(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

1.Come noto, a seguito della l. 134/2012 è stato modificato il terzo comma dell’art. 345 c.p.c. il quale ora così stabilisce: “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. La versione ante-riforma della disposizione in parola prevedeva, invece, anche l’ulteriore ipotesi di ammissione di nuovi documenti in appello qualora essi fossero stati valutati dal collegio indispensabili ai fini della decisione della causa. Pertanto, se a seguito della riforma del 2012 il presupposto dell’“indispensabilità” risulta ormai abolito per le impugnazioni che seguono il rito ordinario, non è così invece per i giudizi sottoposti al Giudice del Lavoro. Quest’ultimi seguono la disciplina dettata dall’art. 437 c.p.c. che, al secondo comma, prevede ancora la possibilità che il collegio -anche d’ufficio- possa ammettere nuovi documenti o mezzi di prova considerati indispensabili ai fini della decisione della causa.

Sul concetto di “prova nuova indispensabile” (anche ai sensi del L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59), si è pronunciata ancora una volta la Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito pubblichiamo, ribadendo che la prova nuova indispensabile è “quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”.

2.Cassazione civile, Sez. lavoro, sentenza del 10 Gennaio 2023, n. 401. Riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 2697; Cod. Proc. Civ. art. 345, Cod. Proc. Civ. art. 437. Massime precedenti: n. 22371/2021; n. 15488/2020; precedenti conformi: Sezioni Unite: n. 10790/2017.

La Corte di Cassazione, richiamando il principio espresso in tema di “prova nuova indispensabile” ha accolto il ricorso di un lavoratore che veniva dichiarato decaduto dall’impugnativa del licenziamento. Nel caso in questione la Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, respingeva l’opposizione di un lavoratore all’ordinanza con la quale era stato dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza, il ricorso per l’impugnativa del licenziamento intimatogli. La Corte infatti condivideva la sentenza di prime cure con la quale si riteneva mancante la prova dell’avvenuta consegna alla società datrice della raccomandata relativa alla richiesta di conciliazione, con l’esclusione del differimento del termine utile per il deposito del ricorso e con la conseguente decadenza ex art. 6, comma 2, l. n. 604/1966. La produzione, solo in sede di reclamo, del modulo di ricevuta e consegna della raccomandata veniva ritenuta inammissibile.

Il lavoratore ricorreva per la cassazione della sentenza denunciando la violazione dell’art. 1, comma 59, L. n. 92/2012, che espressamente prevede che nella fase di reclamo non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile. La S.C., come anticipato, si era già espressa in merito (Cass. civ., Sez. Unite, n. 10790/2017) affermando il principio di diritto che ritiene “prova nuova indispensabile” quella “di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”.

La Cassazione, quindi, ritenendo che la Corte territoriale avesse erroneamente, in sede di reclamo, ritenuto inammissibile la produzione o, senza motivare sulla indispensabilità di tale documento ai fini decisionali, accoglieva il ricorso cassando la sentenza impugnata e rinviando con l’indicazione di uniformarsi al principio di diritto enunciato nel 2017 dalle Sezioni Unite.

3.Cassazione, sentenza n. 401/2023.

“[…]

FATTI DI CAUSA.

1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha respinto il reclamo – proposto nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012 – da S.C. nei confronti di C.A.I. Spa e Alitalia S.A.I. Spa avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione del lavoratore all’ordinanza con cui era stato dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza, il ricorso per l’impugnativa di licenziamento intimato dalla prima società in data 31 ottobre 2014.

2. La Corte, in estrema sintesi, ha confermato la sentenza di primo grado “nella parte in cui ha ritenuto la mancata prova della avvenuta consegna ad Alitalia S.A.I. Spa della raccomandata relativa alla richiesta di tentativo di conciliazione, con la esclusione del differimento del termine utile per il deposito del ricorso e con la conseguente decadenza l. n. 604 del 1966 ex art. 6 comma 2”.

La Corte, per quanto qui rileva, ha argomentato che, in ordine al “deposito, avvenuto solo in sede di reclamo, del modulo di ricevuta di consegna completo anche per la parte che attesta l’avvenuta ricezione (in data 16 giugno 2015) della raccomandata del 15 giugno 2015, va ritenuta l’inammissibilità della produzione, in applicazione del principio sancito dalla sentenza delle Sezioni unite 20.4.2005 n. 8202, applicabile anche al giudizio di reclamo che riveste carattere impugnatorio, in assenza di qualunque deduzione nell’atto di reclamo di ragioni che giustifichino il tardivo deposito del documento ed atteso che le censure si basano esclusivamente sulla rituale produzione della ricevuta di consegna nel precedente grado di giudizio”;

ha respinto, dunque, l’impugnazione dello (omissis) “superata la necessità di esame delle ulteriori questioni poste”, condannandolo alle spese del grado.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con un unico motivo; hanno resistito con distinti controricorsi le società.

4. In esito all’adunanza camerale del 9 marzo 2022, il Collegio ha ritenuto che il ricorso proponesse la questione dell’interpretazione dell’art. 1, comma 59, l. n. 92 del 2012, per cui, non ravvisando i presupposti per la trattazione in udienza camerale, ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la fissazione in pubblica udienza. In prossimità della stessa le parti hanno comunicato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 59, l. n. 92 del 2012 e dell’art. 115 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)”;

si deduce che la disposizione di legge richiamata conosce due ipotesi alternative di deroga al divieto di ammissione di nuovi documenti: l’una che consente al collegio di acquisirli, anche d’ufficio, ove “li ritenga indispensabili ai fini della decisione”; l’altra ove “la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile”;

si sostiene che la Corte territoriale “ha ritenuto esserle preclusa qualsiasi indagine sulla indispensabilità del ‘nuovo’ documento, mentre avrebbe dovuto esprimere, anche d’ufficio, il proprio ‘convincimento’ sulla indispensabilità dello stesso (il retro di una raccomandata di un documento attestante la prova di consegna decisamente rilevante ai fini della valutazione dell’eccezione di decadenza dalla impugnativa del licenziamento), tanto più che si trattava di documento già tempestivamente prodotto in primo grado, sia pure in forma incompleta, come pure ritenuto dalla stessa sentenza impugnata, essendo stato tempestivamente prodotto in primo grado il fronte del documento relativo alla medesima prova di consegna”.

2. La censura è fondata.

2.1. L’art. 1, comma 59, l. n. 92 del 2012, applicabile alla fattispecie, stabilisce che, nella fase del reclamo previsto per il peculiare rito di impugnativa del licenziamento introdotto dalla legge richiamata, “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile”.

La disposizione riserva al collegio il potere, anche officioso, di ammettere nuovi mezzi di prova o documenti in due ipotesi: nel caso in cui “la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile” e nel caso – rilevante nel giudizio che ci occupa – “li ritenga indispensabili ai fini della decisione”.

Tale ultima formula è sovrapponibile a quella contenuta nell’art. 437, comma 2, c.p.c., secondo cui, nei giudizi di appello contro le sentenze pronunciate nei processi relativi alle controversie previste dall’art. 409 c.p.c., “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, […], salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa”.

Analogamente prevedeva l’art. 345, comma 3, c.p.c., prima dell’eliminazione dell’inciso operata dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012, nella parte in cui, per il rito ordinario, non ammetteva nuovi mezzi di prova o nuovi documenti, “salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa”.

2.2. Sulla interpretazione di tale disposizione sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 10790 del 2017) che, nonostante la soppressione dell’inciso nell’art. 345, comma 3, c.p.c., hanno esplicitamente riconosciuto che la questione esegetica sollevata dall’ordinanza di rimessione proiettava la sua importanza anche in futuro, atteso che “il medesimo concetto di indispensabilità della prova nuova in appello resta immutato nell’art. 437, comma 2, c.p.c. e nell’art. 702-quater stesso codice, concernente il procedimento sommario di cognizione (oltre che nell’art. 1, comma 59, legge n. 92 del 2012 per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 legge n. 300 del 1970, norma che a sua volta riproduce quella del comma 2 dell’art. 437 cit.)”.

Le Sezioni unite hanno affermato il principio di diritto secondo il quale “prova nuova indispensabile […] è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”.

Nell’aderire all’orientamento giurisprudenziale che “interpreta il concetto di indispensabilità come influenza causale più incisiva della rilevanza”, le Sezioni unite citate, disattendendo il diverso e più rigoroso orientamento dalla medesima Corte definito “di indispensabilità ristretta”, hanno, tra l’altro, richiamato l’inciso “anche d’ufficio”, contenuto nell’art. 437, comma 2, c.p.c. (e presente anche nella disposizione qui in esame), “rispetto al quale non ha senso invocare preclusioni istruttorie poiché nel rito speciale esse non elidono i poteri istruttori d’ufficio espressamente riconosciuti dall’art. 421, comma 2, c.p.c.”; “non si tratta – secondo il Supremo Collegio – di vanificare od alterare il regime delle preclusioni istruttorie del primo grado, ma di contemperarlo con il principio della ricerca della verità materiale”.

Tanto in continuità col canone che caratterizza il processo del lavoro, in base al quale, “allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza del fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti” (Cass. SS.UU. n. 761 del 2002).

Si è successivamente precisato che “anche a volere riconoscere ai poteri istruttori del giudice del lavoro il carattere discrezionale, detti poteri – proprio perché funzionalizzati al contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale – non possono mai essere esercitati in modo arbitrario.

Ne consegue che il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c. ed al disposto di cui all’art. 111, 1° comma, Cost. sul ‘giusto processo regolato dalla legge’ – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritiene, invece, di non farvi ricorso” (Cass. SS.UU. n. 11353 del 2004).

Indirizzo specificamente richiamato proprio da Cass. SS.UU. n. 8202 del 2005 che, dopo aver sancito che la decadenza istruttoria opera nel processo del lavoro anche per le prove aventi natura documentale, ha rilevato “come la preoccupazione di addivenire a soluzioni distanti dalla realtà fattuale, […], venga in buona misura ammortizzata dall’attribuzione al giudice d’appello di incisivi poteri d’ufficio in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova ove essi siano ‘indispensabili ai fini della decisione della causa’ (art. 437, comma 2, c.p.c.), con un opportuno contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale”.

2.3. Alla stregua di quanto precede, ha errato in diritto la Corte territoriale laddove ha ritenuto la “inammissibilità della produzione”, avvenuta in sede di reclamo, dell’altro lato della ricevuta attestante la consegna della raccomandata, sul presupposto della decadenza consumata in primo grado e argomentando sulla mancanza di giustificazioni circa il tardivo deposito, senza in alcun modo motivare sulla “indispensabilità” del documento ai fini della decisione della causa; anzi, implicitamente ritenendolo essenziale per risolvere la lite, tanto da rigettare l’impugnazione confermando la sentenza di primo grado proprio sulla “mancata prova della avvenuta consegna ad Alitalia S.A.I. Spa della raccomandata relativa alla richiesta del tentativo di conciliazione”.

3. Pertanto il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà al seguente principio di diritto: “Prova nuova indispensabile, anche ai sensi dell’art. 1, comma 59, legge n. 92 del 2012, è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” .

Esula dall’oggetto del presente giudizio di legittimità ogni questione assorbita, ritenuta esplicitamente “superata” dalla sentenza impugnata in ragione del rigetto del reclamo per la mancata prova della consegna ad Alitalia S.A.I. della raccomandata, così come l’asserita formazione di un “giudicato interno” sul “profilo sostanziale” della “legittimazione di S.A.I.” secondo quanto prospettato da parte ricorrente.

La Corte del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione […]”.