Decesso del lavoratore. Rendita superstiti. Esposizione a rischio generico. Infortunio in itinere.Tutela indennitaria.Nesso eziologico tra lavoro-rischio ed evento.
Cassazione, sentenza 22 febbraio 2022, n. 5814.Corte di Cassazione. Sentenza 22 febbraio 2022, n. 5814.
L’infarto configura infortunio sul lavoro quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo ed il mancato espletamento di una consulenza medico-legale può costituire una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito.
Decesso del lavoratore. Forte stress lavorativo. Rendita superstiti ex art. 85 D.P.R. 1124/1965. Esposizione a rischio generico. Infortunio in itinere. Tutela indennitaria.Nesso eziologico tra lavoro-rischio ed evento.
Dal testo della sentenza
“[…] Fatti di causa
- La Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda degli odierni ricorrenti, eredi di (omissis), volta ad ottenere la rendita ai superstiti, ex art. 85 del DPR nr. 1124 del 1965.
- Nella motivazione, la Corte di appello ha premesso le circostanze di fatto allegate dagli appellanti, descritte nei termini che seguono: «Il decesso (del de cuius) […] (in viaggio di lavoro in (omissis ) (è) avvenuto a causa di una situazione di forte stress lavorativo, determinatasi tra il (omissis) e il (omissis) , a seguito della cancellazione di un volo aereo per maltempo che lo aveva costretto ad una lunga attesa in aeroporto, ad un pernottamento di fortuna in un albergo e ad un successivo viaggio in treno di oltre 700 km sino a (omissis) ove aveva dovuto subito partecipare ad una importante riunione, con un periodo di veglia di quasi 24 ore consecutive».
- La Corte territoriale ha, poi, osservato che il de cuius, il successivo (omissis) veniva trovato morto (in (omissis)) nella sua camera d’albergo e che in ordine ai fatti esposti non sussisteva alcuna contestazione.
- Nel merito, ha giudicato infondata la domanda. A tale riguardo, ha rilevato come l’evento denunciato non fosse collegato alla prestazione lavorativa in sé ma derivasse dalla esposizione ad un rischio generico (cancellazione del volo per maltempo e quanto poi ne era conseguito) cui possono essere esposti, in modo indifferenziato, tutti coloro che viaggiano in aereo.
- Per la Corte di appello, l’arresto cardiocircolatorio (rectius: Il dedotto infarto), oltre ad essere meramente ipotizzato – non risultando mai effettuato un esame autoptico diretto a stabilire con certezza la causa della morte -, non poteva dirsi in rapporto di derivazione eziologica con l’attività di lavoro, mera occasione e non causa dell’exitus. Ha reputato, perciò, non sussistenti le condizioni per disporre una consulenza tecnica d’ufficio.
- Avverso la decisione, hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi indicati in epigrafe, articolato in quattro motivi.
- Ha resistito, con controricorso, l’INAIL.
- Il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
- Parte ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
- Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, perché nessuno di essi ha chiesto la trattazione orale.
- Con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 del DPR nr. 1124 del 1965.
- Assumono che la Corte d’Appello avrebbe errato nella interpretazione della nozione di «causa violenta», in particolare, richiedendo la prova del nesso eziologico del decesso con uno sforzo diretto a vincere dinamicamente una resistenza.
- Deducono l’erroneità della argomentazione in ragione del fatto che gli eredi avevano allegato, sin dall’atto introduttivo del giudizio, la morte del congiunto per infarto del miocardio (e dunque per una causa ex se violenta, secondo la giurisprudenza della Corte), insorto a seguito delle condizioni di stress fisico e psichico determinatesi durante il viaggio di lavoro in (omissis).
- Con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 del DPR nr. 1124 del 1965, dell’art. 85 del DPR nr. 1124 del 1965 e dell’art. 41 cod.pen.
- Assumono che la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso il collegamento causale dell’evento con l’occasione di lavoro, senza considerare che nel concetto di «occasione di lavoro» sono da ricomprendere anche le attività finalizzate all’esecuzione della prestazione lavorativa, compresi gli spostamenti tra un luogo e l’altro, e che, alla nozione di infortunio in itinere, vanno ricondotti anche gli eventi determinati da rischi a cui è sottoposta la genericità dei viaggiatori, con il solo limite del cd. «rischio elettivo».
- I ricorrenti affermano che la giurisprudenza della Corte, da sempre, riconosce la tutela indennitaria in presenza di infortuni in itinere derivanti dalla sottoposizione ad un «rischio generico aggravato dal lavoro», configurabile quando il rischio generico è affrontato dal dipendente per finalità lavorative, come accaduto nella specie.
- Con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 del DPR nr. 1124 del 1965, dell’art. 85 del DPR nr. 1124 del 1965, dell’art. 2697 cod.civ., dell’art. 2727 cod.civ. e dell’art. 2729 cod.civ.
- E’ censurata l’affermazione della Corte di appello secondo cui «l’arresto cardio-circolatorio» (rectius: l’infarto) del de cuius sarebbe stato «meramente ipotizzato dagli appellanti» e non provato (non risultando mai effettuato un esame autoptico diretto a stabilire con certezza la causa della morte).
- In tal modo, secondo i ricorrenti, la sentenza non avrebbe considerato la possibilità di soddisfare l’onere probatorio (anche) attraverso l’allegazione di elementi idonei a fondare un ragionamento presuntivo o comunque a comprovare i fatti (nella specie, la causa della morte del de cuius) con un elevato grado di probabilità e verosimiglianza.
- Nel caso in esame, i ricorrenti avevano supportato la domanda con due relazioni mediche che individuavano, in termini di elevata probabilità, l’infarto del miocardio quale causa del decesso del de cuius.
- Si critica, infine, la scelta di non ammettere la consulenza tecnica d’ufficio, sul presupposto, invece errato, che solo l’esame autoptico avrebbe consentito di stabilire con certezza la causa della morte.
- Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti deducono – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 445 cod.proc.civ.
- Sostengono, in sintesi, che in presenza della documentazione medica versata in atti, la Corte d’Appello, per la natura della controversia, avrebbe dovuto dar corso alla c.t.u. di cui avevano fatto richiesta sia in primo grado che in grado d’appello.
- I motivi vanno congiuntamente esaminati, presentendo profili di stretta connessione.
- Essi sono fondati nei limiti della presente motivazione
- La vicenda concreta è descritta nello storico di lite.
- Il decesso del lavoratore è sopraggiunto durante un viaggio di lavoro, nel corso del quale questi, a seguito della cancellazione di un volo aereo, per maltempo, dapprima affrontava una lunga attesa in aeroporto, poi un pernottamento di fortuna, quindi un viaggio in treno di oltre 700 km, per raggiungere la sede di partecipazione ad una riunione, con una veglia di quasi 24 ore consecutive. All’esito di tali eventi, veniva trovato morto nella camera d’albergo.
- La sentenza impugnata ha escluso l’infortunio in itinere.
- Come noto, con la disciplina dettata dall’art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000, la tutela assicurativa gestita dall’INAIL è stata estesa all’infortunio che colpisce il lavoratore lungo il percorso che collega l’abitazione al lavoro e viceversa.
- L’art. 2, comma 3, del D.P.R. nr. 1124 del 1965, nel testo applicabile ratione temporis e risultante dalla modifica apportata dal predetto art. 12, stabilisce, infatti, e per quanto qui solo rileva, che «salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro», precisando che «l’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti».
- Interpretando l’anzidetta disposizione, questa Corte ha avuto modo di chiarire che essa amplia la tutela assicurativa, perché la estende a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro ed esclude qualsiasi rilevanza all’entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto.
- La norma tutela, infatti, il rischio generico (quello del percorso) cui soggiace qualsiasi persona che lavori, restando confinato il c.d. rischio elettivo a tutto ciò che sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella tipica «legata al c.d. percorso normale»(così in motivazione, Cass. nr. 18659 del 2020 e Cass. nr. 7313 del 2016) così da realizzare una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro-rischio ed evento.
- Ne consegue, alla stregua dell’anzidetta interpretazione, che la sussistenza di un rapporto finalistico tra il c.d. «percorso normale» e l’attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica.
- E’, dunque, errata la decisione impugnata là dove afferma che il rischio del lavoratore, integrato, in concreto, dalla cancellazione del volo e dagli eventi che ne sono susseguiti, con conseguente riduzione delle pause di riposo fisiologiche, risulta estraneo all’attività lavorativa.
- La situazione oggetto di giudizio va, viceversa, attratta, a pieno titolo, nella nozione di infortunio in itinere.
- Neppure è condivisibile la pronuncia nella parte in cui esclude la deduzione -e la prova- di una «causa violenta».
- La statuizione non considera, infatti, che, nella fattispecie, viene in rilievo, quale dedotta causa della morte del de cuius, l’infarto acuto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è da inquadrare, ex se, nell’ambito della causa violenta.
- La Corte, da tempo risalente, riconosce che «in caso di infarto, il carattere violento della causa va individuato nella natura stessa dell’infarto, dove si ha una rottura dell’equilibrio dell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione temporale» (Cass. nr. 13982 del 2000; Cass. nr. 14085 del 2000).
- L’infarto, dunque, configura infortunio sul lavoro(Cass. nr 14085 del 2000 cit.; Cass. nr. 17676 del 2007 e numerose altre) quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo. La connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali; sussiste, cioè, anche nel concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna.
- La giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante, afferma che il ruolo causale dell’attività lavorativa non è escluso da una preesistente condizione patologica del lavoratore la quale, anzi, può rilevare in senso contrario, in quanto può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l’attività lavorativa e l’infortunio(Cass. nr. 13928 del 2004; Cass. nr. 13184 del 2003) e precisa che un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia (Cass. 21 maggio 2003 n. 8019).
- Pertanto, in base alla normativa sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, allorché si discuta di infarto del miocardio occorso in occasione della prestazione lavorativa, anche lo stress psicologico e ambientale(che, nella specie, secondo la prospettazione dei ricorrenti, andrebbe ricondotto agli incidenti del viaggio) può integrare la causa violenta prevista dall’art. 2 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, idonea a determinare con azione rapida e intensa la lesione(Cass. nr. 8019 del 2003).
- Inoltre, la sentenza impugnata, nella valutazione dei mezzi di prova, non considera che la causa della morte ed il collegamento eziologico con l’attività lavorativa, possano essere dimostrati, dalla parte onerata del relativo carico probatorio, anche con un grado, se non di certezza, di probabilità qualificata.
- Fermo ilprincipio per cui la valutazione delle prove raccolte costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, la decisione erra quando non tiene conto che la prova, a carico del lavoratore, in ordine al nesso di causalità relativo all’origine professionale di una patologia può essere data anche in via di «probabilità qualificata», da verificare attraverso ulteriori elementi idonei a tradurre in certezza giuridica le conclusioni in termini probabilistici(cfr., ex plurimis, Cass. 5 agosto 2010 n. 18270; Cass. 5 settembre 2006 n. 19047; in motivaz. Cass. nr.17354 del 2021).
- Passando, infine, alla statuizione resa dalla Corte di appello in ordine alla non ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, va sicuramente confermato, in questa sede, il principio per cui il ricorso o meno ad un’indagine tecnica d’ufficio, pur non essendo certamente libera nel fine, configura esercizio di una scelta discrezionale rimessa al giudice di merito. La relativa scelta, infatti, sia pure riferita ad un’attività processuale, è intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciata con la valutazione complessiva dei dati acquisiti in causa e, quindi, della sostanza stessa della lite(v. Cass. sez.un., nr. 8077 del 2012, In motiv., § 4.1., richiamata, ex plurimis, da Cass., sez.un., nr.22302 del 2021, in motiv., § 5.1.) e ciò impone che la decisione sia appannaggio esclusivo del giudice di merito, suscettibile di essere portata all’attenzione della Corte di cassazione nei limiti del paradigma normativo di cui all’art.360 nr. 5 cod.proc.civ.
- Al contempo, va, però, anche osservato come il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso, può costituire una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, soprattutto nelle controversie ove gli elementi rilevanti ai fini della decisione richiedano informazioni tecniche, quali sono i processi relativi a domande di prestazioni previdenziali o assistenziali(Cass. nr.17399 del 2015).
- In conclusione, sulla base di quanto precede, osserva il Collegio come il giudice dell’appello, nella conduzione dell’indagine a lui demandata, non abbia fatto corretta applicazione delle regole e dei principi di diritto qui ricordati, così, in definitiva, incorrendo negli errori di diritto denunciati.
- La sentenza impugnata va, dunque, cassata con rinvio alla Corte di appello di l’Aquila che, in diversa composizione, nel procedere al nuovo esame della fattispecie, farà corretta applicazione dei principi esposti e, alla stregua degli stessi, rimediterà, anche, la scelta di ammettere o meno la consulenza tecnica d’ufficio.
- Al giudice del rinvio è rimesso, altresì, di provvedere in merito alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità[…]”.
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