(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 16 ottobre 2024, n. 26844.
Lavoro. Illegittimità conferimento dell’incarico dirigenziale. Diritto al risarcimento dei danni. Procedura nomina senza esame comparativo di tutti i candidati e senza adottare alcuna motivazione.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 235/2019, pubblicata in data 2 ottobre 2019, la Corte d’appello di Ancona, nella regolare costituzione dell’appellata A.D.E. e nella contumacia dell’altra appellata G.P., ha accolto l’appello proposto da P.I. avverso la sentenza del Tribunale di Macerata n. 3/2017, pubblicata in data 17 luglio 2017.
2. P.I. aveva adito il Tribunale di Macerata – in riassunzione, a seguito di decisione declinatoria di giurisdizione pronunciata dal Consiglio di Stato in relazione al ricorso originariamente presentato al TAR – chiedendo la condanna di A.D.E. al risarcimento dei danni derivanti dalla illegittimità del conferimento dell’incarico dirigenziale in favore di G.P. al posto della stessa ricorrente, sulla scorta della previsione di cui all’art. 8, comma 24, D.L. n. 16/2012, dichiarata costituzionalmente illegittima – unitamente agli artt. 1, comma 14, D.L. n. 150/2013 (conv. con Legge n. 15/2014) e 1, comma 8, D.L. n. 192/2014 (conv. con Legge n. 11/2015) – con sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015.
Il Tribunale di Macerata aveva respinto la comanda, ritenendo che, proprio per effetto della sentenza della Corte costituzionale e del conseguente venir meno dell’incarico conferito a G.P., la ricorrente non avesse più interesse al giudizio, in quanto, essendo funzionario di terza area, non aveva alcun diritto o anche solo interesse legittimo al conseguimento dell’incarico dirigenziale e non poteva vantare pretese di risarcimento in relazione ad una procedura divenuta ormai illegittima.
3. Decidendo sul gravame di P.I., la Corte d’appello ha invece ritenuto che l’appellante fosse invece portatrice di un interesse al giudizio in quanto la pronuncia di illegittimità costituzionale non aveva inciso sugli effetti ormai prodottisi nel tempo e quindi sul fatto che l’appellata G.P. aveva comunque svolto l’incarico dirigenziale, “godendo, cosi, a differenza della ricorrente, dei benefici patrimoniali (maggiore retribuzione, indennità) e non patrimoniali (accrescimento professionale, prestigio personale et cetera) conseguenti a tale conferimento”.
La Corte territoriale ha quindi concluso che l’appellante vantava un diritto al risarcimento dei danni derivanti da una scelta comunque illegittima, rilevando che la procedura di nomina di G.P. era avvenuta senza alcun esame comparativo di tutti i candidati e senza adottare alcuna motivazione, in tal modo determinando una lesione dell’interesse legittimo pretensivo di cui l’appellante era portatrice e compromettendo le chances – ritenute assistite da elevata probabilità – della stessa P.I. di conseguire l’incarico.
La Corte d’appello ha quindi liquidato il danno spettante all’appellante in via equitativa nella metà degli incrementi retributivi che l’appellante avrebbe conseguito in caso di conferimento dell’incarico.
4. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona ricorre ora A.D.E.
Resiste con controricorso P.I.
È rimasta intimata G.P.
5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c.; 136 Cost. e 30, terzo comma, Legge n. 87/1953.
L’AGENZIA ricorrente impugna la decisione della Corte territoriale nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto la sussistenza di un danno ingiusto conseguente alla lesione di un interesse rilevante della ricorrente.
Deduce che, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, D.L. n. 16/2012 – oltre che degli artt. 1, comma 14, D.L. n. 150/2013 (conv. con Legge n. 15/2014) e 1, comma 8, D.L. n. 192/2014 (conv. con Legge n. 11/2015) – con sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, deve ritenersi che il mancato conferimento dell’incarico all’odierna controricorrente non costituisse un danno ingiusto, dal momento che tutti gli incarichi conferiti a funzionari privi della qualifica dirigenziale sono stati travolti dalla decisione della Consulta e che, conseguentemente, neanche la controricorrente avrebbe potuto aspirare a detto incarico.
Argomenta, quindi, che la decisione della Corte territoriale si sarebbe posta in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 136 Cost. e 30, terzo comma, Legge n. 87/1953 e quindi con l’effetto di eliminazione ex tunc delle previsioni dichiarate costituzionalmente illegittime.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2043 c.c.
La ricorrente richiama i contenuti della decisione declinatoria di giurisdizione assunta dal Consiglio di Stato, evidenziando che tale decisione era venuta a basarsi sulla natura privatistica degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali.
Impugna la decisione della Corte d’appello in quanto quest’ultima avrebbe invece ritenuto applicabili principi ed istituti propri dell’attività amministrativa, in tal modo violando il vincolo di giudicato derivante dalla decisione del Consiglio di Stato.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate nonché degli artt. 5, comma 2, D. Lgs. n. 165/2001 e 2043 c.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che, anche prescindendo dal vincolo del giudicato derivante dalla decisione del Consiglio di Stato, il conferimento degli incarichi provvisori di funzioni dirigenziali risultava riconducibile alla gestione privatistica del rapporto di lavoro.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Lo stesso, infatti, non si confronta – se non in misura minima e del tutto generica – con l’effettiva ratio della decisione impugnata.
Quest’ultima, infatti, preso atto della cessazione della P. dall’incarico dirigenziale per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, ha tuttavia rilevato che detta cessazione non valeva ad elidere le conseguenze dannose della temporanea assegnazione dell’incarico medesimo a detrimento dell’odierna controricorrente, concludendo, quindi, che, al di là della complessiva illegittimità della procedura avviata dall’odierna ricorrente, a rilevare era il comunque temporaneo prodursi di un danno per la controricorrente, vistasi comunque dichiarare soccombente in favore della P. sulla scorta di una procedura che nello specifico si presentava ulteriormente non conforme agli artt. 1175 e 1375 c.c.
Tale ratio viene sommariamente contestata dal ricorso (pagg. 13 e 14), invocando gli effetti ex tunc delle sentenze declaratorie di illegittimità costituzionale, senza tuttavia considerare che il ragionamento seguito dalla Corte territoriale non ha investito il profilo degli effetti della decisione della Consulta, bensì il ben diverso profilo degli effetti lesivi comunque prodottisi in capo alla controricorrente come conseguenza degli autonomi profili di illegittimità della specifica procedura di conferimento dell’incarico dirigenziale.
3. Infondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, stante la reciproca connessione.
La Corte territoriale, infatti, al di là della terminologia a tratti impiegata nella motivazione, si è conformata al principio, più volte espresso da questa Corte, a mente del quale, in tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost.(Cass. Sez. L, Sentenza n. 7495 del 14/04/2015; Cass. Sez. L, Sentenza n. 21700 del 23/09/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 20979 del 30/09/2009).
In tale ottica, la Corte territoriale ha espressamente ritenuto contrastante con i canoni di correttezza e buona fede l’attribuzione dell’incarico alla P. senza procedere ad alcuna sostanziale valutazione comparativa, omettendo l’esame delle professionalità dei vari candidati e con radicale omissione di qualsiasi motivazione della scelta, senza che tale valutazione possa in alcun modo ritenersi contrastante col giudicato amministrativo, dal momento che, come appena osservato, pur trattandosi di determinazioni negoziali del datore di lavoro – e quindi non di un procedimento amministrativo –quest’ultimo era comunque tenuto ad agire conformemente agli artt. 1175 e 1375 c.c.
Tali considerazioni valgono ad evidenziare l’infondatezza anche del terzo motivo: lo stesso, infatti, viene ad invocare ancora una volta – seppure in questo caso senza dedurre la violazione del giudicato amministrativo – la riconducibilità nell’ambito dell’autonomia gestionale delle scelte in tema di conferimento degli incarichi, ma omette radicalmente di considerare l’assoggettamento di tali scelte alle regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., secondo i principi reiteratamente affermati da questa Corte.
4. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
5. Non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso […]”.;
Commenti recenti