Adibizione a mansioni incompatibili con la condizione di accertata disabilità del lavoratore

Cassazione, Ord. n. 25396/2020

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 25396/2020 dell’11 novembre 2020.

Adibizione a mansioni incompatibili con la condizione di accertata disabilità del lavoratore; Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale; Onere a carico del ricorrente dell’allegazione e della prova dell’esistenza di posizioni lavorative sedentarie.

 di B. Torres

 1.La Corte di Cassazione, con ordinanza n.  25396 dell’11 novembre 2020, ha statuito che nessuna sanzione può essere applicata all’’azienda che non affidi mansioni sedentarie al dipendente disabile, in quanto ciò che rileva è la congruità dei compiti assegnati al lavoratore con la sua disabilità e lo svolgimento degli stessi in assoluta sicurezza.

Un lavoratore affetto da disabilità ricorreva al Tribunale al fine di ottenere un adeguato ristoro economico per le presunte condotte illegittime tenute dall’azienda. In particolare, chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente all’adibizione a mansioni incompatibili con la propria condizione di accertata disabilità e chiedeva allo stesso tempo l’emanazione di un provvedimento che lo ricollocasse in una “posizione lavorativa idonea e dignitosa”.

Il Tribunale rigettava il ricorso ritenendo che la società datrice non avesse compiuto alcuna azione illegittima, avendo, anzi, dotato il dipendente di opportuni dispositivi di protezione individuale, segnatamente dei guanti ad alto scorrimento. Secondo il Tribunale, la cui decisione era corroborata anche da una consulenza medico-legale, era ravvisabile la piena congruità delle mansioni affidate al lavoratore con il suo grado di invalidità e pertanto non si configurava alcuna condotta illegittima dell’azienda ai danni del dipendente. 

Il dipendente, a seguito della soccombenza in Appello, ricorreva in Cassazione denunciando sia la violazione e falsa applicazione della L. 482/1968, che imponeva all’impresa l’adibizione, sin dall’assunzione. a mansioni non operative con onere a carico del datore di provarne l’impossibilità, sia l’aver posto i Giudici Territoriali a suo carico l’onere di indicare eventuali posizioni di lavoro disponibili, compatibili con la sua invalidità. Allo stesso tempo, censurava anche il ragionamento con cui i Giudici di merito avevano rigettato la domanda di risarcimento del danno, sostenendo il difetto di condotte illegittime sulla base del rilievo per cui “tutte le mansioni affidate al lavoratore, siccome ontologicamente diverse e contrastanti con le mansioni sedentarie all’invalido riservate per legge, dovrebbero considerarsi illegittime”.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, atteso che l’assunto di parte ricorrente contrastava con la previsione dallo stesso invocata; infatti, l’art. 20 della L.  n. 482/1968, ribadito dall’art. 10, L.  n. 68/1999, prevede che è facoltà del datore di adibire il prestatore invalido a mansioni diverse da quelle per le quali è assunto “purché compatibili con le condizioni di salute dell’invalido” stesso.

Di conseguenza, una volta appurata mediante consulenza medico-legale la compatibilità tra le mansioni offerte e lo stato di invalidità, l’operato dell’azienda è stato ritenuto legittimo, per cui nessun addebito veniva imputato al datore di lavoro con conseguente rigetto della richiesta attrice di vedersi riconosciuta l’assegnazione a mansioni diverse.

 

  • §§§§§

 Dal testo dell’ordinanza

 2.1. “[…] Rilevato che, con sentenza del 21 aprile 2016, la Corte d’Appello di Perugia, confermava la decisione resa dal Tribunale di Terni che sulle domande proposte da A.B. nei confronti di A. S.p.A. e U. Assicurazioni S.p.A. (già UGF Assicurazioni S.p.A.) da quest’ultima chiamata in causa, domande aventi ad oggetto la condanna della Società datrice al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente all’adibizione del B. a mansioni da accertarsi come incompatibili con la propria condizione di accertata disabilità nonché all’emanazione di un provvedimento organizzativo che ne consentisse la ricollocazione in una posizione lavorativa idonea e dignitosa, aveva riconosciuto congrua la posizione di “operatore attività ausiliarie sviluppo colore” assegnata al B. dalla Società datrice ove svolta con l’uso di opportuni dispositivi di protezione individuale, segnatamente dei guanti ad alto scorrimento e limitato, pertanto, il danno non patrimoniale derivato al B. dalla sindrome del tunnel carpale di origine professionale con il rigetto della domanda di manleva proposta dalla Società a carico della compagnia assicurativa per essere la malattia professionale sorta in epoca antecedente alla stipula del contratto di assicurazione;

2.2. Rilevato che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità per genericità del ricorso in appello del B. sollevata dalla Società, infondate le eccezioni del B. in ordine alla nullità della sentenza, sia quella sollevata per omessa lettura del dispositivo in udienza, viceversa risultante dal provvedimento impugnato, sia quella sollevata per mancanza di contestualità tra dispositivo e motivazione, contraria al testo della norma nonché quella relativa all’error in procedendo dato dalla immotivata mancata ammissione della prova testimoniale da parte del primo giudice, viceversa ampiamente argomentata, ed, altresì, infondate o inammissibili le censure nel merito della pronunzia di primo grado date dall’aver il Tribunale omesso di considerare le condizioni di salute del ricorrente ai fini della valutazione della congruità delle mansioni offertegli, viceversa presa in considerazione anche sotto il profilo della peculiare modalità di sicura esecuzione della mansione stessa, dall’adesione acritica alle conclusioni dell’espletata CTU medico-legale che sancivano la compatibilità dell’impiego prospettato dalla Società, dalla conseguente statuita congruità della posizione lavorativa offertagli, dalla mancata liquidazione dei danni rivendicati, esclusa in ragione della mancata prova delle condotte illegittime da cui sarebbero derivate;

2.3..Rilevato che per la cassazione di tale decisione ricorre il B., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resistono, con controricorso, sia l’A. S.p.A. sia la U. S.p.A.;

2.4. Rilevato che tutte le parti hanno poi presentato memoria;

3.1. Considerato che con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 20 l. n. 482/1968, 2103, 2697 e 2729 c.c., imputa alla Corte territoriale l’aver disatteso la regola che assume derivare dalla disciplina posta a tutela del lavoro degli invalidi, nella specie data ratione temporis dall’invocata legge n. 482/1968, che impone all’impresa l’inserzione dell’invalido in mansioni non operative, onerando l’impresa stessa della prova dell’impossibilità di adeguarsi ad essa e l’essere incorsa, altresì, nel gravare il ricorrente dell’onere di indicare le posizioni di lavoro disponibili che sarebbero risultate rispettose dell’obbligo prospettato a carico della Società datrice e facendone discendere, in difetto di tale allegazione, l’inammissibilità della pretesa, nel malgoverno della regola sulla distribuzione degli oneri probatori;

 3.2. Considerato che, con il secondo motivo, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 432 c.p.c., 1226, 2697 e 2729 c.c., il ricorrente, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno motivato dal difetto di condotte illegittime, causative del medesimo e ciò sulla base del rilievo per cui tutte le mansioni affidate al ricorrente, siccome ontologicamente diverse e contrastanti con le mansioni “sedentarie” all’invalido riservate per legge, dovrebbero considerarsi illegittime ed espressione di un diffuso inadempimento del datore;

 3.3. Considerato che entrambi i motivi, i quali possono essere qui trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, per essere parimenti fondati sull’assunto per cui, per legge, il ricorrente avrebbe avuto diritto, sin dalla data della sua assunzione, all’adibizione a mansioni sedentarie, con onere a carico dell’impresa di provarne l’impossibilità, onere nella specie illegittimamente rovesciato a carico del ricorrente gravato dell’allegazione e della prova dell’esistenza di posizioni lavorative di quel tipo, error in procedendo che ha finito per condizionare l’espletata CTU, limitata nell’accertamento della disponibilità nel tempo di quelle posizioni e inibita negli effetti connessi alla verifica dell’attuale disponibilità di quelle posizioni in ragione del difetto di allegazione, devono ritenersi infondati, per essere il richiamato assunto smentito dalla stessa previsione invocata, l’art. 20 l. n. 482/1968, del resto poi ribadita dall’art. 10, l. n. 68/1999, secondo cui è in facoltà al datore di adibire il prestatore invalido a mansioni diverse da quelle per le quali fu assunto purché compatibili con le condizioni di salute dell’invalido, previsione che legittima le scelte procedurali dei giudici del merito quanto all’accertamento compiuto, incentrato sulla compatibilità delle mansioni offerte con lo stato di invalidità, emersa con chiarezza dall’espletata CTU, legittimazione da cui discende la correttezza della gestione dell’onere probatorio, posto sotto tale profilo a carico della Società datrice, della valutazione circa l’inconfigurabilità di condotte illegittime della Società, della qualificazione in termini di inammissibilità della pretesa all’assegnazione a mansioni diverse a fronte della mancata contestazione della compatibilità di quelle offerte;

3.4. Considerato che il ricorso va, dunque, rigettato;

3.5. Considerato che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

 P.Q.M.

 La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuno dei contro ricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto […]”..