosiddetta “qualifiche”, che, argomenta il ricorrente, all’art. 29 si limita a riconoscere ai beneficiari di protezione internazionale, «in condizioni paritarie rispetto ai cittadini dello Stato membro, il diritto all’“assistenza sociale” (“social welfare” e “social assistance” nella versione della direttiva in lingua inglese, concetti che l’art. 34 CdfUe tiene distinti da quello di social security)».

Tanto premesso, osserva il rimettente che nel giudizio a quo assume rilevanza decisiva, ai fini della spettanza del diritto all’assegno temporaneo, l’esclusione del permesso per richiesta di asilo dall’art. 1, lettera a), numero 1), del d.l. n. 79 del 2021, come convertito.

Nell’ordinanza di rimessione si precisa infine che chiarezza e univocità non permettono una lettura costituzionalmente orientata della norma censurata che, laddove menziona il «permesso di soggiorno per motivi di lavoro […] di durata almeno semestrale», sembra ragionevolmente riferirsi ai soli titoli rilasciati per un diretto fine lavorativo «senza possibilità di estensione a quei permessi di soggiorno i quali, pur ammettendo il cittadino di un paese terzo nel territorio dello Stato per fini diversi dall’attività lavorativa, comunque lo autorizzano al lavoro».

3.- Sulla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Padova, escluso il raccordo tra i principi consacrati negli artt. 3 e 31 Cost. e la parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale nei termini delineati dalla CDFUE e dal diritto eurounitario derivato, fa valere la dimensione interna del dubbio di illegittimità costituzionale.

Espone il rimettente che l’«autonoma ed autosufficiente cogenza ai doveri primari di tutela costituzionale dei valori della maternità e dell’infanzia, nella loro inscindibile connessione» con il principio di parità di trattamento, «non tollerano distinzioni arbitrarie e irragionevoli», come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 54 del 2022.

Il giudice a quo rammenta che nell’indicato precedente, all’interno di un percorso ancorato ai principi eurounitari, questa Corte ha già ritenuto la natura di prestazioni di sicurezza sociale degli assegni di natalità e maternità, valorizzandone la funzione protettiva, e ripropone un identico ragionamento quanto all’assegno temporaneo.

Anche il titolo previsto dalla norma censurata per i figli minori sovviene «a una peculiare situazione di bisogno, che si riconnette alla nascita di un bambino o al suo ingresso in una famiglia adottiva, in presenza di condizioni economiche familiari particolarmente disagiate (come attestate dall’indicatore ISEE)», prefiggendosi «di concorrere a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, comma 2, Cost.)», in attuazione dell’art. 31 Cost. «che impegna la Repubblica ad agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi», nella finalità, preminente, di tutela del minore.

Alla luce del carattere pressante e qualificato dello stato di bisogno dei richiedenti asilo, esposti ad una condizione di speciale vulnerabilità, anche familiare, la esclusione degli stessi dal godimento dell’assegno temporaneo – non eccedente, ma integrativo, dei bisogni primari della persona – sarebbe manifestamente irragionevole o intrinsecamente discriminatoria senza che a diverse conclusioni possa giungersi in raccordo al carattere limitato delle risorse disponibili.

Il Tribunale rimettente richiama i contenuti della sentenza n. 50 del 2019, con la quale questa Corte ha ritenuto legittima la scelta del legislatore di attribuire rilevanza al grado di stabilità socio-economico dei cittadini di Stati terzi privi del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo nell’escludere il diritto al godimento dell’assegno sociale, e ricorda il raffronto, operato dalla sentenza di questa Corte n. 54 del 2022, tra l’indicata provvidenza, che si colloca «all’epilogo della carriera lavorativa e rappresenta il corrispettivo per il contributo offerto al progresso della comunità», e gli assegni di natalità e maternità, strumenti, invece, destinati a far fronte ad un bisogno primario della persona «in una stagione della vita – quella della nascita di un bambino o della sua accoglienza nella famiglia adottiva – che prescinde dal contributo fornito al progresso della comunità».

Sulle indicate rime, il rimettente ribadisce che l’assegno temporaneo afferisce ai bisogni primari della persona e riafferma il principio per il quale quanto maggiore è l’attinenza della prestazione a un bisogno essenziale dell’individuo, tanto meno trova giustificazione la scelta del legislatore di condizionarne il godimento a requisiti diversi e aggiuntivi (sono citate le sentenze di questa Corte n. 42 del 2024 e n. 107 del 2018).

L’opzione legislativa di escludere, con la norma censurata, tra i beneficiari della provvidenza i richiedenti asilo – verosimilmente nella ritenuta instabilità del loro radicamento sul territorio nazionale – sacrificherebbe, per il giudice a quo, in modo irragionevole, la valutazione del loro stato di bisogno (sono citate le sentenze di questa Corte n. 2 del 2013 e n. 40 del 2011).

Rammenta ancora l’ordinanza di rimessione che in altra occasione questa Corte ha utilizzato argomentazioni idonee ad escludere che la permanenza sul territorio nazionale dei titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo possa essere ritenuta precaria.

Nel richiamare le motivazioni adottate in quel precedente (sentenza n. 186 del 2020), il rimettente espone che il permesso per “richiesta asilo”, di durata semestrale e rinnovabile, finisce, «nella stragrande maggioranza dei casi», per dare corpo ad un tempo «complessivo di permanenza dei richiedenti asilo […] di almeno un anno e mezzo», e tanto «in ragione dei tempi di decisione sulle domande amministrative comunemente osservati dall’autorità competente».

4.- Nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituito l’INPS, resistente nel giudizio principale, concludendo per la declaratoria di inammissibilità e comunque di non fondatezza delle questioni sollevate.

4.1.- Sotto il primo profilo, l’INPS deduce il difetto di motivazione sulla rilevanza. Come eccepito nel giudizio principale, l’attestazione ISEE del nucleo familiare della richiedente per l’anno 2021, in cui è presente un componente non inserito nei registri dell’anagrafe nel periodo di validità della dichiarazione, non sarebbe idonea. Al riguardo il giudice a quo si è limitato ad affermare che «non risulta difettare in capo alla ricorrente altro presupposto di legge».

L’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata non varrebbe pertanto all’accoglimento della domanda del giudizio principale non avendo la ricorrente comprovato ed il giudice a quo accertato l’esistenza di tale attestazione dandone riscontro in motivazione.

Per la parte, poi, secondo quanto previsto dall’art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998, il ricorso alla speciale procedura di cui all’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) non è consentito in una «situazione di legittimo diniego della prestazione reclamata, in assenza in capo alla richiedente dei necessari requisiti previsti dalla legge» e non rende antigiuridico un «comportamento» che tale non era, con attribuzione di una prestazione previdenziale o assistenziale, in violazione delle norme sulla proponibilità o procedibilità della relativa domanda.

4.2.- Nel merito, in una breve sintesi della cornice normativa di riferimento, l’Istituto di previdenza ricorda che con il d.l. n. 79 del 2021, come convertito, il legislatore ha inteso introdurre in via temporanea, come si legge nel preambolo dell’atto normativo, misure volte a sostenere la genitorialità e a favorire la natalità, successivamente alla legge n. 46 del 2021 e nelle more dell’adozione dei relativi decreti attuativi.

La parte richiama la propria circolare 30 giugno 2021, n. 93, con cui ha precisato i presupposti di riconoscimento della misura, e la disciplina dell’assegno unico universale, introdotto dal decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230 (Istituzione dell’assegno unico e universale per i figli a carico, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della legge 1° aprile 2021, n. 46), che non contempla, tra i permessi che consentono l’accesso alla misura, quello di soggiorno per “richiesta asilo”.

Nella prevista necessità della titolarità di un permesso di soggiorno, ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi, connotato da stabilità e durata nel tempo, l’art. 2 del citato regolamento, osserva l’INPS, esclude espressamente, tra i titoli legittimanti, il permesso rilasciato in attesa dell’esame di una domanda di asilo, che, di durata semestrale e rinnovabile fino alla decisione della competente commissione territoriale, secondo la disciplina dettagliata nel d.lgs. n. 142 del 2015, non può essere, tra l’altro, convertito in permesso di soggiorno per motivo di lavoro (viene citato l’art. 23).

La mancanza di mezzi di sussistenza dà diritto all’accoglienza in un centro per richiedenti asilo e, secondo la disciplina contenuta nel citato d.lgs. n. 142 del 2015, all’assistenza sanitaria gratuita e all’iscrizione scolastica, quali bisogni primari da garantire (art. 21).

Sulle indicate premesse, espone l’INPS che l’assegno temporaneo per i figli minori non attiene ad un bisogno primario ed essenziale della persona, valendo, piuttosto, «a sostenere temporaneamente la genitorialità e a favorire la natalità».

L’evidenza che la censurata normativa raccordi, in via transitoria, l’attribuzione del beneficio a limiti di reddito non coincidenti con uno stato di bisogno sarebbe confermata, per l’Istituto, dall’introduzione dell’assegno unico universale quale misura finale «disancorata» nell’an da limiti reddituali.

Non integrando l’assegno temporaneo per i figli minori un bisogno primario, la scelta legislativa di non accomunare tra i beneficiari i titolari di permesso di soggiorno per “richiesta asilo” resterebbe scrutinabile da questa Corte «laddove travalichi il canone della ragionevolezza che deve presiedere alle scelte normative».

Vengono in tal modo richiamate le sentenze n. 42 del 2024, n. 54 del 2022 e n. 40 del 2013, che hanno riconosciuto l’estensione delle prestazioni ivi esaminate, con conseguente illegittimità costituzionale delle norme limitative (con riguardo, rispettivamente: all’indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili e alla pensione di inabilità; al contributo previsto dalla Regione Toscana al genitore di minore disabile; al “bonus bebè” e all’assegno di natalità), integrative di requisiti selettivi che, fondati sul radicamento territoriale e anche su presupposti reddituali stringenti, non tengono conto «dei caratteri essenziali dei bisogni primari cui le politiche sociali sono finalizzate».

Nel riferirsi alla sentenza n. 19 del 2020 (recte: n. 19 del 2022), l’INPS ricorda ancora che questa Corte, nell’esaminare il reddito di cittadinanza, ha ritenuto che il legislatore non irragionevolmente abbia circoscritto la misura ai titolari di un permesso di soggiorno UE, ai sensi del regolamento CE n. 1030/2002, e segnatamente agli stranieri soggiornanti in Italia a tempo indeterminato, nella perseguita finalità della prestazione di realizzare, anche, obiettivi di politica del lavoro e di integrazione sociale.

Il Tribunale rimettente, secondo l’INPS, equipara situazioni eterogenee incorrendo in una errata valutazione di omogeneità delle situazioni in raffronto, che sarebbe necessaria per valutare l’esistenza della dedotta irragionevole discriminazione (è citata la sentenza di questa Corte n. 114 del 2015 che richiama, a sua volta, la sentenza n. 139 del 2014 e le ordinanze n. 100 del 2013 e n. 276 del 2012).

L’esigenza di garantire l’eguaglianza di cittadini italiani e comunitari, e cittadini extra UE, conclude l’Istituto, trova applicazione nel caso in cui «i servizi e le prestazioni siano espressione del godimento di diritti finalizzati al soddisfacimento di “un bisogno primario ed impellente dell’individuo” che si configura come diritto inviolabile della persona» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 223 del 2013, recte: n. 50 del 2019).

Al di là del nucleo dei diritti inviolabili, il legislatore, nel ragionevole esercizio della propria discrezionalità, ben potrebbe individuare modalità di riconoscimento di provvidenze sociali nel «razionale contemperamento sia con la soddisfazione di altri diritti costituzionalmente garantiti, sia con i limiti delle disponibilità finanziarie statali».

5.- È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili ovvero manifestamente infondate.

5.1.- Rileva anzitutto la difesa statale che l’inclusione dei richiedenti asilo tra i beneficiari dell’assegno temporaneo per i figli minori non è soluzione costituzionalmente obbligata.

La tutela della natalità realizza una finalità assistenziale e insieme di promozione delle nascite che è estranea al raggio di cura proprio dei richiedenti asilo, il cui diritto è diversamente calibrato sulla tutela del nucleo familiare esistente. Sarebbero pertanto inammissibili le soluzioni tendenti ad una pronuncia additiva “rigida” in settori in cui la rilevazione di un problema e la sua soluzione restano affidate alla discrezionalità legislativa.

I trattamenti di accoglienza previsti agli articoli da 12 a 17 della direttiva 2013/33/UE, attuati con il d.lgs. n. 142 del 2015, che ordina in modo organico un insieme di provvidenze a favore dei richiedenti asilo e del loro nucleo familiare, costituiscono un sistema «chiuso» e «speciale», la cui modifica in melius postula uno specifico e mirato intervento del legislatore e non una mera giustapposizione di discipline.

5.2.- La difesa dell’interveniente contesta all’ordinanza di rimessione il difetto di un’adeguata analisi della provvidenza che, finalizzata a sostenere temporaneamente i nuclei familiari in condizioni economiche disagiate, non viene comparata con altre omologhe misure a mezzo delle quali questa Corte ha inteso dare soddisfazione ai bisogni primari della persona (viene menzionata la sentenza n. 24 del 2024 [recte: n. 42 del 2024], dettata a sostegno di famiglie con figli minori di anni 18 affetti da disabilità grave).

Il giudice a quo non avrebbe preso in considerazione le ragioni che nel pertinente diritto dell’Unione hanno condotto a differenziare, rispetto a determinate prestazioni di previdenza sociale, i cittadini di Paesi terzi equiparati ai cittadini UE, o che sono ammessi nel territorio di uno Stato membro per motivi di lavoro, e i cittadini di Paesi terzi che vi sono ammessi, come i richiedenti asilo, per altri motivi.

L’esistenza di determinati standard previsti dalla direttiva cosiddetta accoglienza e assistenza, cui accedono, in via esclusiva, i titolari del permesso di soggiorno per “richiesta asilo”, avrebbe dovuto determinare il giudice a quo a valutare se proprio la condizione dei richiedenti asilo valga a giustificare, in modo idoneo, la censurata esclusione, con conseguente riconduzione della scelta operata dal legislatore alla sua ampia discrezionalità. La mancata indagine e il difetto di motivazione su uno snodo caratterizzante il giudizio correlato al dedotto parametro escludono, per la difesa dell’interveniente, la violazione del principio di eguaglianza.

6.- Con memoria illustrativa depositata il 21 gennaio 2025, l’INPS ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità o manifesta infondatezza delle questioni.

7.- All’udienza di discussione l’INPS e il Presidente del Consiglio dei ministri si sono riportati ai rispettivi scritti: la difesa dello Stato ha poi sollecitato una restituzione degli atti al giudice a quo per una rimeditazione del sollevato dubbio, all’esito della sopravvenuta normativa sull’assegno unico universale.

Considerato in diritto

1.- Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 99 del 2024), il Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, censura, in riferimento agli artt. 3 e 31 Cost., l’art. 1, comma 1, lettera a), numero 1), del d.l. n. 79 del 2021, come convertito, nella parte in cui, dopo avere riconosciuto l’assegno temporaneo per i figli minori, tra gli altri, «a[i] cittadin[i] di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale», ne esclude il godimento quanto ai cittadini di Paesi terzi, titolari di permesso di soggiorno per “richiesta asilo”.

Il rimettente denuncia l’irragionevole trattamento riservato dal legislatore ad una categoria di persone facoltizzata a lavorare sul territorio dello Stato in cui soggiorna, per un tempo limitato che di fatto è divenuto, nella grande maggioranza dei casi, pari ad un anno e mezzo, in ragione dei rinnovi semestrali consentiti e giustificati dai ritardi in cui incorre l’amministrazione competente nel decidere le domande di asilo.

I richiedenti asilo si trovano, secondo il giudice a quo, in modo vieppiù pressante in quanto componenti di un nucleo familiare già vulnerabile per la condizione sofferta dai suoi componenti, nella situazione di bisogno che la prestazione si prefigge di fronteggiare. Quest’ultima, correlandosi alla nascita di un figlio, risponderebbe ai bisogni primari dell’individuo, che si fanno via via più stringenti quanto maggiore è la loro afferenza alla persona.

Per il rimettente, la funzione protettiva da uno stato di bisogno assolta dall’assegno di natalità e di maternità nella giurisprudenza di questa Corte sovviene anche in caso di assegno temporaneo, il cui riconoscimento rimuove ostacoli di ordine economico e sociale che limitano libertà ed eguaglianza dei cittadini, con impedimento al pieno sviluppo della persona, anche in attuazione della tutela di maternità ed infanzia.

Si tratterebbe di profili di tutela non sacrificabili, ai quali non potrebbe ragionevolmente opporsi il carattere limitato delle risorse disponibili.

2.- In via preliminare deve essere valutata la richiesta, avanzata dalla difesa statale all’udienza di discussione, di restituzione degli atti al giudice a quo avuto riguardo alla sopravvenuta introduzione, medio tempore, della disciplina dell’assegno unico universale per i figli a carico, introdotta dal d.lgs. n. 230 del 2021, provvidenza destinata ad assorbire l’assegno temporaneo per i figli minori.

L’istanza non può essere accolta.

Va, infatti, escluso ogni diretto rilievo della nuova misura sul giudizio principale, in cui la domanda amministrativa di assegno temporaneo è stata proposta il 2 luglio 2021, e quindi in epoca anteriore all’entrata in vigore, a partire dal marzo 2022, dell’assegno unico.

2.1.- Ancora in via preliminare vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dell’INPS.

2.2.- La prima di esse riguarda il difetto di motivazione in cui sarebbe incorsa l’ordinanza di rimessione nella parte in cui avrebbe omesso di illustrare le ragioni della validità della attestazione ISEE relativa alla composizione del nucleo familiare della richiedente per il 2021, presupposto della provvidenza reclamata, nonostante la presenza in detta attestazione di persona non iscritta all’anagrafe per il periodo in cui era stata richiesta la prestazione. L’INPS deduce altresì il carattere indimostrato, o non accertato, di una serie di ulteriori requisiti.

2.3.- La parte propone un’ulteriore eccezione di inammissibilità, sostenendo che sarebbe stata erroneamente azionata la speciale procedura di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, che, in modo improprio, sarebbe divenuta il «veicolo semplificato» per il conseguimento di prestazioni previdenziali o assistenziali, in violazione delle norme inderogabili di proponibilità e procedibilità del relativo giudizio.

Come previsto dall’art. 44, rubricato «Azione civile contro la discriminazione», del d.lgs. n. 286 del 1998, infatti, il ricorso all’indicata procedura sarebbe consentito solo a fronte di un “comportamento” o “fatto” discriminatorio e non in caso di legittimo diniego della misura invocata.

2.4.- Le eccezioni sono infondate.

Il tenore testuale della ordinanza di rimessione, là dove il giudice a quo rileva in modo inequivocabile che, salva la norma censurata, «non risulta difettare in capo alla ricorrente alcun altro presupposto di legge ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno temporaneo», presuppone la avvenuta valutazione della sussistenza degli altri presupposti concernenti la legittima instaurazione del giudizio di accertamento della condotta discriminatoria, fondata sul carattere “mediato” della violazione che trova origine nella legge censurata. Lo stesso passaggio dell’ordinanza dà espressamente atto della ritenuta sussistenza dei requisiti previsti dalla disciplina in esame per il riconoscimento dell’assegno temporaneo, in disparte quello di cui si discute.

3.- Va, ancora, rilevato che il rimettente ha correttamente ritenuto la non praticabilità di una interpretazione costituzionalmente adeguata della norma censurata, avuto riguardo alla chiarezza del dettato normativo che, in modo univoco, riserva il riconoscimento dell’assegno temporaneo per i figli minori, per quanto qui rileva, ai cittadini di Paesi terzi in possesso di un «permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale».

4.- Nel merito, le questioni non sono fondate.

4.1.- Il Tribunale di Padova, esclusa la dimensione europea, calibra il dubbio di illegittimità costituzionale sui parametri costituzionali della irragionevolezza, disparità di trattamento e tutela della famiglia, della maternità e dell’infanzia.

La mancata copertura all’interno del diritto dell’Unione della materia della sicurezza sociale – definita dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale – declinata con riferimento ai cittadini di Paesi terzi richiedenti asilo, sottrae la categoria all’applicazione dei relativi principi di parità di trattamento e non discriminazione.

L’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, rubricato «Diritto alla parità di trattamento», indica, al paragrafo 1, lettera e), «i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004» come il terreno di “concretizzazione” del principio di non discriminazione.

L’espressa esclusione della categoria dei richiedenti asilo «in attesa di una decisione definitiva sulla propria domanda» dal godimento dei diritti di sicurezza sociale (art. 3, paragrafo 2, lettera g, della citata direttiva 2011/98/UE) preclude, anche in combinato disposto con l’art. 18 CDFUE sulla garanzia dell’asilo, l’inveramento del principio di non discriminazione nella materia de qua, con conseguente esclusione della disapplicazione diretta della norma interna di contrasto.

In questa prospettiva, il rimettente correttamente esclude che possano valere a riconoscere tutela assistenziale al richiedente asilo le direttive 2013/33/UE e 2011/95/UE, rispettivamente dettate per definire gli standard minimi di accoglienza e assistenza sanitaria dei richiedenti protezione internazionale e per attribuire ai beneficiari della protezione internazionale, in condizioni di parità con i cittadini dello Stato membro, il diritto al social welfare o diritto all’assistenza sociale. Tale diritto viene tenuto distinto, ad opera dell’art. 34 CDFUE, da quello alla social security. La non omogeneità di prestazioni e categorie normate esclude, in tale contesto, la praticabilità di una disamina in punto di disparità di trattamento.

4.2.- Il quadro normativo in cui si collocano le questioni poste è, pertanto, quello interno dei dedotti vulnera ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, nella prospettiva della rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, in un contesto di tutela della famiglia, della maternità e dell’infanzia (artt. 3, primo e secondo comma, e 31 Cost.).

4.3.- A venire in esame è anzitutto l’individuazione della situazione obiettiva di bisogno al cui riconoscimento si accompagna la misura in questione.

Il rimettente muove dalla considerazione che il bisogno cui fa fronte l’assegno temporaneo per i figli minori appartiene al novero di quelli primari della persona, rispetto ai quali non si giustifica la scelta del legislatore di condizionarne il godimento a requisiti aggiuntivi.

Ciò posto, il giudice a quo denuncia la manifesta irragionevolezza della negazione in capo ai richiedenti asilo di una condizione di stabile permanenza nel territorio dello Stato di soggiorno cui consegue la loro esclusione dal novero delle categorie protette (cittadini dello Stato di soggiorno, cittadini comunitari ed extra UE lungo-soggiornanti o titolari di un permesso per motivi di lavoro o studio ultra-semestrale). Tale esclusione determinerebbe una ingiustificata diversità di trattamento, pur nella identità del presupposto dello stato di bisogno, tra coloro che sono ammessi a fruire degli assegni di maternità e natalità e il richiedente asilo che faccia istanza per il riconoscimento dell’assegno temporaneo per i figli minori.

4.4.- Nell’indicato quadro si tratta di individuare la natura del bisogno cui sopperisce l’assegno temporaneo, verificando se esso appartenga al nucleo di quelli essenziali nella cui tutela trovano realizzazione, attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, i principi di libertà ed eguaglianza tra individui nel pieno sviluppo della loro personalità.

Il sindacato che questa Corte è chiamata a esercitare «muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto» (sentenza n. 44 del 2020, punto 3.1. del Considerato in diritto; in termini, più recentemente, sentenza n. 42 del 2024).

Dove la ratio dell’intervento è quella di alleviare un bisogno primario della persona, la scelta legislativa di limitazione o di esclusione va sottoposta a uno scrutinio particolarmente stretto, mentre nel caso in cui non venga direttamente in evidenza la finalità di alleviare uno stato di bisogno, l’esclusione o il limite può rinvenire una sua diversa e ragionevole giustificazione (tra le molte, sentenze n. 31 del 2025, n. 42 del 2024, n. 34 del 2022, n. 44 del 2020 e n. 222 del 2013).

4.5.- L’assegno temporaneo per i figli minori previsto dal censurato art. 1 del d.l. n. 79 del 2021, come convertito, è misura riconosciuta, nella versione in vigore, su base mensile, a decorrere dal 1° luglio 2021 e fino al 28 febbraio 2022, ai nuclei familiari che non abbiano diritto all’assegno per il nucleo familiare di cui all’art. 2 del d.l. n. 69 del 1988, come convertito, e siano in possesso di un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), documento che serve a determinare la condizione economica, reddituale e patrimoniale, delle famiglie.

Detta provvidenza interviene, dunque, ampliandola, sulla platea delle categorie familiari assistite a norma del d.l. n. 69 del 1988, come convertito. Quest’ultimo, intitolato «Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti», è dettato a sostegno della famiglia e natalità in un quadro di assistenza che, prestata in favore dei lavoratori, attribuisce rilievo – attraverso l’innalzamento del reddito complessivo del nucleo familiare ed il conseguente allargamento della cornice dei beneficiari – anche a situazioni di infermità ed inabilità al lavoro dei componenti del nucleo.

L’art. 2 del d.l. n. 79 del 2021, che detta i criteri per la determinazione dell’assegno temporaneo per i figli minori, riconosce la provvidenza a coloro che non possono godere della pregressa misura, determinandola nel suo ammontare in base alla tabella di cui all’Allegato 1, che individua le soglie ISEE (dove la prima è integrata dalla fascia di reddito «fino a 7.000» euro e l’ultima «da 49.900,01 a 50.000,00») e i corrispondenti importi mensili dell’assegno temporaneo per ciascun figlio minore, in relazione al numero presente nel nucleo familiare e con un innalzamento a fronte di situazioni di «disabilità» in cui venga a trovarsi il minore del nucleo familiare.

Il beneficio è attribuito a condizione che al momento della presentazione della domanda, e per tutta la durata della misura, il richiedente goda di cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione europea, o sia cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale, sia soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia, abbia figli a carico di età inferiore ai diciotto anni compiuti e si trovi a risiedere in Italia da almeno due anni, anche non continuativi, o sia titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale (art. 1, comma 1, lettera a, punti da 1 a 4).

4.6.- Nel preambolo del suddetto d.l. n. 79 del 2021 viene chiarito che l’intervento è determinato dalla esigenza di introdurre «in via temporanea e nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi della legge n. 46 del 2021, misure immediate volte a sostenere la genitorialità e favorire la natalità». In attuazione di tale previsione il d.lgs. n. 230 del 2021 ha introdotto l’assegno unico universale, nella cui disciplina vengono assorbite in un’unica provvidenza varie prestazioni sociali di famiglia, tra le quali l’assegno temporaneo per i figli minori.

L’assegno unico universale, in disparte i requisiti di cittadinanza – e, quanto agli stranieri, di titolarità di un permesso unico di lavoro, di un permesso di lungo periodo o di un permesso per ricerca lavoro, ai sensi del regolamento CE n. 1030/2002 – è misura disancorata nell’an dai limiti reddituali del richiedente come rappresentati negli indicatori di equivalenza ISEE, la cui consistenza evidenzia l’estraneità dello strumento alla finalità di urgenza assistenziale.

Nella Tabella A, compilata con riferimento ai «Nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore» ed allegata al testo del d.lgs. n. 230 del 2021 in occasione della sua adozione, gli indicatori di equivalenza vanno da una estensione minima «fino a 14.775,06» euro ad una massima compresa tra «101.888,69» euro e «102.006,90» euro, per un calcolo delle condizioni economiche familiari che, adeguato negli anni per successivi aggiornamenti, rispetta la natura universale del mezzo.

4.7.- Dal complessivo quadro di riferimento emerge che la provvidenza in questione non vale a sostenere specifici bisogni primari dell’individuo, apparendo, piuttosto, misura premiale della genitorialità, che non è, quindi, volta a tutelare una situazione di indigenza assoluta.

La natura transitoria e la finalità “ponte” dello strumento – volto a dare attuazione alla misura, definitiva, dell’assegno unico universale, a sua volta d’indole non assistenziale, siccome svincolato, nell’an, da limiti reddituali delle famiglie – concorrono a definirne la portata, al di fuori dello stretto obiettivo di affrancare la persona da un bisogno pressante ed essenziale.

4.8.- Come ancora recentemente osservato da questa Corte, «la Costituzione impone di preservare l’eguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari da un lato, e cittadini extra UE dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di “un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale”, riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona» (ordinanza n. 29 del 2024, punto 5.4.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenze n. 50 del 2019 e n. 222 del 2013), rammentando che, ove si tratti di prestazioni sociali, tanto maggiore è l’inerenza della prestazione a un bisogno essenziale della persona, tanto meno si giustifica la scelta di condizionarne il godimento a requisiti diversi ed aggiuntivi rispetto al grado di bisogno concretamente provato (ex multis, sentenze n. 42 del 2024 e n. 107 del 2018).

Il richiamato principio ha trovato applicazione: in materia di contributi regionali finalizzati a sostenere famiglie con figli disabili minori o per contrastare fenomeni di povertà e disagio sociale; con riguardo all’assegno sociale sostitutivo della pensione sociale e volto a far fronte a un particolare stato di bisogno derivante dall’indigenza; con riferimento all’indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili e alla pensione di inabilità (ex aliis, sentenze n. 42 del 2024, n. 137 del 2021, n. 222 e n. 40 del 2013).

4.9.- L’esistenza di autonome misure volte a fronteggiare bisogni essenziali dell’individuo va poi correlata con il sistema organico di provvidenze per i richiedenti asilo ed il loro nucleo familiare, con particolare riguardo ai minori che ne fanno parte.

Il permesso di soggiorno per i richiedenti asilo viene rilasciato agli stranieri che presentano domanda di protezione internazionale, ha durata semestrale ed è rinnovabile fino alla decisione, è valido anche come documento di riconoscimento e dà diritto, tra l’altro, all’assistenza sanitaria gratuita, all’istruzione dei figli minori con diritto all’iscrizione scolastica, e al lavoro (artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 142 del 2015).

In particolare, quanto a quest’ultimo, il richiedente asilo può svolgere attività lavorativa decorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda amministrativa se il procedimento non è concluso e il ritardo non è a lui attribuibile, ma il suo permesso non si converte in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (art. 22 del d.lgs. n. 142 del 2015, cit.): il protrarsi del ritardo dell’amministrazione non conforma diversamente il titolo di permanenza, ma affranca dai bisogni primari la persona attraverso il suo inserimento nel circuito lavorativo componendo e contenendo i margini del bisogno.

4.10.- Si tratta di un apparato di norme modulato sulle esigenze della prima accoglienza e sulla situazione “a formazione progressiva” in cui versa il richiedente asilo che in seguito alla domanda è autorizzato a rimanere sul territorio dello Stato finché la competente commissione territoriale non gli riconosca lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria o ne rigetti la domanda (artt. 7, comma 1, e 32 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, intitolato «Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»; artt. 2, 7 e 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, intitolato «Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta»).

Ai titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria viene poi riconosciuto, con fonte primaria, il diritto al medesimo trattamento del cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria (art. 27 del d.lgs. n. 251 del 2007) con l’espressa equiparazione quanto al godimento dell’assegno temporaneo per i figli minori (circolare dell’INPS n. 93 del 2021).

4.11.- Nell’indicato contesto, in cui vengono in valutazione i parametri della tutela della famiglia, maternità e infanzia (art. 31 Cost.), l’assegno temporaneo per i figli minori è una provvidenza di tutela di soggetti fragili, ma non è destinato al soddisfacimento di bisogni essenziali della persona. Esso non è, quindi, assimilabile alle misure di «sostegno indispensabili per una vita dignitosa, come la pensione d’inabilità civile, diretta al sostentamento della persona, nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili e alla tutela di bisogni primari della persona, al fine di garantire un minimo vitale di sussistenza a presidio del nucleo essenziale e indefettibile del diritto al mantenimento, garantito a ogni cittadino inabile al lavoro» (sentenza n. 137 del 2021, punto 8.2.2. del Considerato in diritto).

4.12.- L’estraneità dello strumento sociale di cui si tratta al nucleo dei bisogni essenziali della persona e quindi l’esclusione, nel caso di specie, della sussistenza del limite invalicabile costituito dalla garanzia di un diritto inviolabile consentono – come costantemente ritenuto da questa Corte, in considerazione anche della esigenza di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 107 del 2018 e n. 133 del 2013) – di affidare alla discrezionalità del legislatore, pur sempre in ossequio al principio di ragionevolezza, la possibilità di graduare con criteri restrittivi, o financo di escludere, l’accesso a prestazioni sociali (tra le tante, sentenze n. 42 del 2024, n. 199 e n. 54 del 2022, n. 50 del 2019, n. 166 e n. 107 del 2018, n. 222, n. 133 e n. 2 del 2013; ordinanza n. 29 del 2024).

4.13.- Una situazione di bisogno dei richiedenti asilo che, come quella in esame, non si connota in termini di impellenza e afferenza alle primarie necessità della persona, unitamente al sistema di provvidenze, sopra descritto, che assiste i richiedenti asilo, rende pertanto non irragionevole la scelta legislativa di non includere i titolari di permesso per asilo nella platea dei beneficiari dell’assegno temporaneo per i figli minori.

5.- Deve, conclusivamente, dichiararsi la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

P.Q.M.

Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), numero 1), del decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79 (Misure urgenti in materia di assegno temporaneo per figli minori), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2021, n. 112, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe […]”.