Corte di Cassazione, Sez. lavoro, Ordinanza 11 aprile 2024, n. 9877.
Nota di Giovanni Patrizi
Impiego Pubblico. Sanità. Indennità sostitutiva di ferie non godute per il dirigente medico di struttura complessa. art. 5, comma 8, del DL 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni nella L 7 agosto 2012, n. 135.
La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con Ordinanza n. 9877, depositata l’11 aprile 2024. ha precisato che il potere di autodeterminazione delle ferie del dirigente di struttura complessa non è assoluto (come risulta dal comma 8 dell’art. 21 del CCNL 5 dicembre 1996), e non esonera comunque il datore di lavoro dall’obbligo di assicurarsi concretamente che il lavoratore sia posto in grado di fruire delle ferie, donde la non decisività del dedotto profilo in ordine all’esistenza, nella specie, di un potere di autodeterminazione delle ferie in capo al dirigente di struttura complessa, in quanto la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie -se necessario formalmente- e di averlo nel contempo avvisato, in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire- che, nel caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Le ferie non possono essere negate o limitate in caso di cessazione del rapporto di lavoro, anche in caso di dimissioni. Le ferie residue non godute vanno pertanto sempre pagate, sia nel settore pubblico che in quello privato. L’indennità sostitutiva delle ferie, ossia la loro monetizzazione, spetta sempre anche quando il rapporto di lavoro viene meno per decisione del lavoratore. Egli non può perdere il diritto a tale indennità neppure nel caso in cui non abbia richiesto di fruirne durante il periodo di servizio, senza prima appurare se sia stato messo dal suo datore nelle condizioni di poter esercitare del diritto alle ferie annuali.
In tal senso si è pronunciata anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), da ultimo sulla causa C-218/22 (v. infra).
1.Il lavoratore ha diritto all’indennità sostitutiva delle ferie a meno che il datore di lavoro non dimostri di averlo formalmente invitato a fruire delle ferie e di avere assicurato che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio non fossero tali da impedire il loro godimento ovvero non dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo.
In tema di godimento delle ferie sono numerosi i contributi e gli interventi di dottrina e giurisprudenza, molti dei quali pubblicati in q. Rivista.
Giova anzitutto precisare che le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale e irrinunciabile del lavoratore: Di conseguenza, la concessione di periodi di riposo retribuito in favore del dipendente costituisce un obbligo in capo al datore di lavoro. Le ferie, infatti, secondo l’articolo 36, della Costituzione, rientrano nel concetto di tutela della salute e sicurezza del lavoratore, essendo il fine ultimo di tale diritto quello di consentire al lavoratore il recupero delle energie psichiche e fisiche e di garantirgli un giusto periodo di riposo.
Strettamente connesso a tale diritto è il tema della “monetizzazione” delle ferie maturate durante il rapporto lavorativo ma non godute.
2. Il legislatore dell’Unione europea (si v. la Direttiva n. 88 del 2003, che ha modificato la Direttiva n. 104 del 1993) ha disposto che il periodo minimo di quattro settimane di ferie non può essere “rimpiazzato” dalla corrispondente indennità sostitutiva, salvo il caso di cessazione del rapporto di lavoro.
Secondo la Corte di giustizia (sentenze 6 novembre 2018, cause riunite C-569/16 e C-570/16, Stadt Wuppertal c. Bauer e Volker Willmeroth c. Martina Broßonn, nonché causa C-619/16, Sebastian W. Kreuziger c. Land Berlin, e causa C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften eV c. Tetsuji Shimizu), l’art. 7 della Direttiva n. 2003/88 “concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”, e l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito: la “Carta”), devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo -automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di esercitare questo diritto-, i giorni di ferie annuali retribuite maturati per tale periodo ai sensi delle suddette disposizioni, e, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per dette ferie annuali non godute in caso di cessazione del rapporto di lavoro.
Le disposizioni suddette ostano altresì a una normativa nazionale ai sensi della quale, in caso di cessazione del rapporto di lavoro a causa del decesso del lavoratore, il diritto alle ferie annuali retribuite maturate ai sensi di tali disposizioni e non godute dal lavoratore prima del suo decesso si estingue, senza poter far sorgere un diritto a un’indennità economica per dette ferie che sia trasmissibile agli aventi causa del lavoratore in via successoria.
Laddove sia impossibile interpretare tali normative in modo da garantirne la conformità agli articoli sopra citati, il Giudice nazionale deve disapplicarle e assicurarsi che sia garantita un’indennità economica per le ferie annuali retribuite maturate e non godute. Tale obbligo grava sul giudice nazionale sulla base dell’art. 7 della Direttiva 2003/88 e dell’art. 31, par. 2, della Carta, se la relativa controversia intercorre con un datore di lavoro che riveste la qualità di autorità pubblica, e sulla base della seconda di queste disposizioni se la controversia ha luogo invece con un datore di lavoro che ha la qualità di privato.
La Corte di Giustizia (di seguito CGUE) ha pertanto individuato tre cardini del giudizio di diritto demandato al giudice nazionale (al fine di assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alte ferie) consistenti: a) nella necessità che il lavoratore venga invitato, “se necessario formalmente” a fruire delle ferie e che venga nel contempo informato “in modo accurato e in tempo utile che se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento”; b) nella necessità di “evitare una situazione in cui l’onere di assicurarsi dell’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore”; c) sul piano processuale, nel prevedere che “l’onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro” sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto.
3. La Corte costituzionale con sentenza del 6 maggio 2016, n. 95, ha ritenuto che l’art. 5, comma 8, D.L. n. 95/2012, conv. in legge n. 135/2012) non fosse costituzionalmente illegittimo, dovendosi interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la “capacità organizzativa del datore di lavoro”, nel senso che quest’ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma 3), dalle fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio), sicché non potrebbe vanificarsi “senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso (…) da (…) causa non imputabile al lavoratore”, tra cui rientra quanto deriva dall’inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia, i quali non possono che essere ravvisati, per coerenza complessiva dell’ordinamento, nell’assetto sostanziale e processuale quale compiutamente delineato dalla Corte di Giustizia nei termini già sopra evidenziati”.
4. In senso conforme si è pronunciata sin dal 2018 la Corte di Cassazione (sentenza 15652/2018), che anticipando i citati interventi della CGUE ha affermato che non sussiste, da parte del lavoratore che invochi la monetizzazione delle ferie non godute, l’obbligo di richiedere preventivamente di poter fruire del periodo di riposo, gravando invece sul datore l’obbligo di dimostrare di aver proposto al lavoratore uno specifico periodo di riposo, che costui avrebbe immotivatamente respinto, rimanendo a suo carico gli effetti pregiudizievoli del mancato raggiungimento della prova.
5. Sul tema, come anticipato, è tornata a pronunciarsi la CGUE nella sentenza 18 gennaio 2024, resa nella causa n. C-218/22. Secondo La Corte, il lavoratore perde la possibilità di farsi retribuire le ferie solo nel caso in cui abbia rifiutato di utilizzarle, pur dietro richiesta con insistenza del datore di lavoro.
5.1.Il caso riguardava un ex dipendente pubblico del Comune di Copertino che aveva impugnato il rifiuto opposto dall’ente alla sua richiesta di liquidazione dell’indennità per i 79 giorni di ferie non godute, in quanto si era dimesso volontariamente.
L’indennizzo gli era stato rifiutato dal Comune che, facendo leva sull’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012, riteneva la richiesta illegittima in quanto il lavoratore era consapevole dell’obbligo di fruire delle ferie già prima della fine del rapporto, concluso per scelta volontaria di quest’ultimo. Il magistrato italiano, dovendo decidere sulla questione, rilevava che già la Corte Costituzionale, con sentenza n. 95/2016, aveva confermato la legittimità dell’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012, applicabile ai dipendenti pubblici, non ritenendo tale disposizione contraria né al diritto dell’Unione né a quello internazionale.
Nella pronuncia venivano sottolineate anche le esigenze di contenimento della spesa pubblica e i vincoli organizzativi del datore di lavoro pubblico, rimarcando come il divieto mirasse a reprimere l’incontrollato ricorso alla monetizzazione, privilegiando l’effettiva fruizione dei periodi di riposo. Il Giudice italiano sospendeva quindi il giudizio, rimettendo alla Corte di Giustizia Europea l’interpretazione da dare.
5.2. Oggetto del giudizio incidentale della Corte è l’art. 5 D.L. italiano del 6 luglio 2012 n. 95, il quale, nella versione vigente all’epoca dei fatti (ottobre 2016), vieta per i dipendenti pubblici la corresponsione di un’indennità sostitutiva delle ferie anche in caso di dimissioni, risoluzione del rapporto, mobilità etc. Avanti la CGUE la questione della conformità del divieto al diritto comunitario era stata difesa dal governo italiano con ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative della pubblica amministrazione. Inoltre era stato sottolineato che il lavoratore avrebbe potuto correttamente esercitare il diritto alle ferie prima di dimettersi.
La Corte ha rigettato ogni obiezione dell’Italia, ribadendo la propria costante giurisprudenza sul carattere fondamentale del diritto incondizionato alle ferie nonché a un’indennità finanziaria sostitutiva di esse nel solo caso in cui al momento della cessazione del rapporto di lavoro, anche per dimissioni volontarie, queste non siano state godute. Né ragioni organizzative o attinenti al contenimento della spesa pubblica possono giustificare, secondo la Corte, il rifiuto dell’indennità sostitutiva (come invece ritenuto dalla Corte costituzionale italiana, che aveva respinto la questione di costituzionalità della norma di legge in esame). La CGUE ricorda infine che il dipendente, per fruire, nelle condizioni date, dell’indennità finanziaria sostitutiva, non ha l’onere di provare di non aver potuto godere delle ferie per fatto a lui non imputabile, ma è il datore di lavoro che deve dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria per fargliele fruire.
5.3. La Corte ha dichiarato che l’articolo 7 della Direttiva 2003/88 e l’articolo 31, par. della Carta devono essere interpretati nel senso che si oppongono a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuiti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà”. Vengono in tal modo rafforzate le garanzie del dirigente medico e dell’operatore sanitario pubblici che, rinunciando al loro diritto al riposo per far fronte a deficit organizzativi aziendali, possono confidare nella possibilità di ottenere, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, (qual che ne sia la causa), il pagamento dell’indennità sostitutiva limitandosi ad allegare che il rapporto è cessato e che non hanno potuto usufruire, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, dei giorni di ferie maturati.
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