(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Cassazione. Ordinanza 27 maggio 2024, n. 14740

Danno biologico differenziale per invalidità permanente.  Richiesta di manleva. Carattere gravoso delle mansioni. Esposizione del lavoratore a rischi per la salute. Assenza della adozione delle necessarie misure di prevenzione e della sorveglianza sanitaria. Omessa valutazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi. Rendita INAIL. Rigetto.

“[…] La Corte di Cassazione.

(omissis)

Rilevato che

1. La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di E. spa (già E.D. s.p.a.), confermando la pronuncia di primo grado, di condanna della citata società al risarcimento del danno biologico differenziale per invalidità permanente in favore degli eredi di D.A., operaio di squadra lavori in servizio dall’1.6.1975 al 31.1.2001, deceduto il 19.8.2013, nonché di rigetto della pretesa della società stessa di essere manlevata dalla Compagnia assicuratrice I.A.I. spa (ora G.I. spa).

2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che le prove raccolte dimostrassero l’esposizione del lavoratore, in ragione del carattere gravoso delle mansioni svolte, ai rischi per la salute, in assenza della adozione delle necessarie misure di prevenzione, tra cui la sottoposizione del dipendente a sorveglianza sanitaria.

3. Avverso tale sentenza la società E. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Gli eredi di D.A. hanno resistito con controricorso. Anche G.I. spa, subentrata ad I.A.I. spa, ha resistito con controricorso presentando a sua volta ricorso incidentale condizionato cui ha resistito con controricorso E. spa.

4. Le parti hanno depositato memorie.

5. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Considerato che

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/1965, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, quanto al mancato riconoscimento, da parte della Corte territoriale, della insussistenza dei presupposti di imputabilità penale per l’addebito del danno differenziale.

3. Con un secondo articolato motivo si censura:

a) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 cc

b) la violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 164 del 7 gennaio 1956;

c) la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 CCNL E. 20.5.1973, degli artt. 4, 24, 33, 34 e Tabella d.p.r. 303/1956 nonché degli artt. 4, 16, 21 e 22 d.lgs. n. 626/1994, in relazione alla imputata omissione della sorveglianza sanitaria;

d) la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 d.lgs. n. 626/1994,  2087 cc e 11 disposizioni sulla legge in generale, in relazione al profilo della omessa considerazione della movimentazione manuale dei carichi da parte del DVR E.;

e) l’omesso esame di fatti 
decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 10 d.p.r. 1124/1965 e 13 D.lgs. n. 38/2000, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, quanto alla quota di danno risarcibile in via differenziale, per avere errato la Corte territoriale nel non avere considerato a defalco delle somme riconoscibili agli eredi del D. in base ai parametri risarcitori civilistici tutte le somme già percepite dall’INAIL periodicamente a titolo di rendita: in particolare, secondo la ricorrente, avrebbero dovuto essere detratte sia la somma corrispondente alla capitalizzazione del danno biologico rivalutata, sia pure la somma corrispondete a tutti i ratei di rendita corrisposti dall’INAIL dalla data di riconoscimento della malattia professionale (14.2.1010) fino alla data della sentenza.

5. Con il quarto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1368 cc, con riferimento alla polizza assicurativa, per non avere la Corte territoriale ricompreso il danno differenziale nella copertura della polizza assicurativa oggi riferibile a G.I. spa, per una errata interpretazione delle relative clausole contrattuali.

6. Con il ricorso incidentale condizionato la Compagnia di Assicurazione lamenta la violazione degli artt. 2909 cc e 324 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché l’eccezione di giudicato esterno e la violazione dell’art. 112 cpc, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per non avere la Corte territoriale rilevato che sul merito del dedotto rapporto di garanzia si era formato un giudicato esterno e sulla relativa eccezione, formulata in sede di note conclusive, la Corte di merito non si era pronunciata valutando, invece, il merito della domanda.

7. Il ricorso non è fondato, richiamandosi, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., i precedenti di legittimità che si sono pronunciati su fattispecie sovrapponibili a quella oggetto di causa (v. Cass. n. 31957 del 2022; n. 31955 del 2022; n. 31919 del 2022; n. 31852 del 2022; n. 28968 del 2022; n. 28946 del 2022; n. 7385 del 2022).

8. In particolare, il primo motivo di ricorso è infondato.

9. La pronuncia resa dalla Corte di appello di Roma ha accertato la responsabilità del datore di lavoro con criteri di tipo civilistico, conformemente all’orientamento consolidato espresso da questa Suprema Corte (v. Cass. 7385 del 2022; n. 7471 del 2022; n. 31852 del 2022; n. 31919 del 2022; n. 12041 del 2020; n. 9166 del 2017; n. 27699 del 2017).

10. Neppure il secondo motivo può trovare accoglimento.

11. E’ sufficiente leggere i brani della sentenza d’appello che, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, riassumono le allegazioni e deduzioni del lavoratore (di essere stato dipendente E. dall’1.6.1975 al 31.1.2001, con mansioni di operaio elettricista di squadra …e di essere stato adibito alle attività di palificazione/elettrificazione, costruzione, manutenzione e ammodernamento degli elettrodotti; di aver svolto compiti che comportavano scuotimenti e vibrazioni nonché posture incongrue e soggezione a fattori climatici sfavorevoli; che la società aveva violato le norme poste a tutela della salute e, in particolare, aveva omesso, fino al 2007, la sorveglianza sanitaria e la valutazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi, al sovraccarico biomeccanico degli arti, alle vibrazioni meccaniche ed aveva altresì omesso di informare e formare i lavoratori, come prescritto dal decreto legislativo 626/1994) per escludere la sussistenza delle violazioni contestate quanto all’obbligo di allegazione facente capo alla parte ricorrente in primo grado.

Sulla base di tali allegazioni relative alle modalità di svolgimento della prestazione, la Corte territoriale ha accertato, con apprezzamento insindacabile in questa sede, che le mansioni cui era adibito il lavoratore rientravano nell’ipotesi prevista dalla lettera i) dell’art. 37 c.c.n.l. E. (“personale che presta la propria opera in condizione di particolare gravosità e disagio”) e che tanto comportava il dovere per la società datrice di adottare tutte le ulteriori e diversificate misure quali, in particolare, la sottoposizione a controlli medici necessari a prevenire il verificarsi di conseguenze dannose per la salute.

I Giudici di secondo grado si sono conformati al consolidato orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui grava sul lavoratore l’onere di provare di aver subito un danno a causa dell’attività svolta, nonché il nesso di causalità tra l’uno e l’altra, mentre incombe sul datore l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie al fine di evitare il danno, ricomprendendosi in questa categoria anche quelle misure di sicurezza c.d. innominate, cioè non espressamente contemplate dalla legge, ma comunque fondate su conoscenze tecnico-scientifiche o su altre fonti analoghe (Cass. n. 10319 del 2017; n. 29879 del 2019; n. 12041 del 2020). Neppure fondato è il rilievo di mancata ammissione dei testimoni, in quanto tale vizio può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 27415 del 2018; n. 5654 del 2017).

12. Il terzo motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento.

13. La Corte territoriale, dopo avere riportato 
correttamente la nozione e la formula per la individuazione del cd. danno differenziale, ha rilevato la esattezza del calcolo effettuato dal primo giudice che ha detratto dal danno biologico per la invalidità permanente, accertato secondo i comuni criteri civilistici sulla base delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, la quota di rendita INAIL imputabile al danno biologico, evidenziando che non occorreva alcuna capitalizzazione della stessa risultando l’importo di euro 8.184,35 pari a quanto pacificamente percepito dall’assicurato fino al momento della sua morte avvenuta nel 2013.

14. Le censure della ricorrente, che fanno riferimento alla sottrazione del valore capitale della rendita, non sono pertinenti alla ratio decidendi della gravata sentenza che, come detto, ha sottratto dalla liquidazione del danno riconosciuto tutto quanto già corrisposto all’assicurato fino al decesso, senza individuare il montante capitale della rendita atteso che la erogazione questa si era interrotta al momento della morte.

15. Né è ravvisabile una violazione dell’art. 2697 cc (circa la mancata produzione della necessaria documentazione INAIL), come sostenuto dalla società, atteso che la Corte ha dato atto della presenza in atti della nota INAIL dell’1.4.2014, riportante l’importo corrisposto all’assicurato di euro 8.184,35 (somme liquidate a titolo di danno biologico fino al decesso) e, quindi, si verte in ipotesi di valutazione delle risultanze processuali e non di violazione dei criteri riguardante le regole sull’onere della prova.

16. Il quarto motivo di ricorso è, infine, anche esso infondato.

17. La ricorrente non specifica in maniera chiara e precisa i vizi esegetici in cui sia incorsa la Corte territoriale nell’interpretare il contratto di assicurazione e nel rigettare, in particolare, la domanda di manleva, non sussistendo, peraltro, alcuna contraddizione tra la mancata considerazione del rilievo penale della condotta datoriale e il rigetto della suddetta domanda di manleva.

Invero, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile avanti al giudice di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. (Cass. n. 27136/2017).

18. La censura, quindi, non può risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. (Cass. n. 28319/2017; Cass. n. 9461/2021).

19. Alla stregua di quanto esposto il ricorso principale deve essere rigettato con conseguente assorbimento della trattazione di quello incidentale proposto da G.I. spa solo in via condizionata all’accoglimento del quarto motivo del ricorso di E. spa.

20. Al rigetto segue la condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo, in favore di ciascuno dei controricorrenti, con distrazione per quanto riguarda i Difensori degli eredi di D.A.

21. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo, nei soli confronti della ricorrente principale; nulla invece va disposto per la ricorrente incidentale avendo essa proposto il gravame solo in via condizionata e la cui trattazione è stata ritenuta con la presenta ordinanza assorbita; il versamento del cd. doppio contributo è dovuto, infatti, come da costante orientamento di questa Corte, solo nelle ipotesi di declaratoria di infondatezza del merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità del ricorso e non negli altri casi in cui non via una pronuncia in detti termini.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale di E. spa (già E.D. spa), assorbito quello incidentale condizionato presentato da G.I. spa. […]”