I(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 18846 del 10 luglio 2024

In tema di illeciti disciplinari nel pubblico impiego contrattualizzato, il giudice che annulli la sanzione inflitta per difetto di proporzionalità ha il potere dovere di rideterminarne l’entità ai sensi dell’art. 63, comma 2 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, disposizione applicabile, stante la sua natura processuale, ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore, anche se pendenti in grado di appello.

Pubblico impiego. Sanzioni disciplinari. Sospensione dal servizio. Privazione della retribuzione. Esclusione dalle procedure di riqualificazione. Difetto di proporzionalità. Interesse pubblico violato. Rideterminazione della sanzione. Ricostruzione della carriera. Risarcimento danno. Accoglimento parziale

“[…] La Corte di Cassazione.

(omissis)

Svolgimento del processo

M.R. ha esposto che:

era impiegato alle dipendenze del M. dal 1° marzo 1990 con qualifica di impiegato area 1 – fascia retributiva F2; aveva prestato servizio presso la direzione centrale dei sistemi informativi e dell’innovazione di Roma sino al 22 marzo 2012, quando era stato trasferito a Viterbo; in Roma era stato addetto a mansioni di ritiro degli atti giudiziari presso l’ufficio postale, apertura, protocollazione e invio agli uffici competenti; aveva avuto un alterco con una collega, provocato da quest’ultima; in seguito a tale alterco, con determina del 19 luglio 2011, gli era stata irrogata la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per mesi cinque; a causa della sanzione disciplinare, era stato escluso dalle procedure di riqualificazione di 520 dipendenti per l’attribuzione della fascia retributiva superiore e aveva dovuto fare ricorso a cure mediche.

Egli ha chiesto al Tribunale di Roma di: accertare la decadenza del Ministero dall’azione disciplinare; dichiarare la nullità o l’illegittimità della sanzione disciplinare e dell’esclusione dalla procedura di riqualificazione; condannare il Ministero all’integrale ricostruzione della carriera, con inquadramento nella fascia retributiva F3 e pagamento delle conseguenti differenze economiche da agosto 2011; in subordine, condannare il Ministero al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 13 novembre 2014, ha rigettato le domande.

M.R. ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2671/2018, ha, in parte, accolto, annullando la sanzione disciplinare inflitta.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. M.R. si è difeso con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi. M.R. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il M. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 c.c., 7 della legge n. 300 del 1970, 55 ss. del d.lgs. n. 165 del 2001 e 13, comma 4, lett. h, del CCNL del 12 giugno 2003 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la graduazione della sanzione non fosse stata effettuata, atteso che nella motivazione del provvedimento disciplinare si sarebbe dato atto della condotta della C.

Peraltro, la determinazione di detta sanzione non sarebbe stata manifestamente irragionevole, con la conseguenza che la sua quantificazione non avrebbe potuto essere sindacata.

La doglianza è inammissibile, non confrontandosi adeguatamente con il contenuto della decisione impugnata.

Infatti, la contestazione del M. non tiene conto che la Corte d’appello di Roma ha accertato l’esistenza dell’attenuante della provocazione fondandola su circostanze che non erano state prese in considerazione nel provvedimento disciplinare, ossia che la C. avesse accusato il controricorrente di essere un incapace e avesse gettato sulla scrivania del suo collega le pratiche, prima di uscire sbattendo la porta della stanza.

Lo stesso provvedimento disciplinare, per come riportato agli atti, nulla dice sul punto, ma, al contrario, attesta che il M. ha ritenuto prive di pregio le Di conseguenza, la sanzione era divenuta non proporzionata, atteso che la P.A. non aveva valutato dei fatti rilevanti.

2) Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2 bis, d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall’art. 21, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 75 del 2017, e dell’art. 112 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare di non potere rideterminare la sanzione, anche perché, nella motivazione della sentenza impugnata, avrebbe indicato quale avrebbe dovuto essere la misura di questa.

La doglianza è fondata.

Si deve affermare, in primo luogo, che, fino all’entrata in vigore dell’art. 63, comma 2 bis, d.lgs. n. 165 del 2001, avvenuta il 22 giugno 2017, ha trovato applicazione, nel pubblico impiego contrattualizzato, il principio, mutuato dal lavoro privato, per il quale il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., onde è riservato esclusivamente al titolare di esso; ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della sanzione stessa riducendone la misura.

Solo nel caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione, è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione minore, poiché, in tal modo, non è sottratta autonomia all’imprenditore e si realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima (Cass., Sez. L, n. 3896 dell’11 febbraio 2019).

Fino al 21 giugno 2017 compreso, quindi, il giudice non aveva il potere di rideterminare la sanzione disciplinare, essendo divenuto applicabile solo dal giorno successivo il citato art. 63, comma 2 bis, in base al quale ‹‹Nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice può rideterminare la sanzione, in applicazione delle disposizioni normative e contrattuali vigenti, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato››.

Non ha pregio l’affermazione del M. secondo cui il giudice ben avrebbe potuto, anche in precedenza, adottare tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna richiesti dalla natura dei diritti tutelati, ai sensi dell’art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Infatti, si tratta di disposizione che, come sopra riportato, si riferisce ai “diritti tutelati” e non concerne, quindi, la determinazione della sanzione disciplinare inflitta.

Sostiene, però, il M. che, comunque, l’art. 63, comma 2 bis, del d.lgs. n. n. 165 del 2001, introdotto dall’art. 21, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 75 del 2017,sarebbe stato applicabile perché entrato in vigore il 22 giugno 2017 e, quindi, prima della pronuncia della sentenza di appello, avvenuta il 13 agosto 2018.

Questa considerazione merita di essere condivisa.

La S.C. ha affermato che in tema di illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, l’art. 63, comma 2 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 – il quale prevede che, nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice “può rideterminare la sanzione”, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato -, va interpretato nel senso che il giudice ha il potere/dovere di rimodulare la predetta sanzione, anche in difetto di sollecitazione ad opera dell’amministrazione, in quanto l’assoluta discrezionalità nell’esercizio del potere in questione renderebbe la norma priva di ragionevolezza, oltre che contrastante con la dichiarata necessità di valorizzare e tutelare gli interessi pubblici coinvolti dall’illecito (Cass., Sez. L, n. 10236 del 18 aprile 2023).

Ciò ha fatto, avendo cura di precisare, in motivazione, che la disciplina applicabile ratione temporis all’esercizio dei poteri del giudice è quella vigente nel momento in cui il potere stesso è esercitato e non assume alcun rilievo la data di commissione dell’illecito.

Ha tenuto a chiarire, per l’esattezza, che la disposizione transitoria dettata dall’art. 22, comma 13, del d.lgs. n. 75 del 2017 (secondo cui le disposizioni di cui al Capo VII si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto) si applica alla sola disciplina del procedimento disciplinare e non può essere estesa alla modifica dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, che concerne i poteri attribuiti al giudice ordinario nelle controversie inerenti ai rapporti di impiego pubblico contrattualizzato.

Nella specie, la sentenza di appello è stata pronunciata il 18 giugno 2018 e, pertanto, la Corte d’appello di Roma aveva il potere di rideterminare anche d’ufficio la sanzione disciplinare in esame, poiché, in tale data, era in vigore il menzionato art. 63, comma 2 bis, venendo in rilievo il principio per il quale le disposizioni processuali sono immediatamente applicabili ai processi in corso, in assenza di disposizioni transitorie specifiche.

3) Con il terzo motivo il M. contesta la violazione dell’art. 63, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 2106, 1384, 1424 e 1324 c.c., dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 3, 97 e 111 Cost. poiché la corte territoriale avrebbe dovuto rideterminare la giusta sanzione a prescindere dall’avvenuta entrata in vigore o meno dell’art. 63, comma 2 bis, d.lgs. n. 165 del 2001.

La doglianza non deve essere esaminata, alla luce dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

4) Deve essere esaminato, quindi, il ricorso incidentale. Con il primo motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. e 2106, 2727 e 2729 c.c. nonché l’errata valutazione delle prove testimoniali e documentali e delle domande ed emergenze processuali, ritenendo che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere accertata l’aggressione fisica in danno della sua collega.

La doglianza è inammissibile, in quanto consiste nella richiesta a questo Collegio di rivalutare i fatti di causa e le prove agli atti, attività che è preclusa 
alla S.C.

5) Con il secondo motivo il ricorrente incidentale sostiene la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., 13 del CCNL di settore n. 3, lett. i), e n. 4, lett. h), 55 d.lgs. n. 165 del 2001 e 2106 c.c., atteso che non sarebbe stata data prova della menzionata aggressione fisica, con la conseguenza che la sanzione non avrebbe potuto essere inflitta e che la P.A. avrebbe dovuto essere condannata a pagare le retribuzioni maturate.

La doglianza è inammissibile, per le stesse ragioni che hanno condotto al non accoglimento della precedente censura.

6) Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente incidentale contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., 13 del CCNL di settore e 2, comma 3, dell’Accordo Nazionale Sviluppo economico all’interno delle aree, poiché egli avrebbe avuto diritto a partecipare alla procedura di riqualificazione e a ottenere un miglioramento retributivo.

La doglianza è inammissibile, non censurando adeguatamente le ragioni per le quali il giudice di secondo grado ha ritenuto non sussistente la chance di carriera del ricorrente incidentale, in ragione dell’accertata valenza disciplinare della sua condotta.

7) Il ricorso principale è accolto quanto al secondo motivo, inammissibile il primo e assorbito il terzo.

Il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, applicando il seguente principio di diritto: “In tema di illeciti disciplinari nel pubblico impiego contrattualizzato, il giudice che annulli la sanzione inflitta per difetto di proporzionalità ha il potere dovere di rideterminarne l’entità ai sensi dell’art. 63, comma 2 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, disposizione applicabile, stante la sua natura processuale, ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore, anche se pendenti in grado di appello”.

Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.

P.Q.M.

– Accoglie il secondo motivo di ricorso principale, inammissibile il primo e assorbito il terzo;

– dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

– cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di legittimità […]”.