(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Diritto a un processo equo. Norma di legge che interviene retroattivamente a dirimere giudizi in corso. Violazione dell’art. 6 CEDU[1]. Sussiste.
Causa Poletti c. Italia, Prima Sezione, sentenza 2 febbraio 2023 (ricorso n. 50326/10).
Causa Leoni c. Italia, Prima Sezione, sentenza 2 marzo 2023 (ricorso n. 50338/10).
Causa L’ortofrutticola soc. coop. c. Italia, Prima Sezione, sentenza 13 luglio 2023 (ricorso n. 35538/16).
Causa Bellotto e altri c. Italia, Prima Sezione, sentenza 16 novembre 2023 (ricorsi nn. 5170/21 e altri).
Causa Vainieri e altri c. Italia, Prima Sezione, sentenza 14 dicembre 2023 (ricorsi nn. 15550/11 e altri).
Viola l’art. 6, comma 1, CEDU la disposizione legislativa che offra l’interpretazione autentica di precedenti disposizioni con valore retroattivo e, pertanto, determina in senso sfavorevole ai ricorrenti l’esito di giudizi già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge.
Viola l’art. 6, comma 1, CEDU la disposizione legislativa che -offrendo l’interpretazione autentica con valore retroattivo- stabilisce che le circolari INPS sul calcolo delle prestazioni dovute ai pensionati del settore aereo (c.d. Fondo Volo) siano valide ed efficaci in luogo di decreti ministeriali adottati in base a una precedente legge e, pertanto, determinino in senso sfavorevole ai ricorrenti l’esito di giudizio già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge.
FATTO E DIRITTO.
Le prime due sentenze ineriscono a casi identici a quello venuto all’esame della Corte EDU nelle sentenze Maggio c. Italia del 2011, e Stefanetti e altri c. Italia del 2014. Si trattava dell’applicazione retroattiva della legge finanziaria per il 2007 (n. 296 del 2006), il cui art. 1, comma 777, dava l’interpretazione autentica della convenzione italo-svizzera sui contributi pensionistici versati dai lavoratori italiani in Svizzera. La legge menzionata era intervenuta a risolvere questioni applicative sollevate in un giudizio già in corso e a determinarne l’esito in senso favorevole all’INPS.
La Corte EDU -all’unanimità-constata la violazione dell’art. 6 CEDU, nonché dell’art. 1, Prot. 1. Riconosce ai ricorrenti (Irma Virginia Poletti ed Emanuele Leoni) somme a titolo sia di danno patrimoniale, sia morale sia ancora per le spese.
La terza sentenza concerne una vicenda identica a quella trattata dalla pronuncia Silverfunghi c. Italia del 2014. Basti qui rammentare che negli anni ’80 dello scorso secolo, la legge italiana contemplava provvidenze per le aziende agricole -mediante fiscalizzazioni e sgravi contributivi- una duplice riduzione dei contributi previdenziali che esse versavano per i propri dipendenti. Nel luglio 1988, l’INPS aveva emanato una circolare in cui dichiarava che le fiscalizzazioni e gli sgravi contributivi erano alternativi e non cumulativi. Quattro società agricole avevano agito in giudizio contro l’INPS nel 2000 e nel 2002. In primo grado e in appello avevano ottenuto ragione. Tuttavia nel novembre 2003, con la legge n. 326 fu stabilito che le provvidenze erano alternative e non cumulative. Sulla base della nuova legge (interpretativa ad effetti retroattivi), la Cassazione aveva accolto i ricorsi dell’INPS. Come nel precedente Silverfunghi, la Corte EDU ravvisa violato l’art. 6 CEDU, a motivo che la legge è intervenuta in favore di una parte a contenzioso aperto.
La quarta sentenza non offre precisi ragguagli di fatto. Essa rappresenta soltanto che i ricorrenti facevano valere una situazione identica a quella oggetto dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006), vale a dire quella dedotta nella sentenza Agrati c. Italia del 2011. Siccome essi erano risultati soccombenti in virtù della legge interpretativa retroattiva, la Corte EDU constata all’unanimità la violazione dell’art. 6 CEDU (ma non quella dell’art. 1 Prot. 1).
I ricorrenti della quinta sentenza, invece, erano tutti ex dipendenti di compagnie aeree. Costoro -all’atto di cessare dal servizio- avevano scelto di riceverete il TFR in parte in capitale e in parte mediante una rendita periodica a carico del c.d. Fondo Volo (una gestione autonoma dell’INPS). La rendita, a loro avviso, doveva essere rivalutata sulla base di due decreti ministeriali (rispettivamente il n. 1338 del 1962 e n. 192 del 1981), a loro volta adottati in virtù di diposizioni di legge. Viceversa, l’INPS aveva adottato criteri attuariali specifici, con diversi coefficienti di rivalutazione, meno favorevoli. Ne erano nati pertanto diversi contenziosi.
Con la legge finanziaria per il 2008 (la n. 244 del 2007, all’art. 1, comma 503), era stato stabilito che la rivalutazione delle prestazioni del Fondo Volo doveva essere effettuata secondo le determinazioni dell’INPS, che quindi dovevano ritenersi prevalenti sui decreti ministeriali; in tal senso si era orientata la Corte di cassazione nel dirimere definitivamente le controversie pendenti.
La Corte EDU, all’unanimità, constata la violazione dell’art. 6 CEDU, conformemente ai propri granitici precedenti (v. ancora, per tutti, Maggio c. Italia e Agrati c. Italia del 2011) e condanna la Repubblica italiana ad risarcire ai ricorrenti il danno sia materiale sia morale e rifondere loro le spese di giudizio.
[1]L’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) affronta il tema dell’equo processo, della ragionevole durata (articolo 6, par. 1), della presunzione di innocenza (articolo 6, par.2) e delle garanzie processuali dell’imputato in relazione al principio del contraddittorio (articolo 6, par. 3). Ruolo di primaria importanza ha il “diritto ad essere ascoltati”, ovvero il riconoscimento all’imputato di potersi confrontare in giudizio con l’accusatore, previsto all’art. 6, par. 3 lett. d, CEDU, nell’ambito del più ampio principio del contraddittorio disciplinato anche dalle costituzioni e legislazioni nazionali.
L’art. 6, par. 1 della CEDU, laddove afferma che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, precisa che la sentenza dev’essere resa pubblicamente, mentre l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale, quando lo esigono gli interessi dei minori, la protezione della vita privata delle parti in causa o rischio di pregiudizio agli interessi della giustizia.
Secondo il par. 2: “Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”.
Il par. 3 lett. d stabilisce che ogni accusato ha diritto di: “esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico”.
Per la giurisprudenza della Corte EDU, nel rispetto dell’art. 6 par. 3, lett. d, vi è la necessità di un contraddittorio effettivo, per cui la condanna non può essere basata solo su dichiarazioni rese in una fase antecedente al dibattimento.
Ciò in sintonia col sistema processuale accusatorio italiano, per il quale la prova dev’essere formata in dibattimento, nel contraddittorio fra le parti. Sono peraltro consentite deroghe a tale principio, secondo la giurisprudenza delle Corte EDU, qualora sia stato fatto tutto il possibile da parte dei giudici nazionali per ascoltare il testimone in dibattimento, oppure quando la testimonianza non sia determinante ai fini della sentenza, ossia quando la condanna sia basata su altre prove. Pertanto le dichiarazioni acquisite al di fuori del contraddittorio potranno contribuire a fondare un giudizio di condanna, nel pieno rispetto delle garanzie difensive di matrice europea, se sostenute da altri elementi.
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