Legittima la registrazione di una conversazione in presenza senza il consenso dell’altra parte per difendere un diritto in giudizio.
Cassazione, sentenza n. 31204/2021Corte di Cassazione, sentenza 2 novembre 2021 n. 31204. Legittima la registrazione di una conversazione in presenza senza il consenso dell’altra parte per difendere un diritto in giudizio.
Nota di Luigi Verde
Con la sentenza 2 novembre 2021 n. 31204 la S.C. ha aderito alle argomentazioni poste alla base della decisione dei giudici di merito che, pur escludendo la natura discriminatoria del licenziamento, lo avevano ritenuto illegittimo per insussistenza del fatto contestato.
In primo luogo, il rifiuto opposto da un lavoratore alla partecipazione ad un corso obbligatorio di formazione era stato ritenuto giustificato in considerazione di diversi elementi, quali l’esiguità del termine di preavviso (meno di due giorni), l’orario in cui si sarebbe dovuto tenere l’evento (diverso da quello ordinario), la località di svolgimento del corso (a oltre cento chilometri dal luogo abituale di prestazione dell’attività lavorativa). Quanto al preavviso non “congruo” come da prassi aziendale, la Corte di Cassazione ha affermato che “la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale. Ed esso, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonte sociali, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale”.
Inoltre, e in particolare, la Cassazione ha precisato che il dipendente può registrare la conversazione in presenza con il superiore gerarchico, in quanto tale misura potrebbe servire in futuro alla tutela dei propri diritti, a fronte di una verosimile contestazione disciplinare per il suo rifiuto di partecipazione al suddetto corso di formazione. È pertanto legittimo che il lavoratore registri i colloqui con i colleghi o i superiori sul luogo di lavoro per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda. Si può prescindere dal consenso degli interessati quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto.
Secondo la S.C., l’art. 24 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), “permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612); sicché, l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio: con la conseguenza della legittimità (id. est: inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle
necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322)”.
“[…] Corte di cassazione, sentenza 2 novembre 2021 n. 31204
Fatto.
1.Con sentenza 24 dicembre 2018, la Corte d’appello di Genova rigettava la domanda di J.M. di accertamento della natura discriminatoria e ritorsiva del licenziamento intimatogli per giusta causa il 13 ottobre 2015 da E. s.p.a. e condannava la società datrice al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari a € 2.301,78, oltre accessori di legge e il lavoratore alla restituzione di quanto percepito, oltre interessi dalla data del pagamento, in esecuzione della sentenza di primo grado: così riformandola, limitatamente all’accertamento della natura discriminatoria e ritorsiva del licenziamento e alla condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitoria dalla risoluzione del rapporto all’effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, ferma la sua condanna ad essa.
2.A motivo della decisione, la Corte ligure riteneva: a) giustificato il rifiuto opposto dal lavoratore alla partecipazione ad un corso obbligatorio di formazione, per l’esiguità del termine di preavviso (meno di due giorni), a fronte di un evento in orario diverso da quello ordinario e in una località ad oltre cento chilometri dal luogo abituale di
prestazione dell’attività lavorativa; b) consentita al lavoratore la registrazione della conversazione in presenza con il superiore gerarchico, in quanto finalizzata alla tutela giurisdizionale dei propri diritti, a fronte di una verosimile contestazione disciplinare per il suo rifiuto di partecipazione al suddetto corso obbligatorio; c) priva dell’elemento soggettivo la sua dichiarazione al medico, che poi la certificava, di essere stato aggredito, nel medesimo contesto della registrazione, dal superiore, il quale, infilandogli la mano nel taschino del camice da lavoro per sottrargli il dispositivo, ne aveva effettivamente invaso la sfera personale: pertanto non falsa, ma esagerata, secondo la sua percezione.
3. Essa escludeva invece, in difetto dei rispettivi presupposti, la natura discriminatoria (per la diversità delle condotte tenute dal lavoratore e dal superiore, giustificante una differente reazione datoriale, sanzionatoria solo nei confronti del primo), né ritorsiva (per l’ampio intervallo temporale, di quasi tre anni, tra il comportamento che avrebbe determinato detta reazione e la sanzione espulsiva) del licenziamento intimato.
4..Sicché, ritenuto illegittimo il licenziamento per insussistenza del fatto contestato, la Corte territoriale, invariata la tutela reintegratoria, applicava quella indennitaria nella misura prevista dal quarto comma, in luogo di quella del primo comma dell’art. 18 I. 300/1970, come novellato dalla I. 92/2012.
5.Con atto notificato il 15 gennaio 2019, la società ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso.
6.Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l.137/20 inserito da I. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.
7.Entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione .
1.Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto l’esistenza di una prassi
aziendale di congruo preavviso (non di soli due giorni, come nel caso di specie) ai dipendenti convocati per un corso di formazione obbligatorio (cui peraltro avevano partecipato, senza nulla opporre, altri tredici dipendenti analogamente avvisati), in assenza di alcuna norma contrattuale, né prova di una prassi aziendale in tale senso: neppure ricavabile dalle dichiarazioni del teste B. (apoditticamente ritenute “in sé e per sé credibili”, senza una prudente valutazione di attendibilità, nonostante la sua qualità di membro della stessa RSU di J.M. e i suoi plurimi contenziosi con la società datrice), a giustificazione del rifiuto del lavoratore, integrante grave insubordinazione rispetto a tre ordini datoriali in tale senso.
2.Con il secondo, essa deduce omesso esame circa un fatto oggetto di discussione tra le parti, per totale assenza di motivazione a giustificazione dell’individuazione delle fonti di prova a base della decisione (per la sola testimonianza di B., con esclusione di altre, senza altri riscontri oggettivi).
3.Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1340, 2104, 2105, 2119 c.c., 18, quarto comma I. 300/1970, 24 d.lg. 196/2003, 167, 220, 225 CCNL per dipendenti di aziende del terziario di distribuzione e servizi del 18 luglio 2008, per: a) apodittica affermazione (quanto al primo addebito di insubordinazione, anche alla luce delle richiamate previsioni degli artt. 20, lett. h, 36, 37 e 59, primo comma d.lg. 81/2008) di incongruità del preavviso dato al lavoratore di obbligatoria partecipazione al corso di formazione: in assenza di riferimento ad alcun canone legale, in particolare di buona fede e correttezza, al contrario osservato dalla datrice per la comunicazione di un preavviso, cui non tenuta, in mancanza di una specifica previsione, neppure ricavabile dal CCNL (prodotto per estratto) per istituti analoghi, quali l’invio in missione o la trasferta; b) erronea esclusione (quanto al secondo addebito) della violazione del diritto alla riservatezza dei colleghi, con la registrazione della conversazione in presenza senza il loro consenso, non scriminata dalla tutela giurisdizionale di un diritto del lavoratore, in assenza della sua attualità; c) integrazione delle false dichiarazioni rese dal lavoratore al medico, che poi le aveva certificate, di essere stato aggredito dal superiore gerarchico, erroneamente esclusa dalla Corte territoriale, che pure le riteneva non veritiere anche se non assistite dall’elemento soggettivo, secondo la percezione del primo, aliena dall’intenzione di una falsa accusa di aggressione: avendo tuttavia il lavoratore consapevolmente deliberato di rendere la dichiarazione, contraria al vero, di averla subita, così versando in una condizione di dolo generico, coerente con l’addebito (terzo) contestato.
4.Con il quarto motivo, essa deduce omesso esame circa un fatto oggetto di discussione tra le parti, in riferimento: all’inosservanza dal lavoratore di ben tre ordini, e non di uno soltanto, di partecipazione al corso di formazione (quanto al primo addebito); alla presenza all’incontro con il superiore gerarchico voluta dal lavoratore, accanto a sé come testimone, di un collega, così da non rendere necessaria la registrazione della conversazione in funzione della precostituzione di prove per la tutela di diritti (quanto al secondo); alla denuncia-querela del lavoratore, dopo il licenziamento, contro il superiore gerarchico per l’aggressione, sintomatica della sua piena consapevolezza della falsità della dichiarazione di aggressione resa (quanto al terzo).
5.Tutti i motivi sono congiuntamente esaminabili, per la loro stretta connessione e in parte inammissibili, in parte infondati.
6.Per una più organica e ordinata trattazione, pare opportuno procedere nel distinto riferimento delle censure illustrate ad ogni addebito.
7.E così, in relazione al primo (ingiustificato rifiuto di partecipazione del lavoratore a corso obbligatorio di formazione, integrante insubordinazione grave), giova premettere che la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale. Ed esso, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali (le quali, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda), agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (Cass. s.u. 13 dicembre 2007, n. 26107; Cass. 28 luglio 2009, n. 17481; Cass. 25 marzo 2013, n. 7395).
7.1. Ebbene, la Corte territoriale ha accertato in fatto l’esistenza di una prassi aziendale di congruo preavviso ai lavoratori, nel convocarli per partecipare ai corsi di formazione, in particolare sulla base delle dichiarazioni non soltanto del teste B., ma anche del teste C. (dal terzultimo alinea di pg. 13 al quattordicesimo di pg. 14 della sentenza): prassi che nel caso di specie non è stata rispettata. Sicché, l’accertamento del giudice del merito è stato congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 16 della sentenza) ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 3 giugno 2004, n. 10591; Cass. 11 luglio 2007, n. 15489).
7.2. Al di là della non appropriata denuncia (con il secondo motivo), formalmente rubricata alla stregua di omesso esame di un fatto, in realtà di assenza di motivazione (da denunciare piuttosto, alla luce della novellazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., se ritenuta al di sotto del “minimo costituzionale”, come error in procedendo, quale nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.: Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), un tale vizio, che ricorre qualora non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione (Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 12 settembre 2018, n. 22192; Cass. 15 novembre 2019, n. 29721), non sussiste nel caso di specie, avendo la Corte territoriale reso congruo e argomentato conto (per le ragioni indicate per relationem nello scrutinio dei precedenti mezzi, in riferimento al primo addebito) della formazione del proprio convincimento decisorio.
7.3. Quanto poi all’omesso esame denunciato con il quarto motivo (di inosservanza dal lavoratore di tre ordini, e non di uno soltanto, di partecipazione al corso di formazione), al di là della sua non decisività per inidoneità a determinare un esito diverso della controversia (Cass. 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass. 25 giugno 2018, n. 16703), in quanto già ritenuto giustificato il rifiuto del lavoratore, la circostanza è stata pure esaminata, essendo stati i tre ordini riportati nella trascrizione della contestazione disciplinare (dal penultimo capoverso di pg. 11 al primo di pg. 12 della sentenza).
7.4. In esito alle superiori argomentazioni, deve così ritenersi assorbita ogni altra questione, in particolare relativa al punto sub a) del terzo motivo, sull’addebito in esame.
8.In ordine al secondo addebito (violazione del diritto alla riservatezza dei colleghi, con la registrazione della conversazione in presenza senza il loro consenso), questa Corte ha già affermato che la registrazione di conversazioni tra presenti all’insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con conseguente legittimità del licenziamento intimato (Cass. 21 novembre 2013, n. 26143; Cass. 8 agosto 2016, n. 16629; Cass. 16 maggio 2018, n. 11999).
8.1. Tuttavia, l’art. 24 d.lg. 196/2003 permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612); sicché, l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio: con la conseguenza della legittimità (id. est: inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle
necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322). Al riguardo, questa Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento … Dunque, neppure tale addebito può integrare illecito disciplinare, rispondendo la condotta in discorso alle necessità conseguenti al legittimo esercizio d’un diritto e, quindi, essendo coperta dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico” (Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424).
8.2. Si tratta evidentemente di un profilo estremamente delicato, che esige un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra.
Ed esso si deve fondare su una valutazione rigorosa del requisito di pertinenza, nella prospettiva di una diretta e necessaria strumentalità, della registrazione all’apprestamento della finalità difensiva nell’orizzonte sopra illustrato, all’interno di una scrupolosa contestualizzazione della vicenda. Ciò che ha fatto, in applicazione del suenunciato principio di diritto, la Corte d’appello nel caso di specie, avendo
accertato in fatto, con argomentazione congrua, che il colloquio registrato “tra il C. e il M. riguardava il rifiuto di quest’ultimo di partecipare al corso del 5 ottobre e nell’ambito di tale colloquio il M. intendeva esplicitare le ragioni per cui non poteva parteciparvi… il che esclude che la registrazione in questione abbia riguardato un momento di normale relazionalità gerarchica tra dipendenti… Considerato poi che la mancata partecipazione al corso senza alcun preavviso e senza alcuna giustificazione o autorizzazione a non parteciparvi, ben poteva comportare una contestazione disciplinare, stante l’obbligatorietà di detto corso, è indubbio che il M. aveva necessità di poter documentare il contenuto del colloquio” (così al secondo e al terzo capoverso di pg. 22 della sentenza): sicché, le ragioni appena riportate e quelle ulteriori (ancora al terzo capoverso di pg. 22 fino al nono alinea di pg. 23 della sentenza) rendono l’accertamento in fatto insindacabile nell’odierna sede di legittimità.
9.Quanto infine al terzo addebito (false dichiarazioni del lavoratore al medico, che poi le aveva certificate, di essere stato aggredito dal superiore gerarchico), giova ribadire che la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è nozione che la legge (allo scopo di un adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo) configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. E che tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica, sicché la loro disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e
così pure della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (Cass. 29 aprile 2004, n. 8254; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 10 luglio 2018, n. 18170; Cass. 6 settembre 2019, n. 22358).
9.1. In particolare, la gravità di una mancanza commessa dal lavoratore deve essere valutata, ai fini disciplinari, non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata compiuta, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente (Cass. 28 ottobre 2000, n. 14257; Cass. 15 febbraio 2008, n. 3865).
9.2. Pertanto, l’accertamento della gravità delle infrazioni poste a base di un licenziamento, in quanto necessariamente mediata dalla valutazione delle risultanze di causa, si risolve in un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità in termini di violazione di legge, se non con la specifica denuncia di un contrasto tra il giudizio in tal senso espresso dal giudice di merito (di gravità, appunto) e i principi dell’ordinamento quali delineati dalla giurisdizione di legittimità o gli standard valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono, con i principi medesimi, a comporre il diritto vivente (Cass. 10 dicembre 2007, n. 25743; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4369; Cass. 4 febbraio 2020, n. 2515).
9.3. E la Corte ligure ha anche qui condotto un accertamento in fatto, in corretta applicazione dei principi di diritto consolidati nell’insegnamento giurisprudenziale di questa Corte, congruamente argomentato (dal primo capoverso di pg. 24 al primo di pg. 26 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità.
10.Per le ragioni sopra illustrate, il ricorso deve essere allora rigettato, con la statuizione sulle spese, con distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta, secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass.s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto […]”.
Commenti recenti