(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 33713 depositata il 4 dicembre 2023 .

Le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale ed hanno perciò valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità

Lavoro– Art. 7 della Direttiva 2003/88/CE–Dissuasione dal godimento delle ferie–Retribuzione–C.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie–Compensi spettanti a titolo di incentivo per attività di condotta oraria–Attività di riserva–Assenza dalla residenza- Principio di fedeltà ai precedenti-Indennità tipiche della mansione di macchinista -Status personale e professionale lavoratore.

CORTE di CASSAZIONE

[…]

Rilevato che

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento del ricorso proposto dai lavoratori indicati in epigrafe tutti dipendenti della T. s.r.l. con la qualifica di macchinisti, aveva accertato il diritto al computo nella retribuzione dovuta durante le ferie dei compensi spettanti a titolo di incentivo per attività di condotta oraria, di attività di riserva previsti dall’art. 54.2 del contratto aziendale T. del 22 giugno 2012 nonché dei compensi correlati all’assenza dalla residenza prevista dall’art. 77 del contratto aziendale, condannando la società al pagamento degli importi calcolati per ciascun dipendente.

1.1. La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione che, con riguardo alla retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia ed ha ritenuto che sussiste una nozione europea di “retribuzione” che comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore”.

1.2. Il giudice di appello ha poi verificato che la retribuzione erogata in via ordinaria durante il servizio comprendeva le indennità variabili richieste mentre la società includeva nella retribuzione erogata durante le ferie la parte fissa prevista dall’art. 48.1.1 (lett. a, b, c, d) del c.c.a. e l’indennità di turno di cui all’art. 48.1.2. dello stesso contratto, rimanendo, invece, esclusi gli altri compensi, pure erogati incontestatamente in maniera continuativa, e segnatamente gli incentivi per attività di scorta e di riserva sebbene fossero collegati alla prestazione delle attività proprie dei Capi treno previste dal c.c.n.l. come lavoro effettivo.

1.3. Verificata quindi le nozioni contrattuali di “attività di condotta” e di “riserva” (ai sensi dell’art. 54.2 del c.c.a.), quella di “assenza dalla residenza” (ai sensi dell’art. 77 del c.c.a.) e quella di retribuzione (prevista dall’art. 20 dell’accordo aziendale T. dell’11.3.2015), ha ritenuto che dette indennità siano tipiche della mansione di macchinista e compensative anche dello status professionale dei ricorrenti che rivestivano tutti tale qualifica.

1.4. Quanto alla corrispondenza della retribuzione percepita nel periodo feriale sulla base della normativa interna rispetto a quella fissata imperativamente dall’art. 7 della direttiva 2003/88, come interpretata dalla Corte di Giustizia, la Corte di appello ha ribadito che occorre verificare se la retribuzione corrisposta possa costituire una dissuasione dal godimento delle ferie ed in tale prospettiva ha accertato che una sensibile diminuzione è effettivamente idonea a dissuadere dal beneficiarne.

1.5. Ha poi sottolineato che la motivazione della sentenza di primo grado che aveva accertato la stretta connessione tra le indennità chieste e riconosciute e lo specifico status dei lavoratori da ritenere assimilabili ad integrazioni collegate alle qualifiche professionali rivestite, non era stata specificatamente censurata in appello dalla società che si era limitata a sostenere che si trattava di indennità che non compensavano alcun disagio intrinsecamente connesso alla prestazione lavorativa assegnata.

2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la T. s.r.l. affidato a quattro motivi. I lavoratori in epigrafe indicati hanno opposto difese con tempestivo controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

3. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003\88\CE e dell’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 oltreché dell’art. 36 della Costituzione e dell’art. 2109 del cod. civ. in relazione alla disciplina da applicarsi in tema di ferie retribuite. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe poggiato l’intero impianto argomentativo della sentenza sull’errato presupposto dell’efficacia vincolante dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in ordine al concetto di ferie retribuite espresso dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, di cui l’art. 10 del d. lgs. n. 66 del 2003 sarebbe precipua espressione e trasposizione nel diritto interno, non avvedendosi che il d.lgs. n. 66 del 2003 è attuazione di direttive differenti rispetto a quella oggetto di commento da parte delle pronunce della Corte di giustizia (le direttive 93/104/CE e 2000/34/CE).

2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 Cost. e dell’art. 2109 cod. civ. in relazione alla definizione ed al concetto di “ferie retribuite” come espressi dalla Cassazione ai quali la sentenza non si è uniformata. Conseguentemente denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa contrattuale di riferimento in T. ed in particolare con riferimento all’art. 20.3. del contratto collettivo aziendale T.. Sostiene, la società ricorrente, che i giudici d’appello si sarebbero discostati dai principi espressi dalla Cassazione in materia di determinazione e quantificazione della retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo feriale la cui nozione è rimessa alla contrattazione collettiva che, nel caso di specie (art. 20.3 del contratto aziendale di T.) ha escluso dette voci dalla retribuzione feriale.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ancora una volta, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE in relazione all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia in tema di ferie retribuite. Sostiene, la ricorrente, che il fine ultimo dell’interpretazione data alla disciplina dalla giurisprudenza europea sia quello di salvaguardare il diritto all’effettivo godimento delle ferie da parte dei lavoratori e, dunque, di evitare che una retribuzione “non paragonabile” a quella “ordinaria” abbia un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo del diritto alle stesse, con ciò salvaguardando una retribuzione feriale inferiore a quella ordinaria purché non sia irrisoria e tale da dissuadere il lavoratore ad esercitare il suo diritto alle ferie (come è reso evidente dall’uso degli aggettivi retribuzione “paragonabile” o “in linea di principio”). La sentenza sarebbe, dunque, errata per aver ritenuto contraddittoriamente che la retribuzione durante il periodo di ferie deve coincidere con quella di fatto percepita nel periodo di riferimento senza tener conto del fatto che l’effettiva incidenza delle voci rivendicate era del tutto irrisoria e che tutti i ricorrenti avevano pacificamente beneficiato delle ferie. In subordine chiede alla Corte di sottoporre con rinvio pregiudiziale la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché questa possa chiarire, attraverso l’interpretazione autentica, la ratio e il contenuto nella nozione europea di retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie fissata dall’articolo 7 della direttiva 88/2003.

4. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. in relazione all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come novellato dalla legge n. 92 del 2012 in materia di prescrizione dei crediti retributivi vantati dai controricorrenti, avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto decorrere la prescrizione dei crediti di lavoro solamente alla cessazione del rapporto di lavoro, rilevando che per effetto delle modifiche apportate all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori dalla legge n. 92 del 2012 il regime di stabilità dei rapporti di lavoro sia stato modificato in modo talmente incisivo da privare il lavoratore dalla stabilità del rapporto come precedentemente garantita.

5. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Tutte le questioni illustrate con i suesposti motivi di ricorso sono già state esaminate e ritenute non fondate da decisioni della Corte rese in controversie concernenti la stessa vicenda (Cass. nn. 18160, 19663, 19711, 19716 del 2023; vedi, altresì, in precedenza, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216 del 2022). Pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse da quelle disattese nei giudizi analoghi, deve operare il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione (vedi Cass., sez. un, 4 luglio 2003, n. 10615; 15 aprile 2003, n. 5994;). Si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali.

6. La nozione di retribuzione durante il periodo di godimento delle ferie è influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze R.S. del 2006; S.H. e altri, 20.1.2009, cause C-350/06 e C-520/06; W. e altri, 13.12.2018, C-155/10; To.He., 13.12.2018, C-385/17) che ha inteso assicurare al lavoratore una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria erogata nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’UnioneQualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. 13.1.2022, C-514/20).

7. Le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, ed hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).

8. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425 del 2019). Del pari, con riguardo all’indennità spettante in caso di mancato godimento delle ferie, questa Corte ha affermato che detta indennità deve comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 37589 del 2021).

9. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, poi, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi (l’incentivo per attività di scorta e quello per l’attività di riserva) connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo, ex art. 28 punto 2 lett. c del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie; ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile.

10. Ritiene allora il Collegio che l’interpretazione delle norme collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, oltre ad essere del tutto plausibile, è in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.

11. In ordine alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, trattasi di valutazione in concreto appartenente al giudice di merito, che ha ragionevolmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata.

12. Infine, non sussistono i presupposti per procedere alla sospensione della causa e rinviare alla Corte di Giustizia posto che il rinvio pregiudiziale interpretativo richiesto pone una questione sulla quale la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata, anche recentemente (cfr., da ultimo, sentenza 13.1.2022 citata; cfr. inoltre, CGUE 6.10.1982 srl C. e L.G. spa contro Ministero della Sanità e 6.10.2021, C-561/19 Consorzio Italian Managment) e che, in ogni caso, la valutazione del caso concreto – vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali – è attività riservata al giudice nazionale.

13. Il quarto motivo non è fondato, avendo, questa Corte, recentemente affermato – proprio in ordine alla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro – che per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 e poi dal d.lgs. n. 23 del 2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata; conseguentemente, per tutti quei diritti che, come nella specie, non sono prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n. 26246 del 2022).

14. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. e sono da distrarsi a favore dell’Avv. F.D.F. che ha dichiarato di averle anticipate.

13. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio […]”