(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 15 ottobre 2024, n. 26770.
Lavoro. Illegittimità licenziamento disciplinare. Contratto di lavoro a tutele crescenti. Difetto di proporzionalità della sanzione. Intempestività nell’adozione del provvedimento disciplinare. Grave negligenza. Inammissibilità
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
La Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza in atti, ha accolto l’appello proposto da F. srl avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano ed in riforma della sentenza impugnata ha rigettato il ricorso originariamente proposto da D.S.C. inteso ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli in data 7 marzo 2019, secondo il regime di cui al decreto legislativo n. 23/2015, trattandosi di contratto di lavoro a tutele crescenti.
A fondamento della pronuncia la Corte ha ritenuto che la decisione del primo giudice in punto di difetto di proporzionalità della sanzione irrogata non potesse essere condivisa avendo il datore di lavoro onerato fornito idonea prova della sussistenza di una grave violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di diligenza e delle regole di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c.
I fatti di causa erano pacifici, atteso che il lavoratore non ha negato di aver ricevuto il messaggio sms con la variazione dei turni, di non averlo letto attentamente (la seconda variazione dei turni), e di aver avuto quindi contezza del turno in data 5/2/2019 solo a seguito della chiamata della centrale operativa giungendo così con un ritardo di circa 40 minuti sul luogo di espletamento del servizio di vigilanza fissa.
Considerata la peculiarità del servizio di vigilanza svolto non era assolutamente condivisibile l’affermazione del tribunale secondo cui la mancanza contestata era di lieve entità.
Al contrario la disattenzione del lavoratore nella lettura della comunicazione delle variazioni di turno integrava un inadempimento di significativa gravità essendo rimasto l’istituto di credito committente privo del servizio di vigilanza fissa per oltre 40 minuti con il conseguente rischio di possibili azioni criminose nell’intervallo di tempo in cui l’attività bancaria si era svolta in assenza di un valido presidio di controllo.
La fattispecie andava quindi considerata come condotta negligente grave.
Inoltre, secondo la Corte un ruolo non secondario nella valutazione della legittimità del licenziamento andava riconosciuto anche alla fase pregressa del rapporto di lavoro, la quale era stata costellata da numerose vicende di rilievo disciplinare tutte sanzionate con misure conservative, molte delle quali confermate anche all’esito del vaglio giurisdizionale sollecitato dal lavoratore, ancorché fossero risalenti ad oltre due anni prima del licenziamento, non ostando a tale valutazione la disposizione di cui al comma ultimo dell’articolo 7 della legge 20 maggio n. 300 del 70.
Infine, influivano negativamente ai fini della valutazione della gravità e della sanzione applicabile le precedenti sanzioni applicate entro il biennio (recidiva ai sensi dell’art 7 l. 300/70 e dell’art.32 CCNL).
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.S.C. con due motivi di ricorso ai quali ha resistito la F. srl con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 numero 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto ovvero per non aver analizzato la questione dell’evidente intempestività e sproporzione del licenziamento.
Risultava documentalmente come nella contestazione disciplinare del 12/2/2019 la F. pur avendo avuto sin dal principio un quadro completo dell’accaduto avesse esclusivamente rimproverato al proprio dipendente il ritardo nel prendere servizio; alla ricezione delle giustificazioni scritte il datore di lavoro aveva comunicato di ritenere corretto ed equo attendere l’esito di un giudizio incardinato innanzi al tribunale di Lanciano avente ad oggetto l’impugnazione di precedenti sanzioni disciplinari comminate al medesimo dipendente; solo in seguito al rinvio d’ufficio del giudizio pendente davanti al giudice di Lanciano la F. Srl aveva intimato il licenziamento in tronco e senza preavviso al D.S.C.; assumeva che, in virtù del principio di tempestività e immediatezza della contestazione, il datore di lavoro che intende contestare la condotta legittima deve farlo senza ritardo nel più breve periodo di tempo possibile.
1.2 In secondo luogo il giudice di secondo grado aveva considerato non condivisibile l’impostazione del giudice di primo grado in ordine all’applicazione del CCNL di riferimento sostenendo che non fosse vincolante per il giudice.
Il giudice di secondo grado non aveva valutato che la stessa F. Srl datrice di lavoro aveva fatto esclusivo riferimento al CCNL di categoria nell’applicare la sanzione disciplinare commissiva del 7/3/2019 (sostenendo che in riferimento alle previsioni del contratto collettivo nazionale di lavoro per il dipendente di istituti vigilanza privati la condotta ascritta non poteva che determinare il provvedimento di licenziamento disciplinare con effetto ed efficacia dalla data di ricezione dell’a di recesso).
2.- Come secondo motivo si deduce omessa motivazione in ordine alla disapplicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti gli istituti vigilanza privata, omessa pronuncia in ordine all’assenza di recidiva ex articolo 102 CCNL di categoria; perché la sentenza non avrebbe tenuto in alcun conto le disposizioni del CCNL di categoria e non conteneva motivazione sulla disapplicazione di tale normativa sia da parte del datore di lavoro sia da parte del giudice stesso.
Il CCNL per i dipendenti degli istituti vigilanza privati richiamato a fondamento del provvedimento di licenziamento non punisce con la sanzione espulsiva il dipendente che prende servizio in ritardo (circostanza che nel caso di specie era ancor più trascurabile essendo il ritardo stato causato da un’incomprensione nella rielaborazione dei turni di lavoro).
L’articolo 102 del CCNL di riferimento prevede che il licenziamento per giusta causa possa essere comminato al dipendente esclusivamente al verificarsi di talune negligenze che non consentono l’esecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro: e non è contemplato il ritardo nel prendere servizio ed anche in questo caso il giudice di secondo grado aveva omesso di valutare e motivare adeguatamente la disapplicazione del CCNL di riferimento.
Non era stata neppure data adeguata motivazione in ordine all’applicazione dell’istituto della recidiva previsto dal CCNL di categoria (articolo 102, comma 5) esclusivamente per l’ipotesi in cui il dipendente si addormenta ripetutamente nello svolgimento del servizio.
3.- I motivi di ricorso possono essere decisi unitariamente per la connessione delle censure sollevate; essi devono ritenersi inammissibili per difetto di rilevanza e di specificità.
4.- Si sostiene anzitutto la intempestività nell’adozione del provvedimento disciplinare cioè la conclusione intempestiva della procedura successiva alla contestazione: che sarebbe stata prima subordinata all’esito di un giudizio pendente e poi, invece, condotta a termine a prescindere dalla pendenza del giudizio.
In primo luogo, va rilevato che la stessa questione non risulta svolta davanti alla Corte d’appello sicchè la medesima censura incorre nel vizio di novità del motivo nel ricorso per cassazione.
In secondo luogo, la censura non si misura con la stessa decisione impugnata posto che al ricorrente è stato irrogato, secondo l’incontestata affermazione della Corte di appello (“risulta per tabulas”) un licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo con preavviso e non per giusta causa; il che porta pure ad escludere qualsivoglia rilevanza alla doglianza di intempestività e contraddittorietà per essere il rapporto continuato nelle more senza sospensione.
In ogni caso non può essere affermato un vizio di intempestività del licenziamento, o addirittura di mancanza della giusta causa, per il solo fatto che il datore abbia prima disposto di soprassedere in attesa di un giudizio pendente davanti al Tribunale di Lanciano e poi, a seguito del rinvio d’ufficio dello stesso giudizio, abbia comminato la sanzione disciplinare espulsiva.
Anche perché, in ogni caso, non è chiaramente dedotto quanto tempo sia passato tra contestazione e adozione del provvedimento, né se esista e quale sia la disciplina sui termini massimi di adozione (v. Sez. L, Sentenza n. 20566 del 04/10/2010), che l’art.7 dello Statuto, come è noto, non prevede, limitandosi a stabilire un termine intermedio (spatium deliberandi) in base al quale “In ogni caso, i provvedimenti disciplinari piu’ gravi del rimprovero verbale, non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”.
5.- Del pari inammissibili sono le ulteriori censure riferite all’omessa applicazione ed al difetto di motivazione in ordine alla disciplina del CCNL, per avere la Corte escluso la rilevanza della disciplina del contratto collettivo nazionale di lavoro quando lo stesso provvedimento di licenziamento sarebbe stato intimato esclusivamente ai sensi della stessa normativa collettiva.
Le due censure, che appaiono tra loro intrinsecamente contraddittorie, devono essere comunque disattese.
Anzitutto la Corte di appello, valutando la relativa disciplina, ha affermato che non rilevasse la regolamentazione contrattuale in materia di comportamenti disciplinari, mentre ha attribuito rilevanza ai precedenti disciplinari ed alla recidiva ai sensi dell’art. 32 del CCNL.
Non c’è quindi carenza di valutazione, né tanto meno di motivazione nella sentenza gravata, né sulla individuazione dei comportamenti disciplinarmente rilevanti, né sulla recidiva.
In sintesi, secondo la Corte d’appello, la sussistenza di una condotta del lavoratore inequivocabilmente negligente, l’inadeguatezza delle giustificazioni rese, la scarsa consapevolezza dei rischi correlati ai servizi di vigilanza da prestare in favore della committenza e la presenza di svariati precedenti disciplinari, erano tutte circostanze che rendevano l’episodio di gravità tale da potersi ritenere interrotto in modo irreparabile il nesso fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro.
Infine, influivano negativamente ai fini della valutazione della gravità e della sanzione applicabile le precedenti sanzioni applicate entro il biennio (recidiva ai sensi dell’art 7 l. 300/70 e dell’art.32 CCNL).
E se è vero che la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo sono anzitutto nozioni legali, ai sensi della legge 604/1966 e dell’art. 2119 c.c., alla cui stregua va valutata la gravità del comportamento in concreto tenuto dal lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (Cass. n. 8826 del 05/04/2017,n. 3283 del 11/02/2020, n. 14505 del 28/05/2019); è anche ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte (ordinanza n. 3283 del 11/02/2020) che in tema di licenziamento disciplinare, la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, ovvero ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne sono alcune non rispondenti al modello legale e, dunque, nulle per violazione di norma imperativa; ne consegue che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione.
Pertanto, là dove la Corte di appello, contraddicendo la valutazione del giudice di primo grado, ha affermato che il licenziamento del ricorrente si fondasse su una “grave negligenza” o su un “grave inadempimento”, ha inteso fare riferimento alle causali di fonte legale.
Tale motivazione appare del tutto idonea, a giudizio del Collegio, a sorreggere la legittimità del licenziamento, per come giustificato dal datore di lavoro.
6.- Né il ricorrente, venendo meno all’onere di specificità del ricorso per cassazione, ha trascritto compiutamente e testualmente la contestazione rivoltagli dal datore o la motivazione del licenziamento, in modo da dare a questa Corte la possibilità di controllare ex actis la stessa esistenza dei presupposti fattuali della tesi giuridica affermata in questo giudizio, di cui però la stessa sentenza nulla dice: ovvero che la irrogazione del licenziamento fosse stata basata, piuttosto unicamente sulla regolamentazione disciplinare della contrattazione collettiva (in ipotesi più favorevole ex art.12 legge 604/1966) e non già su quella relativa alla disciplina legale.
Si tratta, inoltre, di una questione che risulta pure irritualmente veicolata in questo giudizio essendosi fatto esclusivo e compiuto riferimento a vizi di natura processuale (in relazione al difetto di motivazione ed alla omessa valutazione ex art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.) e non alla inosservanza di legge di cui non si cita alcuna particolare disposizione normativa violata.
7.- Sulla scorta di tali considerazioni il ricorso in oggetto deve essere dichiarato inammissibile.
8.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
9. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge […]”.
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