Divieto di discriminazione fondata sulla religione. Conclusioni dell’avvocato generale.

Cause riunite C-804/18 e C-341/19. 25 Febbraio 2021

Divieto di discriminazione fondata sulla religione.

Conclusioni dell’avvocato generale nelle cause riunite C-804/18 IX c. WABE e.V. e C-341/19 MH Müller Handels GmbH c. MJ. 25 febbraio 2021.

Secondo l’avvocato generale Rantos, un datore di lavoro può autorizzare, nel contesto della sua politica di neutralità, che i suoi dipendenti indossino segni religiosi di piccole dimensioni. 25 febbraio 2021.

Causa C-804/18: La WABE, un’associazione tedesca di pubblica utilità, gestisce centri giornalieri per l’infanzia. Essa è apartitica e aconfessionale. IX è educatrice specializzata e lavora per la WABE dal 2014. Di fede musulmana, ha deciso all’inizio del 2016 di indossare il velo islamico anche sul luogo di lavoro. Da ottobre 2016 a maggio 2018 è stata in congedo parentale.

Nel marzo 2018, la WABE emanava istruzioni di servizio sul rispetto del principio di neutralità. Tali istruzioni vietano ai dipendenti di indossare, sul luogo di lavoro, segni visibili delle loro convinzioni politiche, ideologiche e religiose. Il riferimento è, in particolare, al crocifisso cristiano, al velo musulmano e alla kippah ebraica: Il rispetto del principio di neutralità non si applica ai dipendenti della WABE che lavorano nella sede centrale dell’impresa ove non hanno contatti con i clienti.

Informata delle istruzioni adottate dalla WABE, IX rifiutava di togliere il velo e, di conseguenza, riceveva diversi avvertimenti per poi essere temporaneamente sospesa dal lavoro.

La dipendente contesta dinanzi all’Arbeitsgericht Hamburg (Tribunale del lavoro di Amburgo, Germania) la decisione della WABE.

Causa C-341/19: la società MH Müller Handels gestisce in Germania una catena di drogherie. MJ, di fede musulmana, è alle dipendenze di tale impresa dal 2002 in qualità di consulente di vendita e cassiera. Al suo ritorno dal congedo parentale nel 2014, diversamente da quanto accaduto in precedenza, indossava un velo islamico. A fronte del suo rifiuto di rimuovere il foulard sul posto di lavoro, riceveva da parte del suo datore di lavoro, nel luglio 2016, l’istruzione di presentarsi al lavoro priva di segni vistosi e di grandi dimensioni di convinzioni politiche, ideologiche o religiose.

MJ contesta la decisione del suo datore di lavoro e quest’ultimo chiede al Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) di rigettare il ricorso di MJ.

I due giudici chiedono alla Corte di giustizia se tali regole delle imprese siano conformi alla direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (Dir. n. 2000/78, “che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”).

Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Athanasios Rantos, ricorda, anzitutto, che la direttiva intende per “parità di trattamento”, l’assenza di ogni discriminazione diretta o indiretta fondata, inter alia, sulla religione.

A suo avviso, in riferimento alla giurisprudenza della Corte nelle cause G4S Secure Solutions (Sent. 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15), e Bougnaoui (Sent. 14 marzo 2017, Bougnaoui e ADDH, C-188/15), il divieto di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile relativo alle convinzioni politiche, ideologiche o religiose, derivante da una norma interna di un’impresa privata, non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali nei confronti dei lavoratori che seguono determinate regole di abbigliamento in ragione di obblighi religiosi che impongono di coprirsi.

L’avvocato generale esamina, quindi, la questione della compatibilità con il diritto dell’Unione, nel contesto di una politica di neutralità dell’impresa, del divieto, posto da una norma interna, di indossare sul luogo di lavoro segni vistosi e di grandi dimensioni di convinzioni politiche, ideologiche o religiose.

Nella sua sentenza G4S Secure Solutions, la Corte si è riferita al fatto di indossare in modo visibile qualsiasi segno di convinzioni religiose sul luogo di lavoro, statuendo che il divieto di indossare tali segni è idoneo a assicurare la corretta applicazione di una politica di neutralità dell’impresa, a condizione che tale politica sia realmente perseguita in modo coerente e sistematico. La questione del divieto di portare segni vistosi e di grandi dimensioni non è stata ancora decisa dalla Corte.

L’avvocato generale rileva che tale questione si risolve nel verificare se il fatto di indossare in modo visibile segni di piccole dimensioni sia opportuno. Al riguardo, considera che una politica di neutralità politica, ideologica o religiosa di un datore di lavoro, nei rapporti con la clientela, non sia incompatibile con l’uso, da parte dei suoi dipendenti, di segni, visibili o meno, ma di piccole dimensioni, in altre parole discreti, e che non si notino a prima vista.

Secondo l’avvocato generale, non spetta alla Corte dare una definizione dell’espressione «piccole dimensioni», dal momento che il contesto nel quale il segno è indossato può assumere rilevanza. Tuttavia, ritiene che il velo islamico non costituisca un segno religioso di piccole dimensioni. Spetta pertanto al giudice nazionale di esaminare la situazione caso per caso.

L’avvocato generale sostiene che, se è pur vero che il divieto di indossare, sul luogo di lavoro, qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, ideologiche o religiose è ammissibile, il datore di lavoro è tuttavia libero, nel contesto della sua libertà d’impresa, di vietare unicamente l’uso di segni vistosi e di grandi dimensioni.

L’avvocato generale conclude che una norma interna di un’impresa privata che vieta, nell’ambito di una politica di neutralità, unicamente di indossare sul luogo di lavoro segni vistosi e di grandi dimensioni di convinzioni politiche, ideologiche o religiose può essere giustificata. Un divieto siffatto deve essere perseguito in modo coerente e sistematico, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio.

Infine, l’avvocato generale esamina la questione se gli Stati membri possano applicare una normativa nazionale che tutela la libertà d religione nell’esaminare istruzioni fondate su una norma interna di un’impresa che vieta di indossare sul luogo di lavoro segni di convinzioni politiche, ideologiche o religiose. Infatti, risulta dalle disposizioni costituzionali tedesche che la volontà di un datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità religiosa nei confronti della clientela è legittima, in linea di principio, solo se l’assenza di tale neutralità gli provocherebbe un danno economico.

L’avvocato generale considera necessario tener conto dei diversi approcci degli Stati membri con riguardo alla tutela della libertà di religione. A suo avviso, le disposizioni nazionali tedesche non sono in contrasto con la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Infatti, esse non vietano una politica di neutralità politica, ideologica o religiosa da parte di un datore di lavoro, ma si limitano a stabilire un requisito aggiuntivo per la sua attuazione, vale a dire l’esistenza di una minaccia sufficientemente concreta di svantaggio economico per il datore di lavoro o per un terzo interessato.

Conseguentemente, l’avvocato generale conclude che un giudice nazionale può applicare disposizioni costituzionali che tutelano la libertà di religione quando esamina la conformità alla direttiva di una norma interna di un’impresa privata che vieta di indossare sul luogo di lavoro segni di convinzioni politiche, ideologiche o religiose. Tuttavia, tali disposizioni non devono ledere il principio di non discriminazione sancito dalla direttiva, circostanza la cui verifica spetta al giudice nazionale.