Il controllo di costituzionalità delle leggi

Rassegna trimestrale di Giurisprudenza costituzionale

   Il controllo di costituzionalità delle leggi.

Rassegna trimestrale di Giurisprudenza costituzionale. Anno II, numero 1 Gennaio-Marzo 2022. studi1@senato.it

Il controllo di costituzionalità delle leggi e i “moniti” rivolti al legislatore.

La Costituzione affida alla Corte costituzionale il controllo sulla
legittimità costituzionale delle leggi del Parlamento e delle Regioni, nonché
degli atti aventi forza di legge (articolo 134, prima parte, della Costituzione).
La Corte è chiamata a verificare se gli atti legislativi siano stati formati con i
procedimenti richiesti dalla Costituzione (c.d. costituzionalità formale) e se
il loro contenuto sia conforme ai princìpi costituzionali (c.d. costituzionalità
sostanziale).
Esistono due procedure per il controllo di costituzionalità delle leggi. Di norma,
la questione di legittimità costituzionale di una legge può essere portata dinanzi alla Corte per il tramite di un’autorità giurisdizionale, nel corso di un giudizio (procedimento in via incidentale). In particolare, affinché la questione di legittimità costituzionale di una legge possa essere sottoposta al giudizio della Corte, è necessario che essa venga sollevata, ad iniziativa di parte o anche d’ufficio, nell’ambito di un giudizio in corso e sia ritenuta dal giudice rilevante e non manifestamente infondata.
La Costituzione prevede quale altra modalità (art. 127) il ricorso diretto alla
Corte, ma solo da parte del Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, o da parte di una Regione a tutela della propria competenza, avverso leggi dello Stato o di altre Regioni (procedimento in via d’azione o principale, esercitabile entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge).
Quando è sollevata una questione di costituzionalità di una norma di legge, la
Corte conclude il suo giudizio, se la questione è ritenuta fondata, con una sentenza di accoglimento, che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma (per quello che essa prevede o non prevede), oppure con una sentenza di rigetto, che dichiara la questione non fondata. In questo caso, la pronuncia ha effetti solo inter partes, determinando unicamente la preclusione nei confronti del giudice a quo di riproporre la questione nello stesso stato e grado di giudizio.
La questione può essere ritenuta invece non ammissibile, quando mancano i
requisiti necessari per sollevarla (ad es., perché il giudice non ha indicato il motivo per cui abbia rilevanza nel giudizio davanti a lui; oppure, nel caso di ricorso diretto nelle controversie fra Stato e Regione, perché non è stato rispettato il termine per ricorrere).
Se la sentenza è di accoglimento, cioè dichiara l’illegittimità costituzionale di
una norma di legge, questa perde automaticamente di efficacia, ossia non può più essere applicata da nessuno dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale (art. 136 della Costituzione). Tale sentenza ha pertanto valore definitivo e generale, cioè produce effetti non limitati al giudizio nel quale è stata sollevata la questione.
La Costituzione stabilisce che quando la Corte costituzionale dichiara
l’illegittimità di una norma di legge o di atto avente forza di legge, tale decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali (art. 136).
Nell’ambito della distinzione principale tra sentenze di rigetto e di accoglimento, è noto come, nel corso della sua attività giurisdizionale, la Corte costituzionale abbia fatto ricorso a diverse tecniche decisorie, sulla cui base è stata elaborata, anche grazie al contributo della dottrina, una varia tipologia di pronunce (ricordando le categorie principali, si distingue tra decisioni interpretative, manipolative, additive, sostitutive).

Alcune pronunce della Corte costituzionale contengono altresì, in
motivazione, un invito a modificare la disciplina vigente in una determinata
materia, che può essere generico ovvero più specifico e dettagliato (c.d.
pronunce monito).
Anche le ‘tecniche’ monitorie utilizzate dalla Corte sono diversificate, a
partire dagli ‘auspici di revisione legislativa’, che indicano «semplici
manifestazioni di desiderio espresse dalla Corte prive di ogni forma di
vincolatività», in cui cioè l’eventuale inerzia legislativa non potrebbe portare
ad una trasformazione delle decisioni da rigetto ad accoglimento.
Rientrano altresì nelle pronunce monitorie le c.d. decisioni di
‘costituzionalità provvisoria’, in cui la Corte ritiene la disciplina in questione
costituzionalmente legittima solo nella misura in cui sia transitoria, invitando
il legislatore affinché questi intervenga a modificare la disciplina oggetto del
sindacato in modo tale da renderla conforme a Costituzione.
Altre volte ancora la modalità utilizzata dalla Corte può essere di ‘incostituzionalità accertata ma non dichiarata’, mediante cui la Corte decide
di non accogliere la questione, nonostante le argomentazioni a sostegno
dell’incostituzionalità dedotte in motivazione, per non invadere la sfera
riservata alla discrezionalità del legislatore.
In tutti i casi tali pronunce sono espressione di un potere di segnalazione
della Corte rivolto direttamente verso il legislatore.
L’elenco completo delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale nella
legislatura XVIII è pubblicato, oltre che sul sito internet della Corte costituzionale, su quello della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Si ricorda che presso la Camera dei deputati, le sentenze della Corte costituzionale sono inviate, ai sensi dell’articolo 108 del Regolamento,
alle Commissioni competenti per materia e alla Commissione affari costituzionali, che le possono esaminare autonomamente o congiuntamente a progetti di legge sulla medesima materia. La Commissione esprime in un documento finale il proprio avviso sulla necessità di iniziative
legislative, indicandone i criteri informativi.

Per quanto riguarda il Senato, l’articolo 139 del Regolamento dispone che il Presidente trasmette alla Commissione competente le sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge dello Stato. È comunque riconosciuta la facoltà del P residente di trasmettere alle Commissioni tutte le altre sentenze della Corte che giudichi opportuno sottoporre al loro esame.

La Commissione, ove ritenga che le norme dichiarate illegittime dalla Corte debbano essere sostituite da nuove disposizioni di legge, e non sia stata assunta al riguardo un’iniziativa legislativa, adotta una risoluzione con la quale invita il Governo a provvedere.