(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 25 novembre 2024, n. 30310.

“Le dimissioni sono assistite dalla giusta causa delineata dall’art. 2119 cod. civ., allorché si configurino come reazione immediata agli inadempimenti del datore di lavoro, secondo i parametri di ragionevolezza enucleati da questa Corte nel concretizzare i presupposti di validità e di tempestività delle dimissioni. Spetta al lavoratore allegare e dimostrare la sussistenza di una giusta causa di dimissioni, supportando la domanda con i pertinenti dati di fatto anche in ordine al rapporto di consecuzione e d’immediatezza, che disvela l’autentica genesi delle dimissioni rassegnate e ne avvalora la ‘giusta causa’”.

Lavoro. NASpI. Giusta causa dimissioni. Irrilevanza dell’omissione contributiva. Automatismo delle prestazioni previdenziali. Rapporto di consecuzione e immediatezza. Inammissibilità

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatti di causa

1.– Con sentenza n. 240 del 2018, depositata l’8 marzo 2018, la Corte d’appello di Firenze ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda del signor L.D.J., volta a ottenere l’indennità mensile di disoccupazione denominata «Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI)».

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che l’omissione «datoriale dei versamenti contributivi protrattasi per oltre un anno» non integra giusta causa delle dimissioni (art. 2119 cod. civ.) e non vale, dunque, a ricondurre la perdita dell’occupazione «ad una condizione indipendente dalla volontà del lavoratore» (pagina 2 della pronuncia d’appello).

Nessun elemento dimostra che tale omissione fosse nota al momento delle dimissioni e, ad ogni modo, l’inadempimento dell’obbligo di versare la contribuzione previdenziale non pregiudica il lavoratore, tutelato dall’operatività del principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali (art. 2116 cod. civ.).

Sulla scorta di tali rilievi, la Corte d’appello di Firenze non ha ravvisato alcuna «violazione così grave da condizionare irrimediabilmente la continuità del rapporto lavorativo esonerando il dipendente dal preavviso» (pagina 3 della sentenza impugnata).

2.– Il signor L.D.J. ricorre per cassazione, sulla base di un motivo, contro la sentenza d’appello.

3.– L’INPS resiste con controricorso.

4.– Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.

5.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

6.– Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa, in vista dell’adunanza in camera di consiglio.

7.– All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).

Ragioni della decisione

1.– Con l’unico motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il signor L.D.J. denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, in relazione all’art. 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2002, all’art. 45, primo comma, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, all’art. 38 Cost. e all’art. 2119 cod. civ.

Il ricorrente imputa ai giudici d’appello di avere erroneamente escluso la giusta causa delle dimissioni, sul presupposto dell’irrilevanza dell’omissione contributiva e della possibilità di invocare l’automatismo delle prestazioni, sancito dall’art. 2116 cod. civ.

Il mancato versamento dei contributi rappresenterebbe «un comportamento gravissimo sotto il profilo della prosecuzione del rapporto di lavoro» (pagina 4 del ricorso per cassazione) e lederebbe in modo irrimediabile il vincolo fiduciario.

Non si tratterebbe, dunque, di una circostanza marginale, ma di una «patologia del rapporto che determina la legittima rescissione» del rapporto stesso (pagina 6 del ricorso per cassazione).

2.– Il ricorso è inammissibile.

3.– Nel caso di specie, viene in rilievo la disciplina dettata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 2015, che riconosce l’indennità NASpI «anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa».

La Corte di merito ha escluso il ricorrere di una giusta causa di dimissioni e ha negato, pertanto, la fondatezza della pretesa dedotta dal lavoratore sulla base di tale presupposto.

4.– Le censure s’incentrano sulla rilevanza cruciale dell’obbligo di versare i contributi e sulla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro, che, a dire del ricorrente, non può essere sminuita sulla base del principio di automatismo delle prestazioni (art. 2116 cod. civ.).

Anche nella memoria illustrativa, il ricorrente pone l’accento sul vulnus che l’omissione del datore di lavoro ha inferto al rapporto fiduciario, vulnus che l’applicabilità degli specifici rimedi additati dai giudici d’appello non varrebbe ad attenuare.

5.– Si deve osservare che la sentenza impugnata, pur disquisendo in linea generale sul nesso che intercorre tra la gravità dell’inadempimento del datore di lavoro e l’operatività della tutela riconosciuta dall’automatismo delle prestazioni previdenziali, non manca di esordire con un accertamento in concreto, che il ricorso, formulato in relazione a plurimi vizi di violazione e falsa applicazione di legge, non scalfisce in modo efficace.

La Corte territoriale rimarca, difatti, che «Non vi è poi alcun elemento che possa far ritenere che il lavoratore avesse conosciuto di tale omissione prima delle rassegnate dimissioni, di tal che tacitamente accettando tale situazione» (pagina 2 della pronuncia d’appello).

In prima battuta, dunque, i giudici del gravame hanno escluso, in punto di fatto, la correlazione tra gli inadempimenti del datore di lavoro e le dimissioni rassegnate.

Tale correlazione si configura come elemento imprescindibile della fattispecie posta a fondamento delle domande e riveste autonomo rilievo rispetto al profilo della gravità dell’inadempimento, su cui il ricorso si attarda, con argomenti sviluppati anche nella memoria illustrativa.

Le dimissioni sono assistite dalla giusta causa delineata dall’art. 2119 cod. civ., allorché si configurino come reazione immediata agli inadempimenti del datore di lavoro, secondo i parametri di ragionevolezza enucleati da questa Corte nel concretizzare i presupposti di validità e di tempestività delle dimissioni (Cass., sez. lav., 11 dicembre 2018, n. 31999).

Spetta al lavoratore allegare e dimostrare la sussistenza di una giusta causa di dimissioni, supportando la domanda con i pertinenti dati di fatto (Cass., sez. lav., 8 agosto 2022, n. 24432), anche in ordine al rapporto di consecuzione e d’immediatezza, che disvela l’autentica genesi delle dimissioni rassegnate e ne avvalora la “giusta causa”.

6.– La Corte di merito, nel prudente apprezzamento delle prove acquisite al processo e nell’inquadramento della concreta vicenda devoluta al suo esame, ha soggiunto che a tale onere il lavoratore non ha ottemperato.

Sul profilo dell’immediatezza delle dimissioni e dell’asserita intollerabilità della prosecuzione del rapporto di lavoro, anche il controricorrente non ha mancato di polarizzare l’attenzione, valorizzando il citato passaggio della sentenza d’appello (da ultimo, pagine 4 e 5 della memoria illustrativa depositata in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio).

Con tali argomenti, volti a negare in fatto l’elemento saliente della necessaria interrelazione tra l’inadempimento e le dimissioni e, dunque, di per sé idonei a sorreggere la decisione adottata, il ricorso non si cimenta in modo persuasivo.

7.– Dai rilievi svolti consegue, in definitiva, l’inammissibilità del ricorso, per la carenza di specificità e di decisività delle critiche formulate.

8.– Le spese del presente giudizio, liquidate alla stregua del valore della controversia e dell’attività processuale svolta, seguono la soccombenza.

9.– La declaratoria d’inammissibilità del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia in concreto dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso […]”.