Demansionamento: quantificazione del danno basata su durata ed entità.

Cassazione, Ord. n.7483/2020

di Alberto Limardo

Corte di Cassazione. Ordinanza  n. 7483 del 23 marzo 2020: Risarcimento del danno professionale- Quantificazione basata su durata ed entità del demansionamento-Due giudizi tra le stesse parti riferiti al medesimo rapporto giuridico-Uno di essi definito con sentenza passata in giudicato-Accertamento compiuto in ordine alla situazione giuridica o alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, preclude il riesame dello stesso punto.

La quantificazione del risarcimento del danno professionale per demansionamento va effettuata sulla base dei parametri della durata e dell’entità della condotta datoriale illegittima.

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 7483 del 23 marzo 2020, è tornata a pronunciarsi su uno degli aspetti maggiormente discussi in materia di demansionamento, fornendo indicazioni orientative di rilievo per gli operatori del diritto del lavoro.  

“Il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma esso può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell’art. 2729 c.c., attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti”. A tal fine, possono essere valutati: a) la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta; b) il tipo e la natura della professionalità coinvolta; c) la durata del demansionamento; d) la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.

Nella fattispecie si trattava del demansionamento di un dipendente del settore telecomunicazioni che aveva svolto un lavoro di assistenza ai clienti privo dei requisiti di coordinamento di unità organizzative complesse (qualificanti delle mansioni di coordinatore di gruppo di lavoro), la cui mancanza era stata ritenuta fonte di dequalificazione e del conseguente diritto al risarcimento del danno (si v. anche Cass. n. 21/2019).

La S.C. ha confermato il giudizio di merito (App. Napoli) che aveva presunto l’esistenza di un depauperamento professionale in ragione del lungo arco temporale per il quale si era protratto (un biennio), tenendo conto delle mansioni svolte. La Cassazione ha inoltre parametrato il danno professionale alla durata ed all’entità del demansionamento subìto, affermando il corretto operato dei giudici di merito nella liquidazione equitativa del danno, con condanna della società a corrispondere al lavoratore un risarcimento pari alla metà delle retribuzioni percepite (nel biennio in questione). Tale liquidazione era stata motivata sulla base di due parametri essenziali: la qualità delle condotte datoriali concretizzatasi nel perdurante svuotamento delle mansioni condotto tramite la privazione continua delle funzioni di coordinamento caratterizzanti l’incarico formale attribuito e la durata delle stesse (ben due anni).

 

Testo dell’ordinanza

 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA sul ricorso 23727-2015 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che la rappresentano e difendono; – ricorrente – contro (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS); – controricorrente –

avverso la sentenza n. 2293/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/03/2015 R.G.N. 3585/2011.

Rilevato che

  1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accogliemento della domanda proposta da L. C., aveva condannato T. I. s.p.a. al risarcimento del danno professionale subito dalla lavoratrice quantificato in misura pari al 50% delle retribuzioni maturate dal 2 luglio 2007 all’8 luglio 2009 oltre accessori dovuti per legge.
  2. Il giudice di secondo grado – dopo aver rammentato che la sentenza che aveva accertato che la C. doveva essere inquadrata nel VI livello del c.c.n.l. di categoria era stata confermata dalla Corte di Cassazione e che anche la sentenza con la quale era stato accertato il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno da demansionamento nel periodo 31.12.2004-2.7.2007 era passata in giudicato – ha poi osservato che fino al giugno 2008 non era intervenuto alcun provvedimento atto ad incidere sul rapporto di lavoro e, pertanto, si era protratta una situazione di fatto suscettibile di essere valutata alla luce del giudicato esterno già formatosi.
  3. Per il periodo successivo al giugno 2008, poi, la Corte territoriale ha accertato che le mansioni alle quali era stata assegnata (reparto AOL di Napoli Ovest dove per otto mesi aveva svolto un lavoro di assistenza ai clienti la cui linea non era stata installata con successo e poi si era occupata dal PC delle opposizioni dei proprietari di terreni della compilazione dei richiami alle ditte appaltatrici sempre sotto la direzione ed il coordinamento di un responsabile), non contestate dalla società, erano prive dei requisiti di coordinamento di unità organizzative complesse che la Cassazione aveva ritenuto qualificanti delle mansioni di coordinatore di gruppo di lavoro e la cui mancanza era stata ritenuta fonte di dequalificazione e del conseguente diritto al risarcimento del danno.
  4. Quanto alla sua quantificazione il giudice di appello ha ritenuto corretto il parametro adottato in considerazione della durata e dell’entità del demansionamento.
  5. Per la cassazione della sentenza propone tempestivo ricorso T. I. s.p.a. affidato a tre motivi al quale resiste con controricorso L. C.. La ricorrente T. s.p.a. ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ..

Considerato che

  1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in relazione all’art. 4 della legge n. 58 del 1992 ed all’art. 2103 cod. civ..

6.1. Sostiene la ricorrente che il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere efficace il giudicato esterno senza tenere conto che gli ipotetici demansionamenti erano relativi a spazi temporali diversi e riguardavano l’applicazione di norme differenti. La sentenza della Cassazione atteneva all’errato inquadramento nel passaggio da A.S.S.T. a T. mentre la sentenza della Corte di appello di Napoli, passata in giudicato, era relativa al periodo precedente e non poteva spiegare efficacia di giudicato ed era inidonea a coprire la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti (nello specifico non accertati stante la mancata istruttoria e la mancata prova del danno).

  1. Il motivo è infondato.

7.1. Va qui ribadito che “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo” (cfr. in tal senso fra le tante Cass. S.U. 17 dicembre 2007 n.26482, Cass. S.U. 16 giugno 2006 n. 13916 Cass. 12 aprile 2010 n. 8650).

7.2. Orbene, nel caso in esame la cassazione ha accertato che l’inquadramento della lavoratrice non era corretto ed il diritto al risarcimento del danno da demansionamento è una conseguenza diretta di tale accertamento anche con riguardo al protrarsi del demansionamento e fino al corretto inquadramento della lavoratrice.

  1. Con il secondo motivo di ricorso la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ., all’art. 23 del c.c.n.l. Telecomunicazioni del 2005 ed agli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ..

8.1. Sostiene la società ricorrente che erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto sufficiente ai fini della prova del danno da demansionamento il mero accertamento dell’esistenza dello stesso senza ulteriore verifica istruttoria dell’esistenza e della consistenza del depauperamento/mancato arricchimento professionale mancando così una logica ed adeguata motivazione.

8.2. Osserva inoltre che il giudice di appello non avrebbe neppure dato conto delle caratteristiche della declaratoria del 6° livello del c.c.n.l. Telecomunicazioni del 2005, se non attraverso il richiamo alla sentenza della Cassazione, laddove invece le mansioni svolte rientravano esattamente in quelle attribuite.

  1. Anche tale motivo di ricorso è destituito di fondamento.

9.1. Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente la Corte di merito procede proprio a questo accertamento e, con una ricostruzione in fatto in questa sede incensurabile, esclude che le mansioni assegnate avessero i requisiti propri del sesto livello di inquadramento spettante, caratterizzate dal coordinamento di unità operative complesse nello specifico escluso.

  1. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2043, 1223, 1218 cod. civ. e 414 cod. proc. civ. e 2967 cod. civ e 115 e 116 cod. proc. civ..

10.1. Ad avviso di T. I. s.p.a. la ricorrente non aveva allegato alcunchè con riferimento al danno da demansionamento denunciato ed il giudice di merito, per liquidare il danno, avrebbe dovuto accertare l’effettiva lesione della professionalità non essendo sufficiente a tal fine l’aver posto in essere una condotta illegittima che, in ogni caso, la società contesta.

  1. Anche tale motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

11.1. Rileva il Collegio che, una volta accertato il demansionamento, che si era protratto sulla base di un non contestato diniego dei compiti di coordinamento, correttamente la Corte con ragionamento presuntivo ritiene provato il danno e ne conferma la liquidazione equitativa effettuata.

11.2. E’ ben vero che il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma esso può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell’art. 2729 c.c., attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione (cfr. Cass. 03/01/2019 n. 21) e nella specie l’accertamento del demansionamento era riconducibile a giudizi già definiti e passati in giudicato; nessuna modifica alle mansioni era intervenuta e la Corte ha correttamente presunto l’esistenza di un depauperamento professionale in ragione del lungo arco temporale per il quale si è protratto tenendo conto della natura delle mansioni svolte (cfr. anche Cass. n. 25473 del 2018).

In conclusione, per le ragioni svolte il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, da distrarsi in favore dell’avvocato che se ne dichiara antistatario, seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

Va poi dato atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in €  5000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.