Covid, baratro povertà assoluta per altre 2,1 milioni di famiglie
31 Agosto 2020COVID, DA ACROBATI DELLA POVERTÀ A NUOVI POVERI[1]
Covid, baratro povertà assoluta per altre 2,1 milioni di famiglie. In ginocchio un esercito di 3,3 milioni di lavoratori irregolari e 2,9 milioni di working poor.
A rischio 830.000 posti di lavoro. Per oltre un italiano su due, la crisi e il “mancato rimbalzo” possono provocare rabbia e odio sociale.
È quanto emerge dal Focus Censis[2] Confcooperative[3] “Covid da acrobati della povertà a nuovi poveri. Ecco il rischio di una nuova frattura sociale”.
GLI ACROBATI DELLA POVERTÀ: Sfruttati, mortificati, mal pagati, senza una rete di protezione sociale e risparmi a cui attingere, con un futuro previdenziale da incubo. Sono i lavoratori che durante il lockdown hanno visto crollare all’improvviso il loro reddito andando a ingrossare la sacca di povertà assoluta. Sono loro gli acrobati della povertà, hanno sempre guadagnato il minimo per sbarcare il lunario, ma il lockdown li ha messi ko. Lo stress test socio-economico della lockdown economy mette a dura prova il paese e apre crepe profonde in aree di fragilità già acute in fase precovid. Sono 2,1 milioni le famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare. Ben 1.059.000 famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare (sono il 4,1% sul totale delle famiglie italiane). Di queste, più di 1 su 3, vale a dire 350 mila, è composta da cittadini stranieri. Un quinto ha minori fra i propri componenti, quasi un terzo è costituita da coppie con figli, mentre 131mila famiglie possono invece contare soltanto sul lavoro non regolare dell’unico genitore.
LA GEOGRAFIA DELLE FAMIGLIE POVERE: La presenza di famiglie con solo
occupati irregolari pesa al Sud dove si concentra il 44,2%, ma le percentuali che riguardano le altre ripartizioni danno conto comunque di una diffusione considerevole anche nel resto del Paese: il 20,4% nel Nord Ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 14% nel Nord Est.
«Il paese vede la sua competitività ferma al palo dal 1995. Abbiamo un’occupazione più bassa della media europea. Un deficit che è cresciuto di 20 punti e un Pil che chiuderà con un rosso a due cifre sfondando il tetto del 10%. Abbiamo una geografia sociale ed economica del Paese molto sbilanciata (dice Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative) con poco meno di 23 milioni di lavoratori, oltre 16 milioni di pensionati, 10 milioni di studenti (con una formazione che non è sempre d’eccellenza) e oltre 10 milioni di poveri. Il problema non è il deficit, ma la capacità o meno di poterlo pagare. In merito al Recovery Fund (aggiunge Maurizio Gardini) subito risorse per politiche strutturali che tendano sia alla salvaguardia dell’attuale occupazione, ma soprattutto alla creazione di nuovo lavoro. Solo rilanciando
innovazione, competitività e occupazione potremo far fronte ai debiti che abbiamo contratto, ridurre le diseguaglianze e costruire un modello di Paese più equo, più sostenibile»[4].
LA MAPPA DELLA POVERTÀ PRE COVID: Nel 2019 le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno. Tra gli individui assolutamente poveri, 1 su 4 erano minori (un esercito da 1,14 milioni di persone), mentre gli stranieri quasi 1 su 3 (1,4 milioni). Le persone senza fissa dimora erano stimate in 112mila, ma l’area dell’indigenza che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2 milioni e 700mila persone.
COSA È SUCCESSO NEL LOCKDOWN: Durante i mesi di stretto lockdown, 15 italiani su 100 hanno visto ridursi il reddito del proprio nucleo familiare più del 50%, mentre altri 18 italiani su 100 hanno subito una contrazione compresa fra il 25 e il 50% del reddito, per un totale di 33 italiani su 100 con un reddito ridotto almeno di un quarto. Ancora più drammatica la situazione fra le persone con un’età compresa fra i 18 e i 34 anni, per le quali il peggioramento inatteso delle propria situazione economica ha riguardato 41 individui su 100 (riduzione di più del 50% per il 21,2% e fra il 25 e il 50% per il 19,5%).
In sintesi, la metà degli italiani (50,8%) ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% fra i giovani, del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra gli imprenditori e i liberi professionisti. La percentuale fra gli occupati a tempo indeterminato ha in ogni caso raggiunto il 58,3%[5].. 2 – Le conseguenze sul reddito familiare durante l’emergenza Co
2020 (val.%)
LE ATTESE DEGLI ITALIANI SUL PROSSIMO ANNO: Le attese degli italiani sul
proprio reddito familiare, per i prossimi dodici mesi, assumono in ogni caso una
connotazione tendenzialmente negativa. Se il 49,2% prevede una sostanziale invarianza del reddito rispetto a quello precedente il Covid, il 47% considera probabile una contrazione (per il 7,0% superiore al 50%) e solo il 3,8% prevede un aumento[6]
Fra i giovani, le attese negative salgono al 51,9%, mentre per le persone con un’età
compresa fra i 35 e i 44 anni la riduzione del reddito appare probabile nel 53,2% dei casi.
Per i lavoratori indipendenti e i liberi professionisti, la percentuale raggiunge invece il 72,1%.
Secondo il Censis, il 55% della popolazione teme l’eventualità che si possano diffondere rabbia e odio sociale come conseguenze delle difficoltà economiche[7].
Il 50% prevede un forte aumento della disoccupazione e un numero crescente di persone costrette a dipendere da sussidi e sostegni da parte dello Stato, mentre il 33,9% teme che proprio l’intervento dello Stato possa essere insufficiente per la sanità e per le misure di contrasto alla povertà, alla disoccupazione e ad altre emergenze sociali.
Più concentrato sugli aspetti della sanità il 27,2% delle risposte che rimanda al rischio che il Coronavirus possa ridurre l’attenzione rispetto ad altre patologie gravi, mentre il 25,5% teme di veder svanire i risparmi di una vita[8].
E accanto all’attesa dei risultati delle manovre finora messe in campo dal Governo per far ripartire il Paese, l’altra grande incognita è data dall’entità del “rimbalzo” che ci si potrà aspettare per riuscire a colmare i disastri prodotti dal contagio di Coronavirus.
Se il Pil è previsto in caduta per quest’anno sull’ordine delle due cifre e se la ripresa per il 2021 non potrà superare il 5%, per quanto riguarda l’occupazione, Svimez[9] prevede un ridimensionamento in termini assoluti che, per il 2020, sfiorerà il milione di persone[10].
Il rimbalzo parziale nel 2021 porterebbe a un recupero di 490mila occupati, appena la metà dei posti di lavoro persi nel corso di quest’anno.
Anche in questo caso il “rimbalzo mancato”, comunque parziale, accentuerebbe le distanze territoriali, concentrando il recupero prevalentemente nelle regioni
centrosettentrionali (+2,5%) rispetto al Mezzogiorno (+1,3%).
Sul piano delle tipologie di lavoratori, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha dimostrato come il rischio di disoccupazione possa colpire più duramente proprio fra i lavoratori dipendenti a basso reddito.
In questa “zona rossa” ricadrebbero:
a)138mila lavoratori temporanei con contratto a termine in scadenza fra marzo e ottobre e con un reddito imponibile mensile di 962 euro;
b)264mila dipendenti in società di capitali a rischio in un settore a rischio e con un reddito mensile di 1.099 euro;
c)426mila dipendenti di ditte individuali in settori a rischio e con un reddito di 831 euro.
In totale, l’area dei più esposti al rischio disoccupazione è pari a 828mila lavoratori; in media, il loro reddito mensile si aggira intorno ai 900 euro[11].
Il crinale di precarietà lungo il quale si muove quasi un milione di lavoratori è il contesto entro il quale si stanno concretizzando le paure degli italiani. Appare diffusa l’opinione che, una volta passato lo stordimento da contagio di questi primi mesi, possa prendere piede quella “rabbia fredda” prodotta da una crisi senza luce in fondo al tunnel.
WORKING POOR E LAVORATORI IRREGOLARI: rappresentano una doppia debolezza del nostro mercato del lavoro che rischia di esplodere perché la lockdown economy ha rischiato di incenerire il lavoro per 2,9 milioni di working poor e 3,3 milioni di irregolari.
Il fenomeno dei working poor: riguarda i lavoratori che, nonostante siano occupati, non riescono con la retribuzione percepita ad assicurarsi una condizione dignitosa. Se si considera la soglia retributiva di 9 euro all’ora – presa come riferimento per il salario minimo legale – la platea di lavoratori che si colloca al di sotto comprende 2,9 milioni di individui, il 12,2% del totale degli occupati. Oltre la metà, il 53,3%, è costituito da uomini, mentre il 47,4% (un milione e 395mila lavoratori) ha un’età compresa fra i 30 e i 49 anni. Fra le figure professionali prevale quella operaia (79%).
Le dimensioni del lavoro irregolare: sono più di 3,3 milioni gli occupati che prestano la propria opera in maniera irregolare. Di questi, 2,56 milioni sono nelle attività dei
Servizi, mentre quasi 1 milione è riconducibile al personale domestico[12].
Oltre mezzo milione di lavoratori irregolari presta la propria attività all’interno del comparto Industria e poco meno di 220mila nel settore Agricolo. Complessivamente il 74,1% svolge un’attività alle dipendenze, il restante 25,9% svolge la propria attività in forma autonoma.
[1] Fonte Censis. Riadattamento e sintesi del testo a cura della Redazione di q. giornale online.
[2] Il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964..
[3] Confederazione cooperative italiane, fondata nel 1919.
[4] Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
[5] indagine fine aprile e inizi maggio 2020. Fonte: elaborazione Censis su dati Banca d’Italia.
[6] (*): indagine fine aprile e inizi maggio 2020. Fonte elaborazione Censis su dati Banca d’Italia.
[7] Fonte Censis, 2020
[8] Fonte Censis, 2020.
[9] SVIMEZ (acronimo per Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno):associazione privata senza fini di lucro, costituita nel 1946,volta a promuovere lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia, al fine di proporre concreti programmi di azione e di opere intesi a creare e a sviluppare le attività industriali.
[10] Fonte: elaborazioni Censis su dati Svimez.
[11] Fonte: elaborazioni Censis su dati Ufficio Parlamentare di Bilancio.
[12] Fonte: elaborazione Censis su dati Istat.